Soldati spagnoli e francesi
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I confini della Marsica arrivano fino al Monte Marsicano
I confini della Marsica arrivano fino al Monte Marsicano
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Soldati spagnoli e commissario
Spese gravose delle Università marsicane per mantenere commissari e soldati spagnoli (1607-1631)
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Magliano de' Marsi si prepara a celebrare il bicentenario della nascita di Padre Panfilo Pietrobattista, insigne teologo e missionario
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I confini della Marsica arrivano fino al Monte Marsicano

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NECROLOGI MARSICA

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Opi – Trenta anni fa i parroci di Pescasseroli e di Opi parteciparono a “Tribuna Libera”, uno spazio che il giornale “Il Tempo” metteva disposizione dei cittadini. Nella pagina riservata alla Marsica veniva pubblicata una lettera a firma di don Vincenzo Di Mario e don Angelo Rossi, rispettivamente, parroci di Pescasseroli e di Opi: oggi don Vincenzo si trova presso la Parrocchia della Madonna del Passo ad Avezzano mentre don Angelo è rimasto nella Parrocchia Santa Maria Assunta di Opi.

A trent’anni di distanza desidero ripercorrere quelle vicende e riportare all’attenzione degli attuali politici le pretese amministrative che alcuni loro colleghi, al tempo, misero in campo per spostare l’attenzione verso Castel di Sangro e Sulmona.

Diciamo subito, a scanso di equivoci, che non abbiamo nulla contro la città di Patini, né contro la città di Ovidio e di altri uomini illustri che hanno fatto grande le loro terre e i loro nomi, ma lasciatemi ricordare alcune considerazioni che i prelati sopra menzionati misero in evidenza a quel tempo.

La scintilla scaturì dal fatto che, in sede di Consiglio Regionale, si venne a parlare del possibile trasferimento dell’allora Azienda di Soggiorno e Turismo da Pescasseroli a Castel di Sangro. Tale opzione provocava non solo amarezza per la perdita in sé, ma anche diverse perplessità in merito al valore del circuito turistico (non paragonabile a Pescasseroli e Roccaraso). Questo fatto fu l’occasione per un richiamo d’attenzione, da parte dei parroci, ai politici di allora.

La lettera inviata a “Tribuna Libera” riportava, tra le altre cose, un chiarimento rispetto all’uso di creare un legame costante tra Pescasseroli e Opi a Castel di Sangro e Sulmona.

All’epoca Pretura, Procura, Tribunale, Comunità Montana, ULSS, Compagnia Carabinieri e anche la APT erano spinte a spingere sempre più frequentemente Pescasseroli e Opi nell’orbita del sulmonese. Tale propensione correva il rischio di far perdere alle nuove generazioni la consapevolezza della propria identità e la coscienza di far parte integrante di un popolo ben definito: i Marsi!

Pescasseroli e Opi, infatti, sono parte della Marsica, anche se si trovano nell’Alto Sangro che, ieri come oggi, viene designato come Alta Marsica. Io stesso, nei tanti scritti e articoli, pubblicati e non, ho sempre fatto rilevare che la zona in oggetto si chiama Alta Marsica.

Se qualcuno volesse mettere in dubbio tale affermazione, potrà recarsi al Km 54 della Strada Statale Marsicana 83, al confine tra i Comuni di Opi e Civitella Alfedena, dove ancora oggi è visibile l’epigrafe di Pietramara, che venne descritta per la prima volta dal Febonio nel 1668, successivamente nel 1711 da Angelo Antonio Rubini, cittadino di Opi. Più tardi, nel 1738, dal Corsignani, nel 1814 dal Vescovo dei Marsi Camillo Rossi e nel 1819 dal Romanelli.

L’iscrizione di Pietramara, è stata inserita nella raccolta generale delle iscrizioni latine “Corpus inscriptionum latinarum”, volume X, N. 5142. Essa ricorda la costruzione di un simulacro a Giove ad opera di L.accio Terento nel 144 d.C.

Il punto del territorio in cui si trova l’antica epigrafe era ritenuto avamposto dei Marsi a confine con il Sannio. I grandi uomini, li chiamerei figli illustri della nostra terra, hanno sempre ritenuto e considerato un titolo di fierezza essere marsicani. Ovviamente non abbiamo nulla contro i nostri fratelli molisani, che dopo il 1963, separandosi dall’Abruzzo, sono divenuti nostri “cugini”. È pur vero che, nel corso della storia antica, i Marsi e i Sanniti sono stati a volte amici e a volte nemici.

