Sante Marie – La festa di San Quirico e Santa Giulitta era attesa come l’evento dell’anno, che andava oltre quello di Natale, Pasqua e Ferragosto. La Festa per la quale valeva la pena di spendere soldi per comprare un abito, le scarpe per mostrarle (e mostrarsi) nei due giorni di festa, durante i quali si accompagnavano in processione i Santi protettori lungo le vie del paese. Con uomini e donne separate (come al Muro del Pianto a Gerusalemme) che si offrivano (e si offrono) per portare sulle spalle le due pesanti statue di San Quirico (gli uomini) e Santa Giulitta (le donne).
Ancora oggi i volenterosi sospinti da una fede incrollabile che si trasmette di padre in figlio si fanno carico (è il caso di dire) di caricarsi sulle spalle le statue dei Santi.
Dopo la Messa, solenne nella sua celebrazione per numero di parroci invitati e fedeli partecipanti, cominciava la processione lungo le strade in discesa e in salita del paese con la recita delle preghiere. Ma anche momento di conversazione lungo il percorso: «Orlà, come procede la raccolta del grano? L’uva sta maturando?». Domande sempre inerenti il fluire della vita in un paese la cui economia si basava essenzialmente sull’agricoltura ma con una filiera produttiva che oggi non c’è più: macellerie, il banco di Berenice con la vendita di olio e alimentari; calzolaio, sartore, stagnaro (Tobia e Elia), falegname (Mastrantonio), scaldalana. Un mondo un po’ gozzaniano, un po’ verghiano, un po’ siloniano che oggi non c’è più.
Una processione all’insegna delle preghiere, del canto e dei fuochi di artificio. Ma quello che più colpiva era quando si arrivava a “Palatera”, in prossimità della chiesa di San Nicola, per esporre i Santi (e far riposare chi li portava a spalla), era il festoso “canto” delle campane della chiesa accompagnate dalla banda musicale al seguito.
E così tutti gli anni, i decenni, i secoli. Verrebbe da dire con Ignazio Silone: «Per anni la solita terra, le solite piogge, il solito vento, la solita neve, i soliti cibi, le solite angustie, le solite pene, le solite feste».
La storia religiosa di Sante Marie si identifica con il nome stesso “Altun Sanctae Mariae”, luogo alto in onore di Maria Santissima (in origine, all’alba dell’Anno Mille, il paese sorgeva a oltre mille metri di altezza). La traduzione dal latino dopo l’incalzare della lingua volgare, la nascita della lingua italiana.
Non si hanno notizie certe sulla datazione della processione, ma è da registrare che le numerose visite nei secoli passati dei Vescovi della Diocesi dei Marsi avvenivano anche in simili circostanze.
La fonte documentale – oltre alla tradizione orale – importante per la ricostruzione storica della vita religiosa a Sante Marie è quella relativa alle visite che il Vescovo era tenuto a eseguire nel corso dell’anno alle Chiese della Forania. «Già nel 1512 Mons. Marcello Crescenzio aveva concesso a Gio: Pietro De Thomasis i benefici ecclesiali di S: Cipriano e S. Quirico “in terra Sanctarum Mariarum”».
Mai la Festa di San Quirico e Santa Giulitta è stata interrotta, neppure negli anni bui della seconda guerra mondiale del secolo scorso; neppure nel 1944 quando il paese subì un violento bombardamento ad opera di aerei anglo-americani che provocò la morte di decine e decine di persone.
«Il profilo spirituale dell’Abruzzo è stato modellato dal cristianesimo: l’Abruzzo è stato, attraverso i secoli, prevalentemente una creazione di santi e di lavoratori. Dopo averne capito le montagne, che sono il corpo, per scoprire l’interna struttura morale dell’Abruzzo bisogna dunque conoscerne i Santi e la povera gente» ha scritto Ignazio Silone nella prefazione alla guida “Abruzzo e Molise” del 1948 edita dal Touring Club Italiano. Se sostituiamo la parola Abruzzo e inseriamo Sante Marie, che della Regione è parte integrante, il risultato non cambia.
Un paese in festa, un paese che rafforza le proprie radici cristiane, ma una festa anche gastronomica. Nel microcosmo santemariano con una economia agricola-pastorale le feste si presentano come importanti occasioni di consumo alimentare. Con pasta fatta in casa con uova delle proprie galline, fettuccine, lasagne (tipico della festa di San Quirico), carne bovina di Sante Marie, insalata e pomodori del proprio orto, il vino qualcuno lo faceva con uva del proprio vigneto. «Oggi sì che se revede un po’ de grazia di Dio» diceva soddisfatto più di qualcuno per l’abbondanza di cibo nei giorni di festa.
Il racconto sul filo della memoria è del novantacinquenne (li compie il 21 ottobre) santemariano Evaristo Di Giulio, che ha attraversato tutto il XX secolo e oggi assiste con malinconia al tramonto di un’epoca che, nonostante guerre e miserie, si svolgeva felice, anche con una numerosa prole al seguito (7, 8 e anche 11 figli). Che cosa lascia alle nuove generazioni? «Alle nuove generazioni auguro tante cose belle, però mi pare che non hanno tanta voglia di lavorare. Oggi non farebbero quello che abbiamo fatto noi» conclude l’ultra novantenne Evaristo con una riflessione di sfida.
Una tradizione enologica a Sante Marie non c’è mai stata per l’asperità del terreno, per la mancanza di vignaioli capaci di fare vino. E poi c’era la cantina dei Santi, funzionale a raccogliere i soldi per la Festa, dove il vino scorreva velocemente nelle vene dei bevitori.
Un paese millenario Sante Marie, lambito dalla Storia, sempre parte integrante del Ducato oppure del Principe del momento. Mai Sante Marie è stato parte attiva di un episodio di guerra tale da essere ricordato nei manuali di storia.
Soltanto un episodio è da menzionare: la cattura l’8 dicembre 1861 del catalano Josè Borjès, approdato in Calabria per sollevare la popolazione e rimettere sul trono di Napoli Francesco II. Cattura avvenuta nella Cascina Mastroddi, nella Valle di Luppa in territorio di Sante Marie, al confine con lo Stato della Chiesa, dove si infranse il sogno di un gruppo di soldati sbandati sbarcati in Italia. Per questa cattura effettuata da soldati della nuova Italia e guardie nazionali di Sante Marie, l’Amministrazione comunale l’8 dicembre 1966 fece erigere un cippo marmoreo con la dedica scritta dallo storico di Santo Stefano di Sante Marie, Pietro Bontempi, socio della Deputazione Abruzzese di Storia Patria dimenticato troppo in fretta dopo la morte: «In questo remoto casolare l’8 dicembre 1861 al comando di Enrico Franchini soldati italiani e guardie nazionali di S. Marie fidenti nell’unità d’Italia prodemente debellavano ardita banda mercenaria che capeggiata da Josè Borjès mirava a restaurare il nefasto regime borbonico».
Foto © Enzo Di Giacomo Foto Bianco/Nero da una mostra a cura di Mauro Di Giovanni