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Disegnatori di fumetti nella Marsica

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Nella Marsica, in un periodo caratterizzato dall’avvento multimediale, pochissimi conoscono la storia di due disegnatori di fumetti che negli anni ’60 intesero intraprendere un difficile percorso artistico.

disgnatoriQuesta è la premessa per entrare in un argomento specifico di arte grafica, che mi coinvolse in un lungo percorso con Carmine Corsi di Trasacco, mirando a raggiungere lusinghiere prospettive di successo nel mondo dell’editoria fumettistica nazionale. All’inizio, disegnare era un passatempo, un divertimento, una passione; poi, dopo una necessaria “gavetta” per imparare la tecnica e l’uso dell’inchiostro di china (dosando bianchi e neri, luci e ombre), divenne un vero impegno giornaliero.

D’altronde, avevo già inviato la mia prima storia a cartoni animati alle Edizioni Bianconi di Milano, dove fui subito assunto e poi respinto, non perché i risultati fossero scarsi; anzi, i miei disegni piacquero, ma presto si scoprì che ero solo ragazzino di quattordici anni, impossibilitato a firmare proposte di lavoro.

Nonostante ciò, seguitai a disegnare giorno e notte copiando i personaggi dei fumetti più in voga che circolavano nelle edicole italiane sul finire degli anni ’70: Capitan Miki, Grande Bleck, Gatto Silvestro, Bugs Bunny, Superman, Il Giornalino, Corriere dei Piccoli, L’Intrepido, Il Monello, Super Eroica e personaggi western come Yuma Kid e Tex Willer.

Alcuni anni dopo (essendo ormai maggiorenne), il pittore avezzanese Marcello Ercole m’indirizzò a Trasacco, dove operava in quel campo specifico il professor Carmine Corsi (chiamato da tutti Giovannino), amico di Eugenio Antonio (detto Tonino) Benni di Raiano, quest’ultimo un vero talento ben inserito nell’editoria fumettistica attraverso lo studio di Nicola Del Principe di Milano (noto disegnatore di mensili per ragazzi come Trottolino e Soldino, Nonna Abelarda pubblicati dalle Edizioni Metro di Milano). L’impatto con i due esperti disegnatori m’impressionò molto, vedendo in azione specialmente Benni: era un vero portento! Riusciva a realizzare con il pennino e china le storie di Zorro, Il giustiziere mascherato (ripreso dalla famosa serie televisiva del 1957 di Disney), senza abbozzare alcun disegno a matita (aveva una percezione prospettica fantastica e genialoide). Tra l’altro, era stato uno dei primi “mitici” disegnatori di Capitan Miki e Grande Blek. Sterminata fu la sua produzione di tutti i generi in voga, con innumerevoli album pubblicati fino agli anni ’80 (morirà a Chieti il 2 maggio 2009). Ricordo di essergli stato presentato proprio da Corsi che, a sua volta, mi fece conoscere anche Del Principe, un simpatico e grosso signore dalla lunga barba (spesso veniva in vacanza a Pescasseroli), pronto a visionare con benevolenza le mie tavole.

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In definitiva, devo proprio a Corsi il primo tentativo di entrare nel mondo dei fumetti, cominciando a fare il matitista per le Case Editrici della Dardo, Bianconi, Cenisio, Corno, Edifumetto, Ediperiodici. Indubbiamente, questo necessario tirocinio mi permise di acquisire faticosamente i segreti del mestiere, cercando pur sempre di trovare uno stile personale. Punti di riferimento essenziali furono i creatori di: Pecos Bill, Nembo Kid, Lone Ranger, Zorro, Tarzan, Matt Dillon, Tex Willer, addirittura, quando erano pubblicati a strisce. Nonostante ciò, mi resi conto dell’urgenza di acquisire canoni più tecnici. Infatti, oltre ad una spiccata fantasia e bravura, occorreva una documentazione fotografica capace di rappresentare qualsiasi tipo di storia ambientata in America, in Inghilterra, nella giungla amazzonica o nei Mari del Sud, etc. C’era il cinema, è vero, grande propagatore di film polizieschi e del mito del West con pellicole intramontabili che di tanto in tanto erano trasmesse dalla RAI TV (allora solo due canali), oppure proiettati la domenica nella parrocchia di S. Rocco o presso il cine-teatro di Don Orione (Avezzano).

