Soldati spagnoli e francesi
Giulio Pezzola del Borghetto e le sue scorribande nella Marsica (1646)
Le grandi insurrezioni popolari, aizzate dalle potenze spagnole e francesi, dal papa-re e da fazioni baronali (vedi Colonna, Barberini, conti di Celano ecc.) causarono tra Lazio e Abruzzo continui saccheggi...
I confini della Marsica arrivano fino al Monte Marsicano
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Decreto-di-nomina
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Aurelio Mattei (1763-1835) uomo politico, Cavaliere della guardia papalina e cultore di antichità. Nacque da Ladislao, il cittadino più ricco di Avezzano[1] e probabilmente dell’intera Marsica, il 2 aprile...
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Il culto di San Giorgio
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Soldati spagnoli e commissario
Spese gravose delle Università marsicane per mantenere commissari e soldati spagnoli (1607-1631)
Le «gabelle» (che erano molteplici forme di contribuzione, non legate da alcun rapporto d’identità, come un’imposta diretta o indiretta oppure anche una tassa), gravarono in modo particolare sui prodotti...
Magliano de' Marsi si prepara a celebrare il bicentenario della nascita di Padre Panfilo Pietrobattista, insigne teologo e missionario
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   La Necropoli di Val Fondillo
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Le rovine della sede della Banca Marsicana di Pescina distrutta dal terremoto del 1915
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“Pasolini 1922 -2022 un mistero italiano”, è il titolo del nuovo libro di Lucia Visca, presentato a Capistrello dall’associazione Amici dell’Emissario

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Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, Lucia Visca, sarà a Capistrello, venerdì 13 maggio, alle ore 17.00 presso la sala consiliare del Comune

CapistrelloLucia Visca, romana, è giornalista e autrice. Già redattrice di Paese Sera, ha lavorato nelle redazioni di diversi quotidiani del Gruppo Espresso e, come vaticanista, nell’Agenzia Giornali Locali. È fondatrice della Casa Editrice All Around Edizioni.

Appena ventiduenne, fu la prima giornalista ad arrivare all’Idroscalo di Ostia, la mattina del 2 novembre del 1975, dove fu rinvenuto il cadavere sfigurato di un uomo, che si scopri poi, essere quello di Pier Paolo Pasolini.

«È brutto da dirsi ma devo la mia carriera a Pier Paolo Pasolini. O meglio, alla sua tragica morte. Non tanto perché sono stata la prima giornalista ad avere l’onore e l’orrore di vedere quel corpo massacrato. Quanto perché il 2 novembre 1975 ho imparato sul campo alcune semplici regole di buon giornalismo: mai fermarsi alla prima impressione, mai dare troppa fiducia a una sola fonte, mai accontentarsi della spiegazione più semplice. Oggi lo chiamiamo giornalismo investigativo. Una volta era semplicemente fare il cronista, senza mai dimenticare il rispetto dei fatti e delle persone.» Queste le parole della giornalista.

È difficile calare su Pasolini una definizione che lo rappresenti per intero, e che spieghi in maniera esaustiva ciò che è stata la sua produzione culturale. Sicuramente, usare la parola intellettuale, per un personaggio come lui, così fuori dagli schemi, così avanti rispetto agli anni in cui ha vissuto, così lontano dalla morale del suo tempo, non rende giustizia a ciò che lui è stato.

La sua opera sembra il monito di un uomo che aveva già visto il futuro. Da qui la sua preoccupazione per il rapido disfacimento della società, che sarebbe presto scomparsa nell’omologazione di massa, dimenticando millenni di storia della civiltà italica. Il suo essere visceralmente contro la così detta società borghese, con i suoi riti e le sue ipocrisie, assurti a modelli da emulare, fu forse il suo tentativo di resistere al conformismo della civiltà dei consumi.

