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Giulio Pezzola del Borghetto e le sue scorribande nella Marsica (1646)

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Soldati spagnoli e francesi

Le grandi insurrezioni popolari, aizzate dalle potenze spagnole e francesi, dal papa-re e da fazioni baronali (vedi Colonna, Barberini, conti di Celano ecc.) causarono tra Lazio e Abruzzo continui saccheggi per opera delle soldatesche che, oltretutto, trasmisero alle popolazioni epidemie e carestie provocate dalla perdita dei raccolti per impossibilità di seminare e per le spoliazioni subite dai militari amici e nemici. D’altra parte, le fazioni avverse, per procurarsi vettovagliamenti rubavano, uccidevano e mettevano a ferro e fuoco casolari, villaggi, città, tra lo Stato pontificio e la Marsica.

È in questo clima di sconvolgimenti che s’inserisce prepotentemente la figura di un altro personaggio inquietante, all’indomani dei moti abruzzesi del 1647-48. Giulio Pezzola del Borghetto (oggi Borgo Velino in provincia di Rieti) bandito per vocazione, che parteciperà attivamente agli scontri sul territorio marsicano come: «rappresentante dell’autorità pubblica ed esecutore della giustizia vicereale spagnola» (1).

Al centro dell’ennesima turbolenza ci furono: «temi demaniali, comunitari e borghesi su cui si erano imperniate le sollevazioni e le sedizioni dell’estate 1647» (2).

Com’è noto, a creare scompigli e malcontenti contribuirono molto i francesi. Infatti, «Giovanni Orefice, principe di Sanz, giunse a Roma, col segreto incarico di organizzare e dirigere una sommossa per sollevare il regno di Napoli contro gli spagnoli», protetto da Antonio e dal cardinale Francesco Barberini. In seguito, il principe di Sanz, catturato dal Pezzola la notte di Natale 1639 (nel sagrato della Chiesa di S. Andrea delle Fratte), fu condotto a Borgo Velino, causando subito lo sdegno di Urbano VIII che mise una taglia sulla testa del bandito pari a ventimila scudi. 

Di contro, Il viceré duca di Medina, promise al Pezzola cifre esose, se avesse tradotto il prigioniero al «Castellano» dell’Aquila che, a sua volta, avrebbe dovuto consegnarlo al tribunale di Napoli. Infine, con l’accusa di alto tradimento e incitamento alla sommossa generale, il nobile francese fu giustiziato il  13 gennaio 1640 (3). 

Al centro delle rivolte territoriali, invece, s’introdusse il giovane barone aquilano Antonio Quinzi che, appoggiato dai francesi, braccò senza tregua il bandito Giulio Pezzola, braccio repressivo del viceré di Napoli. Scenario dei cruenti scontri furono i castelli di: Celano, la rocca di Scurcola, il palazzo baronale dei Colonna ad Avezzano e quello di Tagliacozzo, occupati, dopo breve resistenza, dagli irregolari del nobile Quinzi. Come di consueto, tra i due schieramenti avversi, un nutrito gruppo di banditi professionisti, pronti a tradire tutti per loro tornaconto: Scucciaferro, Papone, Giovan Antonio Sisti e altri ancora. 

In questa situazione, il 17 novembre 1646, il «Preside» aquilano Don Raimondo Zagariga, inviò il Pezzola a liberare il paese di Magliano dei Marsi, occupato dalla banda di Marco Antonio Sebastiano e suo fratello Francesco. Dopo le prime sanguinose scaramucce, i due fratelli, vista la superiorità dei nemici, si asserragliarono con ventisei seguaci in un’abitazione del luogo; di contro, il «Contestabile» Girolamo Colonna, dall’Aquila, si rifiutava energicamente di collaborare con il Pezzola, dimostrando apertamente che i ribelli erano suoi protetti. Gli attaccanti, sempre più infuriati per le perdite subite, appiccarono il fuoco all’intero edificio, costringendo i rifugiati alla fuga e a ripararsi nella chiesa: «Si stava dando fuoco anche a quella, quando, vista preclusa loro ogni possibilità di salvezza, si arresero. Però, gli uomini del Pezzola, accesi dalla lotta e dalla perdita di alcuni compagni, infuriati, entrarono ugualmente in chiesa e senza nessun riguardo al luogo, ne uccisero dodici, tra cui Marco Antonio Sebastiano e ne fecero prigionieri sei, che più tardi vennero barbaramente decapitati. Assetati dall’orgia di sangue misero a sacco il paese facendo bottino di circa tremila scudi. Rientrati in Aquila al Preside Zagariga dettero atto della vittoria, ma tacquero sull’avvenuto sacco» (4).