Sempre alla spasmodica ricerca di un tratto grafico originale, pensavo che per avere un maggiore impatto, bisognasse incamerare visivamente le scene dei Colossal americani con i suoi grandi protagonisti: marines, cow-boy, banditi, indiani e cavalleggeri (si veda Ombre Rosse del 1939; I Giovani Leoni del 1959, La conquista del West del 1962; Il Grande Paese del 1958; I Magnifici Sette del 1960). Nel 1964, il film Per un pugno di dollari di Sergio Leone, con i suoi primi piano mozzafiato, influenzò molti disegnatori che cercarono di riprodurre a tutti i costi le sequenze della pellicola. Da quel momento in poi cambiò il genere western, ispirato, soprattutto, ai fumetti americani. Con l’avvento dei cosiddetti “spaghetti western” molti cercarono di copiare immagini tanto realistiche, riempiendo centinaia di fogli con schizzi dei fotogrammi. All’epoca non esistevano videoregistratori fermo-immagine e, quindi, io mi arrangiavo scattando fotografie con la mia Pentax nei cinema avezzanesi Impero e Valentino.

Tuttavia, dai disegnatori Benni e Corsi imparai subito che nel fumetto occorreva essere immediati e creare grande movimento nelle vignette. A livello tecnico, bisognava emozionare con la dinamicità del segno e appagare l’occhio del lettore con un buon dosaggio di bianchi e neri per non “appiattire” la vignetta. Una storia che funzionasse bene, doveva capirsi senza leggere i cosiddetti balloon (le nuvolette del testo) ma, addirittura, solo osservando la successione delle immagini. Indubbiamente, la mia modesta “carriera” in questo campo fu agevolata dal boom del fumetto italiano, un fenomeno iniziato in sordina negli anni ’60 e poi esploso nel 1970, quando ormai il mio piccolo studio era sommerso da fumetti di ogni genere, preziosissimi per imparare.

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Nel bel mezzo di non poche difficoltà, l’attività di “matitista” proseguì accanto a Corsi e talvolta con approcci nello Studio dei fratelli Di Vitto di Scanno (forse feci le matite per la testata di Geronimo, Il Santo più altri mensili western pubblicati per le edizioni Cerretti). Spesso ero costretto con fatica ad adeguarmi al tratto degli inchiostratori, per non cambiare troppo la fisionomia dei personaggi.

Agli inizi del 1970, frequentando la facoltà di Architettura a Roma (Valle Giulia), conobbi altri esperti disegnatori come il noto Roberto Taito, che andai a trovare nella sua Scuola di Fumetti. Aveva appena vinto un premio importante con una storia originale sugli Etruschi. Mi mostrò altri suoi straordinari lavori: locandine e manifesti cinematografici eseguiti per la Titanus film. Occorreva essere dei veri e propri pittori per fare quel mestiere, usando colori vivaci anche nei titoli per attirare il pubblico nelle sale. Seppur fossi stato in grado di raffigurare scene e attori del momento, un eventuale impegno di quella mole mi spaventò. Nel frattempo illustravo anche libri di calcio e riviste locali; inventavo marchi per negozi e realizzavo locandine; dipingevo quadri con tecniche a olio, tempera e acquerelli. Nella pagina de Il Messaggero (cronaca della Marsica), disegnai persino vignette satiriche a china. Appena deceduto il grande Artioli, partecipai al “concorso” per essere ammesso come grafico al Messaggero di Roma senza avere riscontri positivi (alla fine fu assunto un certo Ronchetti).

Poco tempo dopo entrai nello Studio Gallarano di Roma, pubblicando varie storie sui settimanali a fumetti: Corrier Boy, Lancio Story, Skorpio e Blitz. Oltremodo, le mie aspirazioni miravano ad avere contatti diretti con altre case editrici: tentativi vani poiché l’editoria italiana affidava le sue numerose testate solo agli studi che davano maggiori garanzie. Tornai saltuariamente a disegnare per Corsi (oberato da una grande mole di lavoro), mentre stavo elaborando nuovi personaggi originali, con la speranza di uscire dai soliti canoni del fumetto all’italiana.

Tuttavia, nella spasmodica ricerca di possibilità di lavoro, continuai a migliorare il mio stile.

In realtà, desideravo inserirmi autonomamente nel campo delle storie illustrate per ragazzi o adulti, allora in piena espansione con la pubblicazione di centinaia di testate che uscivano ogni mese, sulla fortunata scia dei film allora in voga. Oltretutto andavano diffondendosi anche racconti illustrati di genere hard, attualità, horror, fantascienza, gialli e quant’altro (Gordon, Diabolik, Kriminal, Satanik). Tecnicamente, per disegnare 60-70 tavole ogni mese occorreva essere svelti e precisi poiché la storia a matita doveva essere pronta in venti giorni, per permettere all’inchiostratore di finirla entro i termini stabiliti, lasciando lo spazio dentro le vignette per la scrittura del testo. Nel bel mezzo di queste difficoltà, portavo avanti episodi per adulti, accettando tutto quello che mi era proposto, tra cui album della serie: «Storie Nere, A Porte Chiuse, Attualità Nera, I Casi della Vita, Attualità Gialla» etc. Si trattava di realizzare storie riprese dalla cronaca nera di quegli anni. Nel frattempo Corsi, in stretta collaborazione con Benni, era impegnato in opere caratterizzate da personaggi già affermati.

