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L’eccidio di Celano e lo sdegno dell’opinione pubblica italiana (maggio 1950)

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Necrologi Marsica Antonio D'Angelo
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Necrologi Marsica Giuseppina Petrocchi
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Necrologi Marsica Irene Fantauzzi
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Il peso della grande proprietà fondiaria del Fucino e la forte pressione dei braccianti, salariati e contadini poveri sfociarono, dopo la lunga serie di tentativi che avevano lo scopo prevalente di decongestionare le pressioni e di allentare le tensioni sociali, in violente ed estreme manifestazioni di forza. Quella di Celano fu la più grave. Tutti i giornali di sinistra denunciarono a chiare lettere la tragica notizia: «La protesta dei lavoratori per l’eccidio di Celano. L’eccidio di Celano ha suscitato la pronta reazione di tutti i lavoratori in Italia. La decisione dell’Esecutivo della CGIL che stabiliva la sospensione generale del lavoro nella mattinata di ieri, dalle 11,30 a mezzogiorno, ha trovato compatti e unanimi i lavoratori di tutta Italia […] Delle manifestazioni di protesta per l’eccidio di Celano diamo altri particolari nelle pagine provinciali». Infatti, la cronaca riportata dai vari inviati speciali, descrive i solenni funerali dei braccianti uccisi a Celano con queste parole: «Nel pianto improvviso della folla il fremito del dolore e della ribellione. Gli esponenti dei partiti democratici e delle organizzazioni operaie presenti alle estreme onoranze. La polizia ha operato 5 arresti su denuncia di testimoni all’eccidio: guardie di Torlonia e missini. Celano, 3 maggio.

Un’intera regione piange: il Fucino, principato dei Torlonia. E non dico piange come quando nelle commemorazioni ufficiali si annunzia che la Patria o la città è in lacrime. Qui si tratta di un pianto vero, accorato, come soltanto i bambini e gli uomini colpiti da una personale, enorme sventura sanno piangere. Questa mattina, nel lungo cammino verso il cimitero, le due bare avvolte in drappi rossi sono passate in mezzo a gente che singhiozzava: donne perpetuamente vestite di nero, quasi a legare un lutto ad altro lutto, bambini abbandonati alla sorte dei cani, uomini arsi dal sole e con gli occhi chiari, acquosi. Antonio Berardicurti e Agostino Paris erano uomini come questi: le fotografie che la pietà dei compagni ha composto tra i fiori sul luogo dell’eccidio li raffigurano come due forti e duri braccianti. Anche se, nei ritratti, Agostino e Antonio vestono l’uniforme di bersagliere e di cavalleggero: le fotografie dei poveri si fermano tutte all’epoca sorprendente e malinconica del servizio militare» (1).

Anche l’Unità commentò subito la notizia: «Commosso omaggio di popolo alle salme delle vittime di Celano. I solenni funerali. I rappresentanti dell’Opposizione seguono i feretri. Il discorso del compagno Giuseppe Di Vittorio. Compiuti cinque arresti tra i fascisti locali. Mezz’ora di sospensione del lavoro ieri mattina in tutta Italia. Dal nostro inviato speciale. Avezzano, 5. Stamane a Celano, durante quattro ore, si sono svolti i funerali di Antonio Berardicurti e Agostino Paris, le due più recenti vittime dello squadrismo agrario e della polizia governativa». Numerose delegazioni di contadini della Marsica e altre provenienti da tutto l’Abruzzo, furono presenti ai funerali con drappi rossi ben evidenti sulle bare. Parlò il «compagno Cantelmi», giovane segretario della sezione del PCI, poi il sindaco di Avezzano Iatosti, il senatore Giacomo Picchiotti (Partito Socialista Italiano) e l’onorevole Irene Chini Coccoli (Partito Comunista Italiano). 

La cronaca della giornata finì con la solenne promessa che la lotta dei contadini sarebbe continuata fino all’ultimo, nonostante le minacce dei fascisti e di Torlonia (2).

Intanto, l’esecutivo della CGIL decise all’unanimità che tutta l’Italia, in segno di protesta, avrebbe sospeso per quel giorno il lavoro. Indicativo rimane un articolo di Lucio Luzzatto intitolato: «Delitto di classe. Di anello in anello, si allunga troppo tragicamente questa catena di delitti e di sangue tanto che sembra un nuovo eccidio non possa significare nulla di più dei precedenti, che quasi ci si sia assuefatti alle tragiche notizie e la protesta resta, di volta in volta eguale […] È tipico delitto di classe, delitto contro i braccianti dopo la loro lotta e per la loro lotta: eseguito e manifestamente organizzato nelle forme della delinquenza di tipo fascista []». 

In seguito ci furono interrogazioni al Senato dei comunisti Cermignani e Perrotti, che poi giungeranno anch’essi in visita a Celano accompagnati da Buffalini, Corbi e Spallone; mentre, qualche giorno dopo, arrivò nella cittadina marsicana anche Arnaldo Fabriani del gruppo democratico (originario di Civita d’Antino). Tutti insieme, cercarono di ricostruire la dinamica della sparatoria, avvenuta mentre i contadini aspettavano l’assegnazione di un certo numero di giornate lavorative in base all’ultimo decreto prefettizio, quando la commissione celanese di collocamento si trovava in riunione all’interno dell’edificio comunale: «Cinque carabinieri con un sottufficiale raggiunsero perciò dalla Caserma il Municipio. In un primo episodio i carabinieri cercarono di allontanare i braccianti in attesa, e a loro pare sarebbero stati lanciati contro di loro, dalla parte dell’ingresso del Municipio anche dei sassi. Ma l’episodio tragico avvenne distintamente più tardi. Mentre i carabinieri uscivano dal Municipio dirigendosi verso la caserma lungo il margine esterno della piazza, con i moschetti imbracciati, si udirono colpi d’arma da fuoco: i carabinieri a loro volta spararono, prima in aria e poi verso terra, e proseguirono il loro cammino ritirandosi in Caserma. La sparatoria si svolse brevissima e intensa dai tre lati della piazza, con l’effetto che già conoscete: due morti e dodici feriti, uno dei quali gravissimo, e tra i quali due donne. La sparatoria fu iniziata e diretta freddamente contro i braccianti nella piazza dai due lati, e da gruppi esterni alla folla: l’uno appostato in un vicolo che sale, l’altro probabilmente dalle finestre delle case opposte». 

