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   La Necropoli di Val Fondillo
La presenza dell’uomo nel nostro territorio è documentata sin dal Paleolitico tra 300.000 e 120.000 anni fa, quando quest’area era occupata da gruppi di cacciatori in cerca di cibo, quindi alla ricerca...
Le rovine della sede della Banca Marsicana di Pescina distrutta dal terremoto del 1915
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Pescina – Tra le fotografie che ci permettono di conservare la memoria di quanto avvenne nella Marsica a seguito della violenta scossa di terremoto del 13 Gennaio 1915 c’è anche quella che...
Preziose maioliche della chiesa della Madonna delle Grazie di Collarmele portate a Genova: "Analizzate per capire fabbricazione e datazione"
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Collarmele – Con l’arrivo del parere favorevole della Sovrintendenza, possiamo ufficializzare la partenza, a stretto giro, di alcuni frammenti delle maioliche della Chiesa di Madonna delle...
Castello baronale dei Colonna
Il sistema fiscale delle imposte nella Marsica vicereale dopo la peste del 1656
Lo studioso Ugo Speranza pubblicò alcuni rogiti del notaio Domenico Bucci (1658)  nei quali possiamo riscontrare la numerazione dei «fuochi» delle università di Avezzano, Collelongo, Trasacco, Luco...
Recensione del saggio "Ispettori ai monumenti e scavi nella Marsica" di Cesare Castellani nel Bullettino della Deputazione abruzzese di Storia Patria
Recensione del saggio "Ispettori ai monumenti e scavi nella Marsica" di Cesare Castellani nel Bullettino della Deputazione abruzzese di Storia Patria
Marsica – Sullo storico Bullettino della Deputazione abruzzese di Storia Patria, Annate CXII-CXIII (2021-2022), pubblicato a L’Aquila, alle pagine 269 e 270 il prof. Alessio Rotellini descrive...
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Aspetti della giurisdizione delegata nella Marsica durante il viceregno spagnolo e austriaco
Non è facile svolgere un’analisi sistematica e comparata che possa aiutarci ad arricchire e precisare il giudizio, a volte ancora troppo generico, sul dominio dei Colonna nel territorio marsicano durante...
Grotta di Sant'Agata
La grotta di Sant'Agata
Una grossa cavità naturale posta sul versante acclive della Serra di Celano grotta di Sant’Agata Sopra la parte sommitale della rocca della Turris Caelani, sotto una grande sporgenza rocciosa...
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Luigi Colantoni (1843-1925), canonico, vicario capitolare e ispettore ai monumenti
Questo articolo su Luigi Colantoni segue quello interessante dell’amico Fiorenzo Amiconi apparso su Terre Marsicane lo scorso 24 dicembre 2019 e vuole essere una integrazione ed un completamento di quanto...
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Il femminismo: origini di una libertà

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NECROLOGI MARSICA

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Dott. Paolo Sante Cervellini
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Il femminismo è un movimento che si oppone alla concezione tradizionale della donna come subalterna e inferiore all’uomo: tale inferiorità non è altro che la disuguaglianza creata da secoli di predominio maschile. Come movimento organizzato il femminismo nasce nell’Ottocento, ma il patrimonio di idee a cui attinge ha le sue radici nella cultura illuministica. La corsa alla conquista dei diritti femminili favorita dalla rivoluzione francese e a cui l’illuminismo aveva fornito un’inesauribile riserva di strumenti intellettuali, venne violentemente arrestata, nel 1804, dall’emanazione del codice di Napoleone che diede corpo all’idea che la donna fosse proprietà dell’uomo e il suo compito primario quello di restare relegata in casa. E nella prima metà dell’800 il movimento per l’emancipazione che si era viva via allargato fino a coinvolgere le classi meno privilegiate, si ritirò, tornando ad essere appannaggio di un’élite politica e culturale.

