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Le condizioni dei contadini nella Marsica (gennaio 1928) e le proposte per i nuovi contratti agrari

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Le condizioni dei contadini nella Marsica (gennaio 1928) e le proposte per i nuovi contratti agrari
Le condizioni dei contadini nella Marsica (gennaio 1928) e le proposte per i nuovi contratti agrari

Dopo aver lanciato la famosa «Battaglia del Grano», la politica agraria portata avanti dal sottosegretario all’agricoltura Arrigo Serpieri nel 1928, mostrò un forte atteggiamento ideologico e propagandistico, che mirava a obiettivi quasi esclusivamente produttivi, non riuscendo, purtroppo, a realizzare un migliore assetto fondiario. Occorre specificare che la sua nomina era stata salutata con favore dai circoli più democratici ma con riluttanza e avversione dai grandi latifondisti (vedi Torlonia per il Fucino). 

Una pausa per i contadini del Fucino

Nel riconoscere i limiti angusti della situazione agricola nel Mezzogiorno, Serpieri mise in discussione gli ordinamenti dello Stato che, secondo lui, avrebbero dovuto favorire la crescita di un sistema aziendale fondato sulla coesistenza di grande impresa e proprietà contadina. In seguito, la sua proposta di bonifica, suggerì una limitazione del diritto di proprietà privata in funzione dell’utilità pubblica, incoraggiando lo Stato fascista a un «diritto-dovere» di esproprio. 

In definitiva, la bonifica integrale, prevedeva inoltre un investimento di capitale rivolto alla trasformazione fondiaria, interamente a carico del governo (paesi, borghi, strade, infrastrutture) e all’obbligo dei privati di migliorare il terreno e le aziende poderali. 

Come era prevedibile, la sua politica agraria non riuscì a: «dar vita a strumenti operativi capaci di coordinare le attività pubbliche e private e di agire efficacemente sui proprietari agricoli inadempienti», per colpa di forti opposizioni interne, capeggiate dai potenti proprietari meridionali (1). Oltretutto, nella particolare cornice politico-sociale del periodo, come ben specificò l’avezzanese Adriano Pizzuti: «Nessun carattere cogente poteva, d’altronde, rivestire una convenzione siffatta in quel momento, quando l’ordinamento sindacale era in semplice fase di studio e gli organi stessi in timido esperimento, e quando la legislazione non era ancora adeguata a sostenere la giuridicità dei sindacati» (2). 

Il progetto di Serpieri (al momento bloccato), sarebbe stato approvato solo nel 1933, fornendo risposte analitiche ai problemi pratici dell’agricoltura del suo tempo. Se ciò non bastasse, occorre sottolineare che al regime fascista importava soprattutto un ritorno della società rurale ai valori della terra e della famiglia, tenendo ben presente la necessità di valorizzare il suo potenziale umano e «di accrescerlo con un massiccio incremento demografico che avrebbe dimostrato la vitalità fisica e soprattutto morale del popolo italiano rispetto agli altri». Come abbiamo detto lo stesso Mussolini, con una lunga serie di scritti e discorsi categorici su queste tematiche, promosse una massiccia campagna culturale, legislativa e propagandistica durante gli anni 1927-1928 (3).

Tuttavia, leggendo attentamente le corrispondenze inviate al “Popolo di Roma” da Cosimo Palumbo, si rilevano le reali condizioni della Marsica, caduta in questo periodo in uno stato davvero deplorevole, di là della solita retorica fascista usata dai gerarchi, che vedevano un potenziale e futuro sviluppo del territorio. Insomma, la situazione era pessima e, con acutezza, il giornalista descrisse i mali della zona visti in chiave realistica. Lo stesso comune di Avezzano, considerato uno dei centri più avanzati nella ricostruzione, si trovò in questo periodo privo di risorse per completare le fognature e asfaltare le strade. Figurarsi i paesi limitrofi e le loro frazioni, che giacevano già da alcuni anni in uno stato deplorevole: «Ed infatti la constatazione più istruttiva che si trae da questa messa a punto 1928 di Cosimo Palumbo, che non manca di ombre, è il permanere di una sfasatura tra città e campagna che il terremoto ha fortemente accentuato e che il fascismo non riesce a riequilibrare perché non è in grado di garantire condizioni accettabili o quanto meno sopportabili di vita e di lavoro, dinanzi alla strapotenza di Torlonia, in una campagna dove perciò o persiste l’esodo verso la città, in mancanza di quello transoceanico, o le condizioni economiche generali sono estremamente depresse». Oltremodo, costruttori improvvisati: «continuavano purtroppo ad assassinare le costruzioni, non volendo decidersi a tornare nei campi ove la loro opera è così necessaria e così vivamente desiderata dal Governo Nazionale» (4).