Di fatto, anche Avezzano subì l’assalto dei banditi del Pezzola: «la Terra fu messa a ruba e a ferro; fu dato il fuoco a molte case fra le quali quella della nobile famiglia Porcinara [in altri documenti si legge Porcari]». Poi la masnada assediò Celano, dove il Quinzi, avendo saputo della resa francese e che: «ormai tutte le Terre e Città andavano a mano a mano riducendosi all’antica ubbidienza», fuggì dal castello ricoverandosi nello Stato pontificio. 

Di conseguenza schiere «di banditi e malfattori, accresciute dal numero delle vittime della persecuzione spagnola, si gettarono in campagna non è a dire quanto costoro rendessero malsicure le vie, tenessero trepidanti intere Terre e villaggi, e commettessero ruberie e saccheggi, devastazioni, ricatti e uccisioni. Era uno stato di cose intollerabile» (5).

Preziosissime sono le informazioni dello studioso Giuseppe Rivera, che ci offre una descrizione dettagliata di tutte le vicende riguardanti questo periodo di sommovimenti nell’Aquilano, nel Meridione e nello Stato pontificio, citando nomi, fatti e infiniti cambiamenti di fronte. 

Gli avvenimenti appena narrati, non devono escludere la testimonianza diretta del bandito «aristocratico» Giulio Pezzola, che divenne in seguito barone di Collepietro e stampò nel 1650, un rapporto delle sue operazioni a favore del governo spagnolo, con questo titolo: «Memoriale alla M. di Filippo IV dato dal Baron Giulio Pezzola, nel quale si contengono i suoi segnalati servizi». Nel 1660 fece alcune aggiunte al suo manoscritto, con fatti inediti subito stampati, contenenti altre azioni compiute nel trascorso decennio di guerriglia campale (6).

NOTE

  1. G.Morelli, Il brigante Giulio Pezzola del Borghetto e il suo memoriale (1598-1673), Borgovelino, Amministrazione comunale, 1982, pp.23-89. Come afferma lo studioso, una copia integra del memoriale si trova nella Biblioteca Nazionale di Madrid; mentre, un altro esemplare mutilo è nella Biblioteca Provinciale «S.Tommasi» di L’Aquila.
  2. R.Colapietra, Le insorgenze di massa nell’Abruzzo in età moderna, estratto da «Storia e Politica», Rivistra trimestrale, n.4-1 (1980-1981), Giuffrè, 1981, p.360.
  3. G.Morelli, L’interessata sottomissione del bandito Giulio Pezzola ad Urbano VIII, Roma, Staderini editore, 1968, estratto da «Strenna dei Romanisti», Roma (1968), pp.260-261. L’ex bandito di Borgo Velino, nemico acerrimo dei Barberini, fu ucciso alcuni anni dopo a tradimento per causa di una donna, accoltellato alla schiena da uno zingaro davanti alla sua abitazione, nel bel mezzo di una festa popolare.
  4. G.Morelli, Il brigante Giulio Pezzola cit., p.90.
  5. T.Brogi, La Marsica antica e medievale (rist.anast, Adelmo Polla, Avezzano 1979), p.423.
  6. G.Rivera, Dei sommovimenti abruzzesi e dei sospettosi provvedimenti governativi precursori della rivolta di Masaniello, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», Anno III, Luglio, Puntata VI, L’Aquila, 1891, pp.131-152.
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Fulvio D'Amore ricercatore e saggista

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