Il termine femminismo fu coniato solo verso la fine dell’Ottocento per indicare un movimento politico e sociale per l’emancipazione delle donne. Già in precedenza, tuttavia, varie voci femminili avevano espresso pubblicamente posizioni di denuncia e rifiuto della subordinazione femminile e della diversità di potere tra i sessi. Tra queste pioniere del femminismo ricordiamo la gentildonna francese Christine de Pizan, che nel 1405 scrisse la Città delle dame negando la tesi di un’inferiorità innata delle donne. Durante la Rivoluzione francese, per la prima volta le donne ebbero la possibilità di organizzarsi istituendo club femminili e di rivendicare quella universalità dei diritti da cui le escludeva un’interpretazione della categoria ‘uomo’ ristretta al sesso maschile. I diritti delle donne si intitola un’opera pubblicata nel 1792 dall’inglese Mary Wollstonecraft: un’aperta polemica con le idee di Rousseau secondo cui le donne nascevano per piacere all’uomo e dovevano essere educate all’obbedienza e al futuro ruolo di mogli.

Un classico del femminismo è la Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine scritta da Olympe de Gouges nel 1792, in cui si rivendica il diritto delle donne all’assoluta eguaglianza politica e giuridica. Verso la metà del secolo, smorzatosi l’ondata maschilista che aveva messo a tacere le speranze nate con la rivoluzione, il femminismo si rianimò, uscì definitivamente dai salotti, passò dalle elaborazioni teoriche individuali ad un’organizzazione più solida. I giornali fondati e diretti da sole donne si moltiplicarono e divennero tanto più importanti quanto più dietro di essi prendeva corpo un’associazione femminile. Nel 1832 in Francia, Desirée Verret e Marie-Reine Guindorf fondarono la La femme libre espressione del femminismo sansimoniano della classe operaia, che invitava tutte le donne, pagane e cristiane, a collaborare. In seguito il giornale fu preso sotto la direzione di Suzanne Voilquin, un’operaia ricamatrice di Parigi che, ottenuta la separazione dal marito, prese a viaggiare e riuscì a studiare travestendosi da uomo.

Essa cambiò sia il nome del giornale con quello di La Tribune des Femmes. Famose sono rimaste le battaglie de La Tribune des Femmes a favore dell’indipendenza delle colonie e contro la prostituzione, quelle per l’indipendenza economica delle donne, per l’educazione e la formazione paritaria a quella dell’uomo e il libero amore. Il femminismo è essenzialmente un movimento delle donne per le donne. Alcuni importanti pensatori femministi però furono uomini. Nel 1646, all’epoca della Rivoluzione inglese, John Lilburne affermava che tutti gli esseri umani, di entrambi i sessi, sono uguali e hanno pari dignità. Nel 1790 il marchese di Condorcet sosteneva che i diritti naturali vanno riconosciuti a tutti gli individui della specie umana.

A metà dell’Ottocento il pensatore liberale inglese John Stuart Mill propugnava l’abolizione della “tirannia maschile” nel matrimonio e la totale eguaglianza dei diritti per i due sessi. Agli stessi anni risale il primo libro sui diritti delle donne pubblicato in Italia, La donna e la scienza di Salvatore Morelli, il quale nel 1877 fece approvare in Italia la prima legge che riconosceva alle donne la capacità giuridica. Nella seconda metà dell’Ottocento il femminismo acquista le caratteristiche di un movimento organizzato: dai discorsi sulla parità e sull’eguaglianza si passa all’azione concreta per la conquista dei diritti politici e civili. La battaglia per la parità nel campo dell’istruzione e per il suffragio, cioè il diritto di voto, sono i due grandi temi del femminismo ottocentesco. La Gran Bretagna fu il paese pioniere nella rivendicazione del diritto di voto per le donne: il primo comitato per il suffragio femminile sorse a Manchester nel 1865. In questa prima fase il femminismo finì per identificarsi con il movimento per i diritti politici delle donne; femministe e ‘suffragette’ divennero sinonimi. In Inghilterra è nel 1860 che si forma la prima “Associazione per il suffragio alle donne”.