Dunque: cosa avveniva 30 anni fa? Partiamo dal considerare che Castel di Sangro ha sempre avuto un discreto comprensorio: l’Alto Sangro, la Provincia di Isernia e parte della Provincia di Chieti, hanno sempre gravitato attorno alla città patiniana. Successivamente, con l’istituzione della provincia di Isernia, qualcosa è mutato.

Dopo aver fatto una serie di riflessioni relative ai disagi che l’Alta Marsica da sempre ha patito, i parroci rivolgevano un appello a politi ed amministratori del tempo, specialmente marsicani: “Sappiate che siamo Marsica e che ne costituiamo la parte più bella”. La stessa presenza del Parco Nazionale d’Abruzzo (oggi Parco nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise) lo dimostra.

I due parroci: “Sappiate che siamo Marsica e che vogliamo rimanerci, ma aiutateci a sentirci sempre tali”, concludevano. E concludiamo anche noi: ricordatevi che la Marsica non finisce a Gioia dei Marsi o a Bisegna, ma giunge fino al Monte Marsicano, nel Parco Nazionale. A voi politici di oggi: ricordatevi di questa parte della Marsica.

Per meglio chiarire parte dell’autore Andrea Di Marino:
“Prendo spunto dalla consultazione di un volume dal titolo:” LA TERRA DEI MARS I”   tra Cristianesimo, Cultura e Istituzioni, atti del convegno di Avezzano del 24-26 settembre 1998 a cura di Gennaro Luongo, Edito da Viella s.r.l.  anno 2002, volume realizzato grazie al finanziamento della Diocesi dei Marsi.

Naturalmente mi soffermo a parlare delle notizie che riguardano il nostro Opi all’interno della Diocesi dei Marsi.

Dei trenta relatori che parteciparono al convegno mi piace ricordare: Cesare Letta, Giuseppe Grossi, Angelo Melchiorre, Fulvio D’Amore, Walter Tortoreto, Gianluca Tarquinio, questi quelli conosciuti da me.

Secondo Antonio Sennis gli insediamenti medioevali, dell’incastellamento con siti fortificati antichi , in Abruzzo , sono state ritenuti occasionali, mentre nella Marsica l’incastellamento, avvenne in numero non rilevante  ma alcuni Borghi, tra cui: Civita d’Antino, Albe, Cerchio, Aielli, Ortona, Aschi Alto, Gioia Vecchio, la Rocca di Pescina, l’Acropoli sopra a Venere, Vico, Monte Secine sopra a Casali d’Aschi, Lecce Vecchio, Opi e Tagliacozzo, questi centri, mostrarono la presenza di mura medioevali, quindi l’incastellamento.

I centri più importanti erano: l’antica “Antinun” Civita d’Antino, che dominava la sottostante Valle Roveto, Tagliacozzo, toccata dalla via Valeria e Opi, perché si trovava su una importante rotta della Transumanza.

Secondo Giuseppe Grossi, il bellicoso e potente Vescovo dei Marsi, Alberico, che con rapporti con la dinastia Tedesca, a quel tempo regnante, riuscì ad espandere la Diocesi nell’Alta Valle del Sangro, includendo Opi e Pescasseroli.

Secondo Melchiorre la primitiva diocesi di Atina, in Terra di lavoro, doveva comprendere anche l’Alta Valle del Sangro, da Barrea a Pescasseroli, come dimostrato da ritrovamenti di iscrizioni tipiche, delle città Volsche.

Queste iscrizioni, attestano la presenza dalla magistratura degli edili, e ci troviamo, in media età repubblicana e la citazione della Tribù Tirentina a cui erano iscritti anche, quelli di Villetta e di Opi.

Successivamente in questo territorio, nell’ottavo secolo si inserì Sant’Angelo in Barregio (Villetta Barrea e Barrea) con i possedimenti della “Valleregia”.

 Successivamente, dagli inizi dell’undicesimo secolo, il territorio dell’Alto Sangro fu diviso tra le Diocesi dei Marsi-Pescasseroli ed Opi e di Montecassino, dalla Camosciara a Barrea, come detto innanzi.

Solo con la riforma di Paolo sesto, entrata in vigore nel 1975, le tre parrocchie di Villetta Barrea, Civitella Alfedena e Barrea, furono aggregate alla dicesi di Sulmona.

La concessione di Ottone primo ad Alberico dell’importante Monastero cassinese di Sant’Angelo in Barregio, probabilmente già nell’anno 969, permette ad Alberico, di espandere la Diocesi verso l’alta Valle del Sangro fino al” Mons Vetus” (Monte Marsicano), includendo Opi e Pescasseroli ed anche altri possedimenti nella Marsica.

