A Roma sono le 17 di un pomeriggio caldo e afoso, quello di sabato 24 luglio 1943. La città appare di fatto deserta e soprattutto angosciata. Nei giorni precedenti bombardamenti alleati avevano colpito diversi quartieri della capitale, provocando vittime, distruzioni e terrore. La popolazione è allo stremo, c’è difficoltà a reperire generi alimentari, in molti decidono di lasciare la città. C’è un’ostilità crescente e ormai diffusa, che attraversa del resto tutta l’Italia, verso un regime che ha condotto il paese in una guerra che appare ormai irrimediabilmente persa. A Roma si stanno per vivere 24 ore che -in un modo che apparirà, paradossalmente, quasi inconsapevole a molti dei protagonisti- daranno una svolta alla storia del paese, con la caduta di un regime ventennale che finirà per implodere, di fatto, su se stesso. E’ il momento storico che viene ricordato semplicemente con una data, appunto il 25 luglio 1943.
Nato come organo supremo del partito fascista e successivamente divenuto organo supremo del regime, il Gran Consiglio del Fascismo non si riuniva dal dicembre 1939. A richiederne, adesso, la convocazione, a metà luglio, era stato lo stesso segretario del partito, Carlo Scorza, insieme ad alcuni gerarchi, decisamente preoccupati per la crisi del regime e per una situazione che, sul piano militare, si faceva sempre più drammatica, anche per il recente sbarco angloamericano in Sicilia. Mussolini fissò la riunione del Gran Consiglio per le ore 17 del 24 luglio, nella sala del Pappagallo, a Palazzo Venezia. Così, in quel pomeriggio romano, sono le 17 e 15 quando la seduta si apre presenti, oltre al duce, 28 gerarchi.
Non c’è, forse, nella storia novecentesca, un evento, un fatto, come quello relativo alle dieci ore della durata del Gran Consiglio, che ha visto coagularsi, intorno al racconto di ciò che avvenne, così tante e diverse ricostruzioni e interpretazioni, nonostante la sostanziale linearità di quello che ne fu l’esito, cioè l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi che sfiduciava Mussolini e la successiva decisione del Re di sostituirlo con Pietro Badoglio, mentre lo stesso duce veniva posto agli arresti.
Il fatto è che fu proprio l’atteggiamento di Mussolini a sconcertare sia i protagonisti di quella riunione sia tutti quelli che, a vario titolo, ne hanno ricostruito l’andamento, chi nell’immediato, chi anni dopo, integrando, modificando, interpretando, a volte per convenienza o magari perché mossi da autentico spirito di verità, i termini e le intenzioni di quella riunione.
Ciò che provocò uno sconcerto pressochè generale fu l’arrendevolezza mostrata da un Mussolini apparso stanco, fisicamente sofferente, che si lasciò criticare e attaccare senza porre in essere nessuna delle azioni che pure facilmente avrebbero potuto bloccare sul nascere quelle iniziative, dal rinvio del Gran Consiglio alla presentazione di un proprio ordine del giorno o alla messa ai voti, ad esempio, prima di quello di Grandi, dell’ordine del giorno Scorza che, ravvisando l’urgente necessità di attuare riforme ed innovazioni nel Governo, non intaccava però più di tanto il ruolo del duce.
Del resto, nonostante la gravità del momento, in una buona parte dei gerarchi presenti non emergeva la volontà di defenestrare Mussolini, ma soltanto di sgravarlo dal comando militare e riconsegnare tale attribuzione, in quel momento così difficile, al sovrano. Il dibattito, in seno al Gran Consiglio, si fece serrato e, oltre all’ordine del giorno Grandi, ne furono presentati altri due, da Scorza, appunto, e Farinacci.
Sospesa alle 23, la seduta riprese più tardi. Poco dopo le 2 Mussolini decise di mettere in votazione l’ordine del giorno Grandi, il primo che era stato presentato e che era quello che invitava il duce a farsi da parte e di rimettere tutte le funzioni alla Corona. L’ordine del giorno passò con 19 voti favorevoli, 7 contrari e un astenuto, mentre Farinacci dichiarò di votare per il proprio ordine del giorno. Constatato l’esito della votazione, Mussolini disse: “Voi avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta”. Erano le ore 2 e 30 del 25 luglio. Alle 17 di quello stesso giorno, esattamente 24 ore dopo l’inizio del Gran Consiglio, a Villa Savoia il re comunicava al duce la decisione di affidare la guida del paese al maresciallo Badoglio. All’uscita dalla residenza reale, Mussolini veniva arrestato. Il regime ventennale finiva così.
Analizzando, in una accurata ricostruzione di quelle ore così febbrili, l’atteggiamento mussoliniano, lo storico Emilio Gentile parlerà di una sorta di eutanasia del duce, “la sua volontà di consapevole accettazione della propria fine, come un atto voluto”. Ma il 25 luglio 1943 resta comunque, ottantuno anni dopo, ancora una pagina aperta.
(maurizio cichetti)