D’altronde, il «Gran Consiglio Fascista», in una delle sue ultime sedute, riaffermò la volontà (indirizzata in particolar modo ai coltivatori diretti e ai rapporti di mezzadria), di colonia e di piccola affittanza, che occorreva disciplinare al più presto con nuovi contratti: «con forza obbligatoria, da stipularsi tra le associazioni interessate, con particolare riguardo alle tradizioni, alle consuetudini e alle economie delle varie regioni» (5).

Lo stesso anno, Giovanni Pinori (giornalista e scrittore), in un lungo articolo di fondo, toccò con giusta competenza l’argomento, schierandosi con le politiche agricole del ministro Serpieri: «Non si può negare l’importanza di questa decisione; dal punto di vista economico essa rappresenta uno dei principali meriti dell’Italia fascista, poiché si vedrà sensibilmente migliorata l’economia dei piccoli affittuari e, per logico riflesso, l’economia generale dell’intera Nazione». Secondo lui, però, era necessario che le commissioni provinciali incaricate al controllo e alla conciliazione delle affittanze agrarie, dovevano essere più solleciti, poiché il ritardo della stipulazione dei contratti collettivi nel Fucino, nuoceva più che in altre zone, facendo rallentare quella trasformazione così necessaria all’economia rurale: «Il nostro contadino vive e lavora ancora come in quei tempi bruschi e loschi del Medioevo, è sempre schiavo dei proprietari, insensibili alle nuove idee suscitate dalla Rivoluzione fascista. Il conduttore deve sperare nell’ottima stagione per poter sbarcare il lunario (Oh, quanti ne abbiamo visti piangere quest’anno perché il magro raccolto fu solo sufficiente per pagare il padrone del fondo!). Cosicché il conduttore lavora sempre sotto l’incubo della fame e di dover abbandonare il terreno appena al proprietario gliene viene capriccio. E perciò non si affeziona alla terra, non cerca di migliorarla nella forza produttiva, trascura le rotazioni razionali e le necessarie piantagioni, mentre l’economia ne risente effetti letali». 

Un vecchio agricoltore nella piana fucense (S.Pelino-Paterno)

A questo punto Pinori parlò anche della grave inadempienza delle leggi agrarie, poiché: «il padrone del fondo non se ne cura per indifferenza e per innato egoismo, e l’affittuario tanto meno perché non è sicuro nel suo lavoro. Di modo ché nessuno prende interesse per l’agricoltura, nessuno, insomma, cura le importanti istituzioni integrative dell’agricoltura di cui l’Ente Nazionale delle Bonifiche, testé costituito, si fa promotore e sostenitore». 

