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Inchiesta ex discarica di San Marcello, il Noe a lavoro con i piezometri per il controllo delle falde acquifere

Due pozzi, dei tre costruiti alla fine degli anni '90, limitrofi all'ex discarica (che avrebbero dovuto garantire i controlli), sono stati trovati completamente secchi
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Celano. Continua il lavoro del Nucleo operativo ecologico dell’Arma dei carabinieri all’interno dell’area posta sotto sequestro dalla procura della Repubblica di Avezzano, a Celano. Si tratta del sito che comprende anche il perimetro all’interno di cui un tempo c’era la discarica denominata “San Marcello”.

Gli uomini del maggiore Antonio Spoletini sono arrivati di nuovo da Pescara per portare avanti gli esami sul terreno, come disposto dal pm Maurizio Maria Cerrato,  titolare dell’inchiesta aperta dalla Procura dopo degli esposti, in cui si ipotizzano reati ambientali.

Al momento non risultano ancora iscritti nel registro degli indagati. Una squadra di operai, composta anche da personale del Comune di Celano, messo a disposizione dal sindaco Settimio Santilli, insieme ai tecnici dell’Arta e ai militari del Noe, sta lavorando con i piezometri, dispositivi che consentono di individuare la quota piezometrica di una massa liquida. È in corso, dunque, l’attività che permette di integrare la conoscenza idrogeologica della falda acquifera superficiale e profonda che interessa tutta l’area.

Il lavoro va avanti già da diversi giorni e, purtroppo, dei tre pozzi costruiti alla fine degli anni ’90, secondo la normativa allora vigente, che avrebbero dovuto garantire controlli efficaci sulle falde acquifere che circondavano l’allora perimetro della discarica, due sono stati trovati praticamente secchi e quindi inutilizzabili. Per chiarire questa circostanza diverse potrebbero essere le ipotesi. Da allora, infatti, le falde acquifere potrebbero aver avuto delle variazioni. Si pensi ad esempio ai continui terremoti. Rimane il dubbio, però, (dubbio che “si spera” potranno accertare i carabinieri) che queste falde, all’epoca, non siano state realizzate nei luoghi giusti per rendere efficaci i controlli.

 

Dagli esami in corso, comunque, è chiaro che non uscirà fuori solo il quadro delle falde acquifere che interessano il territorio dove un tempo giaceva la discarica ma anche tutto quello circostante e quindi quello in cui vengono coltivati i campi.

ITER PER IL RICONOSCIMENTO DI “SIR”. Intanto continua l’iter per il riconoscimento del sito (a oggi ancora sotto sequestro) di “interesse regionale”, cosiddetto “Sir”.

Nell’area in cui insiste l’ex discarica è stato accertato un degrado ambientale che non può essere sanato con i soldi del Comune e nemmeno con quelli della Regione. Per la bonifica (bonifica è un termine generico considerato tutti i lavori di risanamento che andrebbero fatti per eliminare il degrado ambientale) bisogna portare la vicenda a “livello nazionale” e chiedere i soldi al Ministero dell’Ambiente.

Il sindaco di Celano è ancora in attesa di una risposta da parte della giunta regionale, che, a quanto pare, è ancora alle prese con la “bonifica” della mega discarica di Bussi, su cui dovrebbero convogliare dei fondi anche di grandi società non pubbliche. A Celano, dunque, non si sa ancora quanti e soprattutto quando, arriveranno i soldi necessari per i lavori definitivi che farebbero uniformare alla normativa europea, l’intero sito.

Ancora sotto sequestro sono anche tutti i terreni privati, che si trovano intorno alla discarica.

LA STORIA. Per anni i carabinieri del Nucleo operativo ecologico hanno lavorano al fianco dei tecnici della RES.GEA azienda Spin-off dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti che si sono occupati delle indagini di telerilevamento e di geofisica. A febbraio del 2016 si parlò di mezzo milione di metri cubi di materiali «di dubbia provenienza» interrati nell’arco di 70 anni. A distanza di un anno venne alla luce che i metri cubi erano praticamente il doppio.

La presenza è nel territorio del Comune di Celano, all’interno e al di fuori del perimetro dell’ex discarica di San Marcello e fu rilevata dalle innovative tecnologie scaturite dal lavoro sperimentale e di ricerca degli studenti dell’Università d’Annunzio di Chieti. Con le immagini acquisite dalle piattaforme aeree e satellitari, a partire dagli anni ’50 a oggi, è stato accertato che in quell’area sono stati gettati rifiuti che negli anni si sono accumulati e hanno creato inquinamento. Il fatto “grave” è che si tratta di rifiuti pericolosi e che l’area si trova adiacente a numerosi terreni coltivati. Poco più in là inizia la piana del Fucino. L’anno scorso furono sottoposti a sequestro 43 ettari di terreno. Un terzo della superficie si trova all’interno dell’ex discarica, i due terzi sono terreni che stanno intorno. Circa una dozzina i privati proprietari dei terreni limitrofi, il restante delle aree (compresi gli ettari dell’ex discarica) sono di proprietà del Comune.

«L’approccio metodologico di telerilevamento utilizzato mira a chiarire la natura e gli spessori di materiali presenti», fece sapere a febbraio dello scorso anno la Res Gea, «abbiamo individuato diversi siti precedentemente adibiti ad attività estrattive, silenziosamente colmati totalmente o parzialmente con materiale di dubbia provenienza, aree che nel corso degli anni sono state oggetto di svariati abbandoni di rifiuti direttamente sul piano campagna e altre aree con evidenze di movimentazione di terreni e suoli al di sopra di aree utilizzate a fini agricoli».

LE INCHIESTE. La discarica di San Marcello negli anni ’70 era a uso intercomunale e veniva utilizzata per lo scarico degli inerti. Negli anni ’90, quando cambiò la normativa (di fatto quasi inesistente fino ad allora) sulla gestione dei rifiuti, iniziarono le prime notizie di reato, a firma del Corpo forestale dello Stato.

Col passare degli anni, nell’area sono stati dismessi rifiuti di ogni genere e i forestali segnalarono e denunciarono quanto accadeva, decine di volte anche alla Regione.

Con l’apertura di un fascicolo in procura, nel 2006, arrivò anche una denuncia all’amministrazione comunale. Le immagini catturate da speciali droni sono state analizzate e mostrano l’abbancamento di cumuli le cui dimensioni superano i 4 metri in pianta, oltre le capacità dei mezzi a uso domestico, evidenziando la gestione ordinata delle operazioni, presumibilmente riconducibili ad aziende specializzate nel settore dei rifiuti.

Molti terreni oggetto d’esame, in precedenza a vocazione agricola, risulterebbero ora interamente corrotti dall’abbandono e dalla permanenza dei rifiuti.

La foto di copertina si riferisce agli scavi di marzo dello scorso anno.

 

 

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Magda Tirabassi

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