Nel 1980 decisi di fare un miglioramento, partecipando alla rassegna mondiale di «Lucca Comics» (26 ottobre-2 novembre) dove esposi dieci tavole con personaggi originali (il formato dei fogli era 35×50). Seppur ricevessi proposte allettanti da una produzione di cartoni animati giapponese (la firma del contratto imponeva il trasferimento entro un mese a Tokio), rinunciai per problemi di lavoro e familiari. Proprio a Lucca ho conosciuto altri grandi disegnatori americani della Marvel (Super-eroi), giovanissimi talenti cui m’ispirai in seguito.

La mia attività di disegnatore s’intensificò alla metà degli anni ’80, producendo fumetti per varie case editrici milanesi e romane, pur rimanendo confuso nel “mucchio degli anonimi”. Finalmente, dopo diversi tentativi, entrai nello staff del famoso Studio Giolitti di Roma (si trovava nella zona di Ostiense), dove ebbi l’onore di lavorare per il grande disegnatore Alberto, reduce dai notevoli successi in Argentina e negli Stati Uniti (Florida). Dopo aver presentato il mio Curriculum, fui subito inserito nell’équipe dei trenta disegnatori italiani che avrebbero lavorato per lui. In pratica, a ognuno di noi, ogni mese, era assegnata una sceneggiatura da realizzare per intero (descrizione dei personaggi, ambienti, testi, etc.).

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Occorreva completare la storia a china (bianco e nero), in un formato più grande di quello che poi sarebbe stato stampato. Non ricordo con esattezza quanti album pubblicai, dato il lavoro frenetico di quei giorni: basti ricordare che, finito un episodio (70-80 pagine), dovevo recarmi a Roma per ricevere subito un’altra storia dalle mani dello stesso Giolitti, anche lui impegnato, per le Edizioni Bonelli di Milano, nella preparazione di tavole del famoso personaggio Tex Willer (allora l’album vendeva circa 800.000 copie il mese).

Regolarmente, al momento della consegna dei testi, Alberto dava utili consigli tecnici a tutti, fornendo, all’occorrenza, pennini e pennelli speciali per china che provenivano dall’Inghilterra. Gli anni trascorsi nello Studio Giolitti furono per me molto prolifici e, soprattutto, mi permisero di perfezionare uno stile più moderno, con un netto miglioramento dell’inchiostratura. Poi, lasciato lo Studio per l’estrema pressione cui ero sottoposto, decisi di presentarmi nel “tempio” dei fumetti: le Edizioni Bonelli di Milano, deciso di farmi affidare personaggi come: Tex Willer, Mister No o altri nuovi eroi come Dylan Dog, Martin Mìstere, Nathan Never e simili. Sapevo che era difficile entrare in contatto diretto con l’editore ma tentai ugualmente, sperando di farmi notare. I miei disegni piacquero e furono acquisiti agli atti. Purtroppo, non fui mai assunto, visto l’affollamento e la concorrenza feroce che favorivano altri disegnatori con le “giuste” conoscenze.

Rimasto a Milano, eliminai almeno qualsiasi Studio intermediario, riuscendo a farmi affidare direttamente le solite storie che proponevano l’Edifumetto e l’Ediperiodici. Tornato ad Avezzano, continuò la consueta routine: unica parentesi creativa fu l’inserimento di un personaggio tutto mio. Si trattava di un poliziotto americano sul modello dell’ispettore Callaghan (Clint Eastwood), un vendicatore urbano, abituato ad agire senza regole, donnaiolo e molto violento. Questa figura di detective funzionò e, per una decina di album, l’editore decise di metterlo al centro delle storie. Non ne ricordo il nome ma fu gradito al pubblico, almeno fino al 1993 quando, non riuscendo più a reggere ritmi davvero spaventosi (68-80 tavole mensili), decisi di abbandonare il campo dei fumetti per scrivere e illustrare con più largo respiro alcuni temi didattico-storici (la storia degli indiani d’America e quella della Guerra di Secessione), inserite in alcuni fumetti delle edizioni Bianconi di Milano. Infine, nel 1994 pubblicai il mio primo saggio sul brigantaggio meridionale completo di disegni riferiti al testo (edito dalla Provincia di L’Aquila).

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Fulvio D'Amore ricercatore e saggista

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