Chi di noi non ha mai canticchiato almeno una strofa dell’Inno di Mameli, ma quanti ne conoscono il significato?
Ogni volta che gioca la Nazionale di qualsiasi sport, risuona l’Inno d’Italia o meglio l’Inno di Mameli, con le sue note parole. Ma qual è la sua origine e quale il significato delle strofe dell’inno di Mameli? Dal 12 ottobre del 1946, l’inno nazionale d’Italia è l’Inno di Mameli, scritto nell’autunno del 1847, durante le famose Cinque giornate di Milano, dallo studente e patriota genovese Goffredo Mameli, e musicato da un altro genovese, Michele Novaro.
Nato in un clima di esaltazione patriottica che annunciava la guerra contro l’Austria, l’inno presenta numerosi riferimenti storici del passato. Questa la spiegazione più plausibile, strofa per strofa.
Fratelli d’Italia/L’Italia s’è desta,/Dell’elmo di Scipio/S’è cinta la testa.
Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, fu il generale e uomo politico romano vincitore dei Cartaginesi e di Annibale nel 202 a. C. a Zama, la battaglia decretò la fine della seconda guerra punica, con la schiacciante vittoria dei Romani. L’Italia, ormai pronta alla guerra d’indipendenza dall’Austria, si cinge figurativamente la testa dell’elmo di Scipione come richiamo metaforico alle gesta eroiche e valorose degli antichi Romani.
Dov’è la Vittoria?/Le porga la chioma,/Ché schiava di Roma/Iddio la creò.
Si riferisce all’uso antico di tagliare i capelli alle schiave per distinguerle dalle donne libere; queste ultime, per sottolineare il loro stato, erano solite tenere i capelli lunghi. La dea Vittoria rappresentata come una donna dai lunghi capelli, dovrebbe quindi porgere la chioma perché le venga tagliata in segno di sottomissione a Roma: il senso della quartina è la certezza di Mameli che, in caso di insurrezione contro gli austriaci, la Vittoria non potrà che essere degli italiani perché è il destino che così vuole.
Stringiamci a coorte/Siam pronti alla morte/L’Italia chiamò.
La coorte era un’unità da combattimento dell’esercito romano, composta da 600 uomini: era la decima parte di una legione. “Stringiamci a coorte” vuole dunque essere un’esortazione a presentarsi senza indugio alle armi, a rimanere uniti e compatti, disposti a morire, per la liberazione dall’oppressore straniero.
Noi siamo da secoli/Calpesti, derisi,/Perché non siam popolo,/Perché siam divisi./Raccolgaci un’unica/Bandiera, una speme:/Di fonderci insieme/Già l’ora suonò./
Stringiamci a coorte/Siam pronti alla morte/L’Italia chiamò.
Si tratta di un richiamo al desiderio di raccogliersi sotto un’unica bandiera: speranza (speme) di unità e di ideali condivisi per un’Italia, quella del 1848, ancora divisa in sette Stati (Regno delle due Sicilie, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo-Veneto, Ducato di Parma, Ducato di Modena).
Uniamoci, amiamoci,/l’Unione, e l’amore/Rivelano ai Popoli/Le vie del Signore;
Giuriamo far libero/Il suolo natìo:/Uniti per Dio/Chi vincer ci può?/Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte/L’Italia chiamò
Mameli era un mazziniano convinto e in questa strofa interpreta il disegno politico del fondatore della “Giovine Italia”: quello di arrivare, attraverso l’unione di tutti gli Stati italiani, alla realizzazione della repubblica. “Per Dio” è un francesismo (e non un’imprecazione), che significa “attraverso Dio”, “da Dio”, qui inteso come sostenitore dei popoli oppressi.
Dall’Alpi a Sicilia/Dovunque è Legnano,
La battaglia di Legnano, del 1176, è quella in cui la Lega Lombarda, al comando di Alberto da Giussano, sconfisse Federico I di Svevia, il Barbarossa. A seguito della sconfitta l’imperatore, sceso in Italia per affermare la sua autorità, fu costretto a rinunciare alle sue pretese di supremazia; scese dunque a patti con le città lombarde, con cui stipulò una tregua di 6 anni, a cui seguì nel 1183 la pace di Costanza in cui dovette riconoscere le autonomie cittadine.
Ogn’uom di Ferruccio/Ha il core, ha la mano,
Si riferisce all’eroica difesa della Repubblica di Firenze che tra il 12 ottobre del 1529 e il 12 agosto del 1530 venne assediata dall’esercito imperiale di Carlo V d’Asburgo. Nel corso dell’assedio, il capitano Francesco Ferrucci venne ferito a morte, e finito da Fabrizio Maramaldo, un capitano di ventura al soldo dell’esercito imperiale, il cui nome è diventato sinonimo di “vile” e al quale Ferrucci rivolse le parole “Tu uccidi un uomo morto”. Il 12 agosto i fiorentini firmarono la resa che li sottometteva nuovamente ai Medici.
I bimbi d’Italia/Si chiaman Balilla,
Il richiamo a tutte le genti d’Italia è al valore e al coraggio del leggendario Balilla, il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese: si tratta del soprannome del fanciullo, forse un certo Giambattista Perasso, che il 5 dicembre 1746 scagliò una pietra contro un ufficiale, dando l’avvio alla rivolta che portò alla liberazione della città
Il suon d’ogni squilla/I Vespri suonò./Stringiamci a coorte/Siam pronti alla morte/
L’Italia chiamò.
“Il suon d’ogni squilla” significa “il suono di ogni campana”. L’evento cui fa riferimento Mameli è quello dei “Vespri Siciliani”: nome dato al moto per cui la Sicilia insorse dopo 16 anni di dominio angioino (francese) e si diede agli aragonesi (spagnoli). All’ora dei vespri del lunedì di Pasqua del 31 marzo 1282 tutte le campane si misero a suonare per sollecitare il popolo di Palermo all’insurrezione contro i francesi.
Son giunchi che piegano/Le spade vendute:/Già l’Aquila d’Austria/Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,/Il sangue Polacco,/Bevé, col cosacco,/Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte/Siam pronti alla morte/L’Italia chiamò.
L’Austria degli Asburgo (di cui l’aquila bicipite era il simbolo imperiale) era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie di cui erano piene le file dell’esercito imperiale) e Mameli chiama un’ultima volta a raccolta le genti italiche per dare il colpo di grazia alla dominazione austriaca con un parallelismo con la Polonia.
Tra il 1772 e il 1795, l’Impero austro-ungarico, assieme alla Russia (il “cosacco”) aveva invaso la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi, l’italiano e il polacco, può trasformarsi in veleno attraverso la sollevazione contro l’oppressore straniero. Questo è il nostro inno, peccato che molti ne hanno dimenticato l’importanza. Chissà, magari comprendendo il significato delle parole si potrebbe riscoprire un senso ed un amor patrio sepolto.