Film come Accattone, sono il grido accorato di un uomo che tenta di preservare la genuinità di un mondo che stava scomparendo, quello delle borgate, dove lui amava tanto immergersi per ritrovare l’essenza dell’uomo nell’autenticità degli istinti primordiali, dove tutto è essenziale e privo di veli. Perfino il ricorso ad attori non professionisti, che avessero istintivamente caratteristiche tali da poter interpretare personaggi dai lineamenti duri, marcati, quasi selvatici, sembrerebbe esaltare la sua ossessiva ricerca di verità.

In uno dei suoi romanzi più discussi, Ragazzi di vita, dove Pasolini descrive una serie di vicende che si intrecciano fra loro nelle borgate di Roma, nell’immediato dopoguerra, si coglie il suo sconfinato, struggente amore per la vita. Ragazzi di vita, racconta storie di ragazzi del sottoproletariato che vivono alla giornata, ricorrendo ad ogni espediente e ad ogni più misero escamotage per riuscire a sopravvivere.

Il romanzo, pubblicato nel 1955, parla del degrado di vite ai margini, in un mondo che le cronache di oggi chiamerebbero il mondo di sotto. Sono gli anni del boom economico che sfiora le borgate brulicanti di un’umanità che esprime la propria voglia di partecipare al nuovo benessere dopo le privazioni della guerra.

La ricerca di quell’autenticità dei sentimenti e di umanità, ai suoi occhi diventava un tratto caratteristico e distintivo di rilevanza sociologica. Lo scrittore, già allora, intuiva che quella genuina connotazione del sottoproletariato di borgata sarebbe rapidamente scomparsa per effetto dell’omologazione indotta dalla società dei consumi.

Per i temi trattati in questo libro Pasolini, omosessuale dichiarato, fu accusato di oscenità e pornografia, soprattutto per i riferimenti alla prostituzione minorile. Citato in giudizio, verrà successivamente prosciolto grazie anche alle testimonianze di intellettuali dell’epoca come Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti. Altre sue opere susciteranno scandalo e denunce, contro le quali Pasolini dovrà, suo malgrado, difendersi.

Un uomo che è stato scrittore, drammaturgo, regista, poeta, giornalista, sceneggiatore, attore, pittore, linguista, saggista, insomma una personalità complessa, che ha attraversato tutto lo spettro della creatività e che involontariamente, ha fatto persino della sua morte, una denuncia sociale, un attacco duro al perbenismo ipocrita di una società che aveva iniziato a cambiare e che lui, aveva già visto dileguarsi nel conformismo, con decenni di anticipo sui tempi.  

Il suo celebre articolo, “Cos’è questo golpe? Io so”, pubblicato sul Corriere della Sera, appena un anno prima che fosse assassinato, dove accusa il sistema delle connivenze politico istituzionali quale intricato coacervo di interessi per lo più inconfessabili, dove i misteri italiani si perdono fra le nebbie dell’omertà istituzionale, pare la sua dichiarazione di resa. In quell’articolo, a un certo punto scrive. “Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.”

Pasolini è stato certamente uno dei più grandi intellettuali del panorama culturale, non solo italiano, del secolo scorso. Dai suoi scritti, sprigiona una forza incredibile di parola e di analisi che spiega molto bene i tempi che viviamo oggi. Le sue frasi vanno lette con attenzione, scorrere con lo sguardo la sua scrittura è come toccare con mano una creazione artigianale unica che evoca immagini di una profondità descrittiva assoluta.

Nessuno come lui, ha saputo usare le parole. Parole che hanno inchiodato anche i suoi più feroci detrattori di fronte alla parte più oscura della loro coscienza, nera e untuosa come il petrolio. Questo il titolo del suo romanzo incompiuto, Petrolio, appunto, un libro che lo stesso Pasolini, in un’intervista pubblicata su Stampa Sera nel gennaio del 1975, definì la “summa” di tutte le sue esperienze e di tutte le sue memorie.

«Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne, però: basti sapere che è una specie di “summa” di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie.» Chissà se aveva avuto il presentimento che di lì a qualche mese un ragazzo di vita avrebbe messo fine alla sua esistenza.

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Alfio Di Battista

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