L’analisi del dibattito sulla riforma agraria nel Fucino e nella Marsica del dopoguerra non può prescindere dalla considerazione dell’intera vicenda della «ricostruzione e dei suoi esiti», considerando con imparziale giudizio critico la tendenza a individuare proprio nelle lotte agrarie uno dei momenti più indicativi dello scontro con Torlonia e della forza politica raggiunta dalle sinistre (comunisti e socialisti) in tale periodo. Per questo la: «creazione, dopo l’esperienza delle coalizioni di unità antifascista, di uno schieramento di forze direttamente impegnato nella lotta anticapitalista», darà inizio alle proteste contadine dal 1944 fino al 1951 (1).
La ricerca (aperta ancora oggi), andrà sviluppata in varie direzioni, se si vogliono evitare facili e semplicistici criteri interpretativi del solito «vittimismo fucense», che vide, in un primo momento, il perno del fallimento delle richieste avanzate dai braccianti, dai contadini, dagli agricoltori, dagli affittuari del Fucino in un divario tra lotte di massa e un’incapacità direzionale politico-sindacale delle stesse da parte dei dirigenti dei partiti con le organizzazioni sindacali di sinistra (2).
Questo insieme ben datato di numerosi problemi scaturiti all’indomani del secondo conflitto mondiale, tra cui il diverso rapporto tra lotte spontanee e associazione, andrà inquadrato nelle complesse vicende di un periodo ricco di contraddizioni che deve tener conto della rinnovata formazione del partito comunista, socialista e democristiano. Di fatto, occorre abbandonare le suggestioni di giudizio formulate in conformità a considerazioni di “occasioni mancate” per mostrare, in una visione più ampia, sia i successi ottenuti dal movimento contadino sia le sue sconfitte ma anche delle complesse vicissitudini che causarono dolorose rappresaglie.
Più in particolare, si indica già dall’ottobre del 1944 (occupazione delle terre da parte dei contadini di Ortucchio), un primo manifestarsi in forma anarchica cosciente dell’opposizione ai principi Torlonia, con un preminente contatto tra comunisti, socialisti e agricoltori del Fucino. In questa fase iniziale i principi romani ne uscirono quasi illesi, lasciando incolte vaste distese della loro immensa proprietà, quando poi le ricostituite leghe contadine chiesero in concessione temporanea le terre abbandonate, durante il primo governo Bonomi e i successivi decreti del ministro Fausto Gullo, esponente del partito comunista italiano e ministro dell’Agricoltura (1944-1946). L’onorevole, convinto di evitare guai maggiori, decise di dare in coltivazione i terreni lasciati incolti dal principe alle cooperative e alle formazioni di contadini associati che, tuttavia, li avevano già occupati abusivamente, non senza essere ostacolati nelle azioni di forza dalle guardie di Torlonia e dai carabinieri (3).
Uno dei tanti manifesti di protesta affissi sui muri di Avezzano
Le rivendicazioni concrete dei contadini spinte dalle pessime condizioni di vita, sono state ben riassunte a suo tempo da Adriano Pizzuti, che scrisse in proposito: «All’inizio del 1945, la situazione si presentava ormai compromessa per la proprietà del latifondo, di fronte all’azione che la Marsica aveva decisamente intrapresa con lo scopo preciso di rivendicare il terreno del Fucino» (4).
NOTE
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