In Italia già nel 1863, su proposta dell’onorevole Peruzzi, la Camera dei deputati disputò la questione giuridica delle donne; e ancora avvenne nel 1871, su proposta dell’onorevole Lanza, nel 1876 grazie a Nicotera e nel 1880 e 1882 fu la volta di Depretis, anche se il movimento suffragista italiano non ebbe mai la forza e la determinazione di quello inglese o americano. Un vigoroso impulso a questo femminismo lo diede il movimento antischiavista promosso a Boston dal giornalista calvinista William Lloyd George che fece appello alla sensibilità femminile perché prendesse a cuore la causa per la liberazione delle donne di colore. Davanti alle chiese e in mezzo alle piazze queste donne protestavano e indottrinavano gli ascoltatori sulle ingiustizie perpetrate ai danni delle popolazioni di colore con il benestare della chiesa. L’azione dei pastori protestanti non tardò a farsi sentire e per mezzo di una lettera pastorale, con l’ausilio di citazioni tratte dal Nuovo Testamento, si avvertirono le donne di non occuparsi di affari pubblici.

Di rimando, nel 1838 venne pubblicato il primo manifesto del femminismo protestante contemporaneo, Letters on the Equality of the Sexes, and the Condition of Woman. Il motto più famoso del femminismo protestante del XIX secolo rimarrà questo: “Pregate Dio, Esso vi esaudirà”. In Italia fu Bianca Milesi, soprannominata dal Cattaneo “l’emancipata Milesi”; che, dopo aver studiato in Austria e Svizzera, tornò nel suo paese natio, diffuse le innovative tecniche educative che aveva appreso, e creò scuole popolari di mutuo insegnamento, dando vita anche ad una sezione femminile della carboneria per la diffusione delle idee mazziniane. Tra le sue discepole predilette c’era Cristina Trivulzio principessa di Belgioioso la quale fu una vera e propria riformatrice sociale e promotrice, ovunque si recasse, della causa dell’unità nazionale secondo le idee repubblicane di Mazzini e sociali di Saint Simon. Nel 1849, durante l’assedio di Roma, sollecitata da Mazzini, lei, colta, ricca e aristocratica, mise insieme un gruppo di “scostumate” popolane e organizzò il pronto soccorso e il servizio ospedaliero per i feriti. Di queste nobildonne che aprivano i loro salotti a patrioti, letterati ed artisti permettendo la circolazione e lo sviluppo delle idee e che si dedicarono in particolar modo alla causa dell’elevazione culturale della donna, creando asili, circoli, scuole innovative, ve ne sono tantissime.

Da ricordare Matilde Calandrini in Toscana, Emilia Peruzzi a Roma, la quale tra l’altro indusse il marito, deputato del primo parlamento italiano, a presentare un progetto di legge a favore delle donne, e Laura Mantegazza e Clara Maffei a Milano. La contessa Maffei ogni sera riceveva nel suo salotto, si incontravano persone serie, vecchi patrioti, uomini di studio e di bella fama, ma vi intervenivano anche signore del mondo elegante, artisti, giovani che vedremo poi nel 1859 varcare il Ticino e arruolarsi tra i volontari. La contessa Maffei, di natura indulgente e mite, diventava fiera e intransigente ogni volta che fosse in questione il Governo straniero. Si pensi con quanto entusiasmo essa e i suoi amici prendessero parte, in quell’inverno del 1858, alla lotta contro l’arciduca Massimiliano d’Asburgo, che ferveva nella società milanese. Tra gli ospiti più rinomati di casa Maffei vi erano Garibaldi e Balzac.