Era pur vero che, gli utili provvedimenti, suggeriti dagli studiosi della “Cattedra dell’Agricoltura aquilana”, furono spesso trascurati dalle associazioni agricole e dagli enti rurali. Con severo giudizio morale, Pinori affermò che il contadino doveva essere considerato il vero proprietario del fondo, almeno per dieci, quindici, venti anni, mediante: «giusti, chiari, espliciti contratti di affitto (o di mezzadria come propugnavano i chiari professori Coletti e Casati), redatti secondo lo spirito del regio Decreto 10 settembre 1923 n.2023 e della legge 3 aprile 1926 n.563 [Disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro]». Solo in questo modo e rispettando alla lettera i nuovi ordinamenti si vedrà, come per incanto: «la trasformazione radicale dell’industria della terra, perché, in fondo, il contadino non è, com’è stato dipinto, l’ignorante proverbiale, ma è l’uomo che sa prevedere e provvedere, economo in tutto, sagace, sollecito, affezionato alla proprietà e lavoratore instancabile». Così l’agricoltore penserà anche a migliorare le sue attrezzature, per conseguire una più razionale sistemazione fondiaria, al fine di ottenere una buona produzione, costituendosi in efficaci consorzi di bonifica (idraulici e forestali) e divenire: «il vero soldato dell’avanguardia della Nazione, come ebbe a chiamarlo il Duce in un discorso rimasto celebre per l’agricoltura italiana, il disciplinato milite della Battaglia del Grano ed il sicuro fattore dell’immancabile vittoria». Ancor più chiaro, si ribadì che il contratto doveva riportare l’importante clausola: «che all’atto della riconsegna del fondo, qualsiasi miglioria apportata al terreno dall’affittuario, siano costruzioni, siano arginature, sistemazioni di scolo o opere d’irrigazione, verranno pagate previa estimazione di un perito da scegliersi fra i tecnici agricoli, che baserà la sua stima secondo il verbale descrittivo dell’atto di consegna del fondo». In complesso, occorreva rilevare che in alcuni contratti stipulati nel Meridione, furono incluse altre clausole, specialmente quando il fondo passava nelle mani di un altro conduttore. In questo caso, l’accordo non aveva più vigore e l’affittuario era tenuto a riconsegnare il terreno, mettendosi in regola con il nuovo proprietario. Tuttavia, per Pinori, questa condizione non era applicabile, soprattutto per le zone della Marsica, spezzettate in piccole proprietà: «perché un tale, sia per ambizione o per capriccio o per rappresaglia, farà magari debito e acquisterà un determinato fondo lasciando così il povero affittuario alle prese con la fame». 

Si doveva, dunque, rispettare sempre il contratto fino alla sua scadenza. Solo così i campi: «per le condizioni naturali e per laboriosità degli agricoltori, potranno diventare, in breve, granai di ricchezza e ricercati centri di benessere» (6).

NOTE

  1. Arrigo Serpieri fu promotore delle nuove norme e dal settembre 1929 al gennaio 1935 divenne sottosegretario alla Bonifica Integrale presso il Ministero dell’Agricoltura diretto da Giacomo Acerbo. Per un quadro d’insieme è stato utile consultare: A.Serpieri, La politica agraria in Italia ed i recenti provvedimenti legislativi, Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, Piacenza, 1925; invece, per tutte le azioni intraprese dopo le proposte di Serpieri, si veda: C.Fumian, Modernizzazione, tecnocrazia, ruralismo: Arrigo Serpieri, in «Italia contemporanea» n.137, ottobre-dicembre 1979, pp.3-34.
  2. A.Pizzuti, Le affittanze agrarie nel Fucino prima della riforma fondiaria, in «I Quaderni della Maremma», 1ª Serie, Documenti, Stabilimento A.Staderini Roma, Avezzano 1953, p.43.
  3. R.De Felice, Mussolini il fascista, II. L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Giulio Einaudi editore, Torino 2019, pp.378-379. 
  4. R.Colapietra, Fucino Ieri 1878-1951, Ente Fucino, Stabilimento roto-litografico «Abruzzo-Press», L’Aquila, ottobre 1998, pp.160-161. Lo storico aquilano trae queste importanti notizie da una corrispondenza di Palumbo, inviata al «Popolo di Roma», informazioni poi raccolte in La Marsica dopo tredici anni dal terremoto, De Arcangelis, Casalbordino, 1928, pp.29-30.
  5. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno X – Num.761 – Roma, 1° Gennaio 1928, Condizioni dell’Agricoltura e contratti agrari nella Marsica.
  6. Ibidem.
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Fulvio D'Amore ricercatore e saggista

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