Home Attualità “Trascurata dal punto di vista archeologico l’area del Parco nazionale d’Abruzzo”

“Trascurata dal punto di vista archeologico l’area del Parco nazionale d’Abruzzo”

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Opi – Che l’Abruzzo sia una regione abitata fin dalla Preistoria lo dimostrano i ritrovamenti di selci paleolitici oltre agli avanzi neolitici, che sono vari e copiosi, e le tracce umane che lasciano ipotizzare l’esistenza di una civiltà cavernicola. Le vestigia dell’età del ferro sono di carattere essenzialmente funebre.

Nell’autunno del 1986 il prof. Giuseppe Grossi, allora Presidente dell’Archeoclub Marsica, il prof. Gianluca Tarquinio, che ci ha lasciati nel 2019, e il sottoscritto, allora Presidente della Pro Loco Opi, organizzarono ad Opi un convegno-dibattito sul tema: “Documentazione e progetto di studio sulla consistenza del patrimonio storico-archeologico-monumentale del territorio di Opi”. Evento nato per arricchire la nostra cultura e per conoscere la storia della nostra terra. Da quel momento prese il via la ricerca archeologica della zona del Parco.

In quella occasione il Presidente dell’Archeoclub, Grossi, e il prof. Tarquinio impressionarono l’uditorio, tanto che a distanza di soli sei mesi l’Orsa srl riuscì a organizzare il 1^ Convegno Nazionale di Archeologia dal tema: ”Il territorio del PNA nell’antichità”.

Al convegno, che si tenne a Civitella Alfedena, dove l’Orsa srl aveva la propria sede, Grossi esordì dicendo: “Il Parco Nazionale d’Abruzzo non è mai stato indagato dal punto di vista archeologico e topografico”, ad esclusione di pochi interventi effettuati prevalentemente sulla fascia di protezione esterna del PNA.

La ragione di tale mancanza è da attribuire alla visione dell’area Parco solo come oasi di bellezze naturali, prive di insediamenti antichi. A favorire tale atteggiamento, oltre naturalmente alla presenza del Parco che vieta alcuni interventi sul territorio, c’è anche la recente storiografia, legata alla descrizione del mondo antico superficiale e spesso, molto spesso, fantasiosa.

Gli insediamenti e le relative necropoli dell’area Parco hanno definitivamente cancellato l’immagine di popolazioni rozze, montanare e dedite esclusivamente alla pastorizia. Questo potrebbe dirsi degli ultimi secoli e non già per l’era più remota.

Le genti del Parco, e più precisamente quelle di Opi e Pescasseroli, emergono ora, alla luce della storia, con il proprio patrimonio culturale e monumentale, in attesa di essere percepite dai contemporanei che conoscono il Parco per lo più dal punto di vista naturalistico.

C’è da dire, però, che negli ultimissimi tempi, anche grazie a una rinnovata voglia di scoprire le proprie origini, si sta dimostrando la notevole antropizzazione dell’area Parco nell’antichità e la vitalità delle popolazioni italiche locali.

In un convegno che si tenne a Pescasseroli, dal tema: ”La scoperta del primo giacimento di vertebrati fossili nel Parco”, venne affermato che, prima del lupo e del camoscio, vi erano, in zona, predatori e prede: si parla di 10 milioni di anni fa.

Nella circostanza, il sottoscritto disse ai relatori che si alternarono al microfono “Cerchiamo una risposta chiara e veritiera” confortata da idonei documenti in modo di porre fine alle storielle che hanno sempre generato fantasie. Concludiamo ricordando che il tutto partì, come detto innanzi, da un’iniziativa della Pro Loco di Opi nell’anno 1986.

Leonardo da Vinci parlando di ritrovamenti diceva: “Tutti gli animali che anno (hanno) l’ossa dentro alla loro pelle che sono stati coperti da fanghi dei diluvi dei fiumi discosti a l’ordinari letti improntati e rinchiusi in tali fanghi… inconsumata la lor carnosità e intestine e sol ne restare l’ossa discomposte nel fondo della cavità… il fango se risecho (risecco) dell’umido acquoso e piglia l’umido vissioso e fassi preta richiudendo cose che in lui si trova”.

Nelle prossime occasioni racconteremo, se ci sarà data l’opportunità, di quello che gli storici e gli archeologi raccontarono al cospetto del numeroso pubblico presente.

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Violetta Salvati (Iole)

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