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L’Umanesimo antropologico di Romolo Liberale: riflessioni della scrittrice Maria Assunta Oddi

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Romolo Liberale
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Presso il cuore storico di Luco dei Marsi, organizzato dall’associazione culturale “Presenza”, è stata presentata, nella giornata memorabile di San Lorenzo, L’opera corale titolata “Testimonianze e ricordi” per celebrare i 100 anni dalla nascita del poeta e saggista Romolo Liberale.

Nel volume, scritto a più voci, gli interventi dei vari autori nel segno del ricordo e delle emozioni hanno delineato un profilo etico, sociale e artistico di Romolo nell’intento di mettere in rilievo il suo attaccamento alla terra del Fucino e alla sua gente. Un poema d’amore, pertanto, ora serio e accademico, ora sentimentale e domestico, ora nutrito della mestizia delle piccole cose ora accorato e passionale nella lotta  contro il potere costituito.

Come una profezia biblica Romolo introduce il testo ”Fucino Mio Paese” con queste parole: “Ai cento anni del Fucino-terra, alla gente delle mie contrade venute al tempo dell’uomo con la fatica e la lotta, allo scomparso lago di storia e di leggenda, dedico questo canto solitario per una coralità di nuove speranze”. Questa dedica di apertura della sua, a mio avviso, maggiore fatica letteraria mostra che un centenario pesa allo stesso modo sulla vita individuale e collettiva se vi è coscienza di classe.

Nato il 1 settembre del 1922 e scomparso nell’ottobre del 2013 è ancora seme che germoglia nuove attese di abbondanti fioriture, è lievito di vita nuova, è sale che dona sapore ai giorni col senso profondo della vita.

Romolo seguendo la teoria gramsciana dell’”Intellettuale collettivo” riesce anche nei giorni odierni a farsi interprete degli interessi più larghi e profondi negli strati subalterni non solo dei braccianti agricoli del Fucino, oggi quasi tutti emigranti, ma di tutte le categorie dei lavoratori a cui vengono negati i diritti, dando omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico. Proprio nella rottura epistemologica di una storia incapace di liberare i ceti oppressi nasce la sua lotta sindacale in funzione rivoluzionaria per l’affrancamento dall’egemonia dei potenti e nel contempo il suo umanesimo antropologico. Contro il determinismo fatalistico l’emancipazione dei lavoratori non è emancipazione di una classe soltanto ma dell’uomo. Rispetto ad una società che tende sempre a fare della persona un rassegnato incapace di contrapporsi alla realtà nei suoi aspetti negativi, repressivi e oppressivi Romolo offre l’unica alternativa nella lotta tramite un processo di associazione e di aggregazione. Dal prosciugamento del lago durato dal 1854 al 1876 le masse popolari sotto il giogo di Torlonia, organizzarono le prime forme di resistenza tramite leghe contadine di mutuo soccorso in tutta la Marsica, dette anche Camere del Lavoro, presso i Circoli socialisti. Esaltare l’attesa in un futuro migliore, superare il pregiudizio, rivendicare la dignità dell’uomo al di sopra di ogni differenza etnica, religiosa, o di censo, significa credere nell’”UOMO” e nella sua capacità di costruire la storia rivendicando progresso, libertà e democrazia. Alcuni canti del Poema già citato ”Fucino Mio Paese” concepiti ed elaborati in carcere patito per motivi sindacali, mostrano un impegno letterario che conduce ad “albe di speranze”: “chiedo parole (…) / da donare ai giorni dell’uomo perché si unisca al fratello/ e accorra a mietere il grano/ laddove seminammo le nostre speranze”.  L’umanesimo di Romolo, facendosi utopia cristiana e nel contempo laica supera anche la dicotomia tra fede e scienza nel concetto inclusivo dell’Amore.

Se come dice il Professore di diritto agrario europeo, Francesco Adornato, ogni terra ha anche il suo Principe-saccheggiatore ad ostacolare l’evoluzione agricola del territorio, ogni popolo oppresso ha il diritto-dovere di ribellarsi all’ingiustizia per farsi protagonista attivo del suo destino esistenziale, facendo appello all’importanza del contributo di ogni individuo nella costruzione della Civitas.

