Le lingue europee hanno talmente mescolato il fiato in passato che ora, dinanzi a certe espressioni si resta indecisi nello stabilire, ad esempio, se siamo noi a parlare inglese o gli inglesi a parlare italiano o qualche nostro dialetto. Leggere per credere!
Specie nei dialetti si incontrano parole e locuzioni che fanno rimanere stupiti, perché esse corrispondono a voci e frasi di altre lingue, con significati uguali o quasi. Nel dialetto del paese lucano di Gallicchio-Pz, fruibile in rete, ho rilevato ed analizzato le seguenti espressioni:
Chiudo quest’articolo con l’accenno alla parola it. vacchetta, pelle conciata usata per la costruzione di borse, di scarpe, ecc. Tutti i linguisti ne indicano la “evidente” derivazione dall’animale vacca, ma noi ormai sappiamo che in questi casi bisogna drizzare le orecchie e aguzzare la vista, per evitare di fare la fine dei polli. E la gente a volte ci gode sfiziosamente a metterci alla berlina, quando commettiamo errori, e d’altronde ha tutto il diritto di una rivalsa sul nostro tono professorale un po’ fastidioso. Io non so perché i linguisti si ostinino a sostenere che l’it. baccello ‘frutto di leguminose con due valve deiscenti’ sia da riportare ai lat. bacc-ell-u(m), bac-ill-u(m) ‘bastoncino’. Il termine baccello, a mio avviso, indica la sua natura fondamentale di “guscio” ed “involucro”, riscontrabile nella variante lat. vag-in-a(m) ‘guaina, involucro’, nel gallo-romanzo bac-in-u(m) ‘vaso’, nel trentino vaca ‘curva, conca’, nel fr. bague ‘anello’, fr. bagu-ette ‘catinella’ ma anche, significativamente, ‘bacchetta’, nell’ingl. bag ‘scroto’, la pelle che avvolge i testicoli. Pertanto non posso negare all’it. vacchetta, toscano bacchetta ‘vacchetta’ il suo naturale status di “generico involucro”, prima che il termine vacca lo costringesse subdolissimamente a stringere un’alleanza tra loro, in cui il primo piano diveniva via via appannaggio dell’animale mentre l’altro accettava di vivacchiare nell’ombra, ma, caduto poi definitivamente dall’uso, se ne persero del tutto le tracce a tutto vantaggio dell’animale.
Non posso fare a meno di accennare anche all’it. invacchire ‘diventare grassi e gonfi‘ detto di bachi da seta colpiti dalla malattia del giallume, significato che va riportato anch’esso alla radice di abr. ‘m-bacc-arsë ‘ingrassare’ sopra ricordata, e non all’animale vacca. Il verbo ha anche il significato di ‘essere floscio e lento’ che, secondo il solito modo di procedere dei linguisti, sarebbe una derivazione figurata della condizione di malattia dei bachi, che però in quello stato non sono “flosci” ma “lucidi e tesi”. Anche qui, purtroppo, la nostra corta vista che scorge le cose vicine ma non quelle lontane, ci fa vedere lucciole per lanterne. Esiste il verbo abr. bac-ul-arsë[4] ‘indebolirsi’ che pare abbia una radice opposta, per significato, a quella di abr. ‘m-bacc-arsë ‘ingrassare’ sopra citato. L’it. in-vacch-ire significa anche ‘diminuire le facoltà fisiche e intellettive, non essere più molto lucido’. Ora, mi sembra che non vi sia radice più acconcia, per spiegare questa “debolezza”, dell’ingl. weak ’debole’, a.ingl. wāc ‘pieghevole, soffice, debole’. Ugualmente la locuzione familiare Andare in vacca (che indica il deteriorarsi, l’andare a male, l’indebolirsi di qualcosa o qualcuno) contiene in sé la stessa radice che, come abbiamo osservato, non deriva direttamente dalla malattia dei bachi[5]. Noi italiani non solo parliamo l’inglese senza saperlo, ma ne siamo in qualche modo degli esperti! Credo che l’abr. bac-ul-arsë tagli le gambe, purtroppo, a qualsiasi tentativo di contrastare legittimamente il mio punto di vista. La verità è che è sempre pericolosissimo segnare netti confini fra le lingue, quando si tratta di determinare l’origine delle radici. Così, il lat. im-bec-ill-e(m) ‘debole (fisicamente e mentalmente)’ deve a mio avviso abbandonare definitivamente il bastone (lat. bac-ul-u(m)’ da cui fin dall’antichità si fa derivare, come fosse un sine baculo ‘senza bastone’, col prefisso negativo in- che forse è qui intensivo. Solo G. Devoto, nei suo Avviamento all’etimologia italiana, escludeva questa interpretazione.
Lunga vita ai poeti che hanno cercato un senso più nuovo per le parole della tribù e che ben conoscono d’istinto la natura della lingua votata alla metamorfosi versicolore!
NOTE
[1] Dopo aver già scritto quanto precede, ho notato nel vocabolario Treccani in rete s. v. vacca che l’espressione di Gallicchio è in realtà presente nel linguaggio familiare o popolare anche altrove, nella forma stare, o essere, o trovarsi in un ventre di vacca ‘essere tranquillo, senza preoccupazioni, in condizione di largo benessere’. Nulla cambia, però bisogna constatare che non sono solo i gallicchiesi a parlare senza saperlo l’inglese, ma gran parte degli italiani!
[2] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[3] Credo torni utile la seguente osservazione: se il ted. Hure (ingl. whore) ‘puttana’ è messo in relazione anche con lat. car-u(m) ‘caro, amato’; se l’it. letterario drudo (anche femm. druda) vale ‘amante, amato’ in senso spesso dispregiativo (partito dal concetto positivo di “fedele”) come in gaelico drũth ‘meretrice, amica’, allora non è azzardato avvicinare l’ingl. bag ‘puttana’ al concetto inizialmente positivo di ‘amorosa, amante, ecc.’. Li unisce sempre la forza dell’amore, sia esso regolare che irregolare, molto simile del resto alla ‘ebrezza, euforia’, anche se causata dal vino, dell’espressione ingl. to be in the bag sopra analizzata. La voce bag ‘puttana’ può essere considerata accorciativo di it. ‘bagascia’ di origine provenzale, pare, e anch’essa combattuta tra valori positivi e negativi. Ma ciò sarebbe un errore, perché resterebbe poi da spiegare la forma it. vacca ‘puttana’. Semmai sono proprio queste forme più brevi alla base di bagascia. Da notare ancora che esiste un italiano obsoleto vago ‘col significato proprio di ‘innamorato, amante’ e un it. in-vagh-irsi.
[4] Cfr. D. Bielli, cit.
[5] Cfr. C. Lapucci, Modi di dire della lingua italiana, Valmartina Editore, Firenze, 1969, p. 351. Con l’immancabile riferimento alla malattia dei bachi, si dà anche il significato di ‘diventare pigro, svogliato’, un altro aspetto della “debolezza”, in questo caso di natura morale. Il Lapucci riporta anche la locuzione Stare in un ventre di vacca che abbiamo analizzato sopra ma con un significato un po’ diverso, cioè ‘essere sazio, con ogni comodo e agio’: il senso di benessere e tranquillità si è ristretto a quello di un’abbondante mangiata, favorito anche questo dal significato di qualche termine come ingl. baggy ‘gonfio, rigonfio’.
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