Un autista di un Istituto Tecnico della provincia dell’Aquila veniva inserito nell’elenco del personale ATA da collocare in quiescenza con decorrenza 01.09.2023. Il lavoratore, invero, nell’ottobre 2022, aveva chiesto all’amministrazione di appartenenza, tramite Patronato, di essere collocato in pensione in base all’anzianità di servizio maturata (pensione anticipata), soltanto però se risultava in possesso del requisito prescritto dalla legge, ossia 42 e 10 mesi di contribuzione. Contemporaneamente il dipendente, avendo svolto mansioni di autista, chiedeva all’INPS che venisse accertato il requisito per l’accesso alla pensione agevolata prevista per i lavori usuranti e faticosi di cui al decreto legislativo n. 67/2011.
L’Ufficio scolastico provinciale dell’Aquila lo collocava in pensione con decorrenza 1° settembre 2023 pur risultando il periodo di servizio svolto dal lavoratore molto al di sotto per l’accesso alla pensione di anzianità e pur non avendo quest’ultimo presentato domanda successivamente all’accertamento positivo dell’INPS per accedere al beneficio dei lavori usuranti.
Il dipendente, presentava rimostranze all’Ufficio scolastico, che però restava irremovibile, tanto da presentare ricorso tramite l’avvocato Salvatore Braghini della Gilda Sezione di Avezzano, chiedendo il trattenimento in servizio fino al conseguimento della pensione di vecchiaia (67 anni) ovvero di anzianità (42 anni e 10 mesi).
Il Giudice del lavoro di Sulmona, dr.ssa Alessandra De Marco, accoglieva il ricorso d’urgenza ed in extremis, il 1° settembre, quando rischiava di restare senza stipendio e senza pensione, lo reintegrava in servizio.
Il Tribunale sulmontino accertava infatti che il lavoratore non possedeva il requisito per la pensione d’anzianità e, pur avendo l’INPS accertato il “riconoscimento dello svolgimento di attività lavorativa subordinata faticosa e pesante come conducente di veicoli di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, per servizio pubblico di trasporto collettivo”, non risultava che il medesimo avesse presentato anche la domanda di pensionamento secondo quanto previsto dal decreto legislativo che disciplina l’accesso a tale forma di beneficio.
“La vicenda, commenta l’avv. Salvatore Braghini, dimostra che in materia di pensione l’accertamento dei requisiti pensionistici e la gestione della procedura deve avvenire garantendo la massima collaborazione tra lavoratore, datore e INPS. Non sono rari i casi in cui la legge arriva addirittura a discriminare in base al genere, come accertato di recente dal Tribunale di Asti, che ha reintegrato in servizio una lavoratrice pensionata 41 anni e 10 mesi (come in effetti prevede la legge), che rivendicava legittimamente di permanere in servizio fino a raggiungere la stessa anzianitá contributiva prevista per gli uomini, ossia 42 anni e 10 mesi“.