Come il nostro Silone, anche Liberale seppe cantare dei “cafoni del Fucino” la semplicità e nel contempo la gentilezza dell’animo capace di scrivere i versi più teneri. Più volte Romolo ha citato le liriche del pastore-poeta di Pescasseroli, Cesidio Gentile, detto Jurico, per testimoniare come la poesia possa albergare in ognuno di noi a prescindere dal titolo accademico.  Liberale si pone oltre la sua ideologia includendo la società della contaminazione culturale ed etnica nel sentimento più nobile: l’amore: “Parlate dell’uomo come parlate dell’amore”. Romolo e il suo “Fratello” compagno Tommaso, amavano spesso recitare in pubblico i versi di Hikmet, imparati a memoria: “Non vivere su questa terra/ come un estraneo/ e come un vagabondo sognatore. / Vivi in questo mondo / come nella casa di tuo padre: /credi al grano, alla terra, al mare/ ma prima di tutto credi all’uomo. /Ama le nuvole/ le macchine/ i libri, / ma prima di tutto ama l’uomo.”

Romolo considera l’amore superiore al peccato. Nella poesia “In ballata di Maria di Magda” dice: “L’ombra delle palme/ conosceva il suo peccato (…) / il silenzio della notte/ conosceva il suo peccato/ e il suo peccato si chiama amore/ (…) / Quando venne il figlio dell’uomo / ed ella gli bagnò i piedi stanchi/ il suo peccato si chiamò amore / e il suo amore dimenticò il peccato”.

Liberandosi dall’oscurantismo religioso e dai pregiudizi il nostro scrittore entra a pieno titolo nella contemporaneità facendo del mondo “un villaggio globale” dove la ricerca della felicità non è solo affrancamento dalla miseria e dallo sfruttamento ma capacità di percepire il bello come rinascita di una dignità che va oltre il soddisfacimento dei bisogni materiali.

Come saggiamente sostiene il professore Alberto Marino l’amore in Liberale “non vuol dire soggiacere, sottostare alle ingiustizie e alle prepotenze”. Nella vita quotidiana dei poveri ed oppressi spesso tormentata dall’indifferenza dei ricchi dominatori “amare vuol dire affermare quei valori e quei principi giusti per i quali vale la pena spendere una vita intera”.

Nella raccolta ”Parabole” del 1971, Edizione Eirene, Romolo sostiene che l’amore se non è finalizzato al rispetto di tutti e di ognuno tramite la realizzazione dell’equità sociale, è sterile e vana ipocrisia: “ L’amore dei ricchi/ rassomiglia a quello dei rospi:/ si fa nel fango/ L’amore dei poveri/ rassomiglia a quello dei fiori: si fa al sole:”

L’amore che non è solo lotta civile ma ricerca estetica che va oltre il materialismo e il sensismo, posto tra laicismo e fede, fra sensualità e spiritualità, tra sentimento individuale per la sua sposa ed enfasi nella passione collettiva per la lotta politica contro le ingiustizie è stato il motore di tutta la sua esistenza. 

In nome della valenza antropica posta nella fiducia nell’uomo, Liberale ha sempre invitato ad un cosmopolitismo capace di fare dell’umanità un’unica fraterna famiglia. Verso i giovani, a cui sempre rivolse parole di incoraggiamento e di fiducia, Romolo mostrò disponibilità nell’incoraggiarli ad esprimere il loro sentire intimo per una società aperta e inclusiva. Non ha mai permesso nonostante la sua militanza nel partito comunista la subordinazione della cultura alla politica. L’onestà intellettuale nell’intento di tutelare la libertà di pensiero e di espressione lo ha reso “amico” e “confidente” leale del suo tempo e del nostro.

Dopo cento anni dalla sua nascita la numerosa figliolanza etica e culturale deriva dall’autentica, ottimistica, freschissima spontaneità della sua scrittura che non si rivolge solo a critici e scrittori, ma al popolo della sua Marsica e di tutti i paesi che lottano per la giustizia, anche per gli ignoranti ai quali ha saputo insegnare l’alfabeto di una comunicazione che deve servire a renderci reciprocamente più consapevoli per non evadere dalle responsabilità storiche. La letteratura che va oltre la vita per Romolo significò soprattutto una chiara apertura di mondi possibili nell’idealismo rivoluzionario evocato con la grandezza umana di un poeta.

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