Ci furono poi molti altri contrasti tra Montecassino e Alberico.  

Con la bolla del 25 febbraio 1115 inviata dall’allora Papa Pasquale secondo al Vescovo Berardo furono definiti i limiti della Diocesi.

La Diocesi, si estendeva dall’attuale Forca Caruso di Pescina” Furca Ferrati” alla Fonte dei Corvi di Carrito “Caput Carriti” per poi raggiungere gli attuali Prati di Merso e la Valle Putrida, fra Carrito e Cocullo.

La catena montuosa dei Monti Serra Palancara e Mezzana fra Ortona dei Marsi e Cocullo (Serram de Feresca) per poi andare sul Monte Argantone, posto ad Ovest di Scanno, e la Montagna Grande di Scanno (Serram de- S-camno).

Poi raggiungendo il territorio montuoso di Pescasseroli-Opi, alle spalle del Monte Marsicano (Serram Formellae) scendeva nel corso del Sangro all’altezza dell’attuale  “Molino di Opi (Molinum vetus) per risalire verso Forca D’Acero,( Furcam Aceri)  sui confini Laziali .   

Andando avanti per le alture montuose, della serra del Re, fra Sant’Onofrio di Alvito, e Pescasseroli, si raggiungeva la catena montuosa di Serralunga, segnata (alle alture) dai tre confini e Capra Giuliana, monti che appartenevano a Troia, posto nel territorio di Villavallelonga (Serram de Troja).

In quella zona vi erano, molte altre presenze benedettine, della Valle Roveto.

Si riprende, dal Fosso Rianza di Pescocanale, (Pesculum Canale) per raggiungere la catena dei Simbruini sui limiti laziali all’altezza del Monte Autore di Vallepietra (Petram Imperatoris) in territorio di Cappadocia.

Il confine correva lunga la catena montuosa compresa tra Monte Autore e Rocca di  Botte passando per il valico di Oricola (Furca de Auricola).

Per raggiungere il corso del Turano, si passava all’imbocco della Piana del Cavalliere nel Carseolano, dove era la vecchia città di (Carsioli).

Poi superate le alture per Poggio Cinolfo, (turres de Ofrano)  si arrivava a Tufo e all’inizio del terrente che attraversa la valle (Tufum fluvii Romani)  e superata la valle del Turano fra Santa Anatolia di Borgorose e Marano ( Vulpem mortuon) si raggiungeva l’Altopiano della Rocche , attraversando Campo di Pezza di Rovere (Campus de Pezza) e ancora fra Rovere e Rocca di Mezzo si raggiungeva la catena  montuosa del Sirente ( Serram de candida -nive) ed evitare il Piano di Baullo  di Gagliano Aterno , fine a raggiungere il monte Ventrino (Ventrinum) e Forca Caruso da cui è iniziato l’esame dei confini . 

Secondo Grossi, la prima notizia dei monaci cassinesi, nella Regione Marsicana si fa risalire al 782.

Solo nella seconda metà del nono secolo, ad opera dei Conti Maresi e del Papato  che viene istituita La Diocesi dei Marsi. Poi nel decimo secolo, con l’opera del potente Vescovo dei Marsi, Alberico, la Curia si espande nell’alta Valle del Sangro, comprendendo Opi e Pescasseroli, come innanzi detto-.

Secondo Fulvio D’amore la Diocesi dei Marsi aveva una forma allungata e stretta.

La sua punta estrema in direzione nod-ovest era costituita dai paesi i Tuffo, Poggio Cinolfo, Oricola e Rocca di Botte; il lato sud-est era rappresentato dai villaggi di Opi e Pescasseroli.

Voglio concludere col dire dei continui dissidi tra i preti, non migliorarono certo la condizione morale e religiosa dei paesi marsicani.

 L’università (Comune) di Opi, all’epoca inviava un duro reclamo al Vescovo Corradini il 28 febbraio 1708, perché la naggior-parte del popolo “non sapeva per lo più da chi dover ricevere il pascolo de’ Sacramenti, essendo a bussare, hora alla porta di un Prete, ed hora alla porta dell’altro”.

“Allora il Presule, per dirimere le discordie in atto affidò l’incarico ad un solo Arciprete con il titolo anche d’economo, sperando che da ciò, venga maggior servizio di Dio, più quiete tra i Preti e maggior utile dell’anime di questo Popolo, ma tutto questo non bastò”.

Altre notizie sulla Diocesi Marsicana ci sono e sono tante, a me è piaciuto parlare delle notizie che hanno interessato il paese di Opi”.

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Andrea Di Marino

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