Al solenne rito funebre, oltre a politici e dirigenti locali, parteciparono anche i deputati Bruno Corbi e Aldo Natoli, più il segretario generale della CGIL Giuseppe Di Vittorio, il quale affermò: «Giustizia deve essere fatta. Ma se vi saranno degli ostacoli a questo, il popolo saprà imporre giustizia». L’opinione pubblica della vicina Capitale, appoggiò anch’essa la solidarietà dei lavoratori: «Operai e contadini compatti nella lotta per i comuni ideali. La protesta dei lavoratori romani per l’eccidio dei braccianti del Fucino. Questi morti sono anche nostri». 

Secondo il parere espresso dal segretario responsabile del consiglio delle leghe (Brandani), la causa profonda dell’eccidio doveva «ricercarsi nella volontà di Torlonia di riconquistare le posizioni perdute dopo la sconfitta subita a seguito della grande agitazione condotta dai braccianti, fittavoli e popolazione del Fucino per impedire la deflagrazione dell’agricoltura nella zona e nella volontà del principe di punire i lavoratori di avanguardia per la lotta intrapresa […] Su questo terreno di divisione e di provocazione si mira nel Fucino ad innestare l’azione successiva dei fascisti locali e delle guardie di Torlonia». 

Il consiglio delle leghe, dopo la lunga relazione, deliberò: la destituzione del comandante la stazione dei carabinieri di Celano per aver aperto il fuoco indiscriminatamente contro la folla dei braccianti; la trasformazione del feudo di Torlonia in un’azienda amministrata come ente autonomo (Ente del Fucino), con esclusione della famiglia Torlonia dall’amministrazione del Fucino; scioglimento della guardia armata di Torlonia e sospensione delle vendite nei mercati rionali.

I pareri sulla drammatica sparatoria, naturalmente, differivano l’un l’altro. Secondo l’inchiesta i lavoratori mitragliati a Celano, erano stati presi tra due fuochi. Il ministro dell’Interno Scelba, promise premi a chi facesse arrestare i colpevoli, anche se al momento: «neppure un fermo è stato compiuto fra i fascisti del luogo». La seduta alla Camera sui fatti di Celano, fu presentata dai comunisti Perrotti e Rodano, ma anche da altri parlamentari. 

L’onorevole Scelba dichiarò di aver inviato sul posto un ispettore generale di pubblica sicurezza per svolgere una rigorosa indagine: «Frattanto è emerso in maniera certa che elementi estranei, introdottisi tra la folla fecero fuoco a loro volta [] Ad ogni modo risulta certo fin d’ora che i carabinieri spararono solo reagendo al fuoco di elementi introdottisi fra la folla allo scopo preciso di provocare disordini ed anche di uccidere […] Chi sono costoro? Non c’è bisogno del milione di taglia per rintracciarli. Tutti concordemente denunciano le stesse persone e denuncie precise sono state consegnate ai carabinieri. Cosa è stato fatto per accertare le responsabilità di costoro? Nulla. Nemmeno un fermo nemmeno una perquisizione […] Fra violente proteste della sinistra il democristiano Fabriani ha difeso a spada tratta il suo elettore Torlonia, lanciando contro i comunisti le solite sciocche e vecchie accuse. La compagna Cinciari Rodano ha ricordato come la causa vera del contrasto e degli incidenti sta nella forte disoccupazione per cui i lavoratori dovevano discutere a lungo per poter usufruire tutti di un po’ di lavoro. In questo sta la responsabilità del Governo e su lui ricade la responsabilità anche del fatto che a Celano i fascisti, benché varie volte denunciati, continuavano a cantare Giovinezza tutte le sere e ad insultare i rappresentanti dei partiti democratici. Per conto loro i carabinieri non hanno fatto nulla contro i fascisti, neppure dopo l’eccidio, perché dissero – non avevano trovato i morti – e quando fu presentata una circostanziata denuncia da alcuni deputati dissero di non avere tempo di leggerla» (3). 

Le autorevoli osservazioni dello storico Colapietra, appoggiate in parte dalla storiografica più recente, riportano un giusto senso dell’analisi dei fatti: «L’eccidio di Celano, la sera del 30 aprile 1950, si colloca perciò in un preciso momento politico e sindacale nazionale e marsicano, non è una qualsiasi espressione di terrorismo feudale ma rappresenta una disperata manovra per ricacciare indietro la riforma, anzitutto nella sua forma elementare di occupazione della manodopera» (4).

NOTE

  1. Avanti!, Anno LIV – Nuova serie – N.105, Giovedì 4 maggio 1950.
  2. l’Unità, Organo del Partito Comunista Italiano, Anno XXVII (Nuova serie), N.105, Giovedì 4 maggio 1950.
  3. Avanti!, Anno LIV – Nuova serie  – N.104, Mercoledì 3 maggio 1950, pp.2-4
  4. R.Colapietra, cit., p. 251.
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Fulvio D'Amore ricercatore e saggista

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