Alessandrina Ravizza nel 1868 si introdusse nella “Associazione generale di mutuo soccorso delle operaie di Milano” e fondò, in insieme a Laura Mantegazza, le scuole professionali femminili. Nel 1879 costituì la cucina per ammalati poveri a cui si aggiunse, grazie anche ad ANNA KULISCIOFF Kuliscioff, un ambulatorio medico ed un magazzino cooperativo benefico che doveva offrire lavoro e generi alimentari a basso prezzo. Ben presto la Ravizza si accostò a gruppi di femministe impegnandosi in una serie di iniziative di opposizione ai tentativi reazionari di fine secolo. Come la Ravizza, le femministe italiane di fine secolo erano perlopiù donne senza figli, animate da ideali romantici e populisti, vicine agli ambienti socialisti e anarchici. Come lo fu Sibilla Aleramo, al secolo Rina Faccio. Di formazione positivista, perseguiva l’ideale di un socialismo unitario e interclassista e si impegnò in particolar modo per l’alfabetizzazione della popolazione. Nel 1870 intanto a Ginevra si era tenuto il primo congresso internazionale delle donne in cui si era discusso prioritariamente dell’inutilità del conflitto franco-prussiano allora in corso e naturalmente dell’ingiusta discriminazione sessista. Nel 1878 a Parigi si tenne un altro congresso internazionale a cui parteciparono francesi, tedesche italiane, svedesi, russe e polacche e inglesi, le più agguerrite, che alla guida di Josephine Butler stavano combattendo la battaglia contro la prostituzione legalizzata. Il primo paese in cui le donne ottennero il diritto al voto fu l’Australia (1902). In Europa la strada fu aperta dalla Finlandia e dalla Norvegia (1906 e 1907), seguite tra il 1915 e il 1922 da altri 17 paesi, anche extraeuropei tra cui gli Stati Uniti.

Nel 1931 fu la volta del Portogallo e della Spagna. In Francia il suffragio femminile fu introdotto nel 1944, in Italia un anno dopo, in Grecia nel 1952, in Svizzera solo nel 1971. Nel campo dell’istruzione il processo di parificazione fu ancora più lento e faticoso. In Francia solo un decreto del 1924 sanciva la parità dell’istruzione secondaria femminile e maschile. In Inghilterra le università si aprirono alle donne verso la metà dell’Ottocento, ma le facoltà di medicina e di giurisprudenza le esclusero ancora per lungo tempo; anche quando le donne riusciranno a ottenere l’ingresso nelle università, non saranno ammesse agli albi professionali. In Italia la professione di giudice sarà accessibile alle donne solo dal 1963. Nel 20° secolo, sull’onda della contestazione giovanile del Sessantotto, il movimento femminista conosce una nuova stagione e si impone all’attenzione con gesti clamorosi e provocatori. Nel 1968, in occasione dell’elezione di Miss America le femministe statunitensi incoronarono una pecora e gettarono reggiseni e cosmetici in una “pattumiera della libertà”.

A Parigi le femministe francesi deposero sulla tomba del Milite ignoto una corona con la scritta “Alla moglie ignota del milite ignoto”. Ovunque sorsero Centri femminili che organizzarono programmi di assistenza sociale, per esempio per la tutela delle donne vittime di violenza. Il nuovo movimento femminista degli anni Settanta nasce da una profonda delusione: i modelli culturali maschili continuano a essere dominanti, e le donne restano una “maggioranza oppressa”. Le libertà acquisite sono puramente formali: si afferma la convinzione che occorra passare dalla semplice emancipazione alla liberazione delle donne andando alle radici della differenza di potere tra i due sessi. Gli anni Settanta vedono la mobilitazione delle femministe per la legalizzazione dell’aborto, cioè l’interruzione volontaria della gravidanza, in nome di una maternità consapevole. Alla richiesta di legalizzazione dell’aborto, le femministe degli anni Settanta affiancarono la battaglia per la diffusione della contraccezione. La campagna delle femministe trovò l’appoggio di buona parte dell’opinione pubblica maschile, e dalla fine degli anni Sessanta numerosi paesi iniziarono a introdurre leggi che depenalizzavano l’interruzione volontaria della gravidanza.

Strada da allora ne è stata fatta tanta ma il movimento femminista è ancora impegnato, oggi più che mai, a intervenire là dove le donne sono vittime della violenza o vedono calpestati i loro diritti: nei paesi del Terzo Mondo e in quelli dilaniati dalla guerra, ma anche nei paesi avanzati dell’Occidente.

Insomma la lotta continua ogni giorno là dove c’è una donna che chiede rispetto e parità.

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Roberta De Santi

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