Tagliacozzo – Tra le figure più eminenti della cultura marsicana, c’è una poetessa che risponde al nome di Petronilla Paolini Massimi. Era nata a Tagliacozzo il 24 dicembre del 1663, figlia unica di Francesco Paolini, barone di Ortona dei Marsi e Carrito, e di Silvia Argoli, una delle rappresentanti della stessa prestigiosa famiglia a cui appartenevano anche il matematico Andrea Argoli e il poeta Giovanni Argoli. Il padre, Francesco Paolini, venne ucciso a tradimento nel 1667 e Petronilla si spostò a Roma, ospite del Convento di Santo Spirito, insieme a sua madre.
Venne data in sposa quando non aveva nemmeno 10 anni, nel novembre del 1673, a Francesco Massimi, allora quarantenne nobile romano, vice-castellano di Sant’Angelo. L’unione tra una bambina e un uomo maturo venne resa possibile per via di una speciale licenza papale “ob defectum aetatis” concessa da Clemente X, parente dei Massimi. Fin da piccolissima, Petronilla aveva mostrato una grande passione per la poesia e per la scrittura. La sua vita coniugale fu una vera sciagura, ebbe tre figli ma Francesco Massimi le impedì di dedicarsi alla bella letteratura. Nel 1690, con un atto di grande coraggio, la giovane lasciò il marito che non solo le negò parte della dote che le spettava, ma le proibì di vedere i suoi figli.

Petronilla visse anni di ristrettezze economiche ma guadagnò il rispetto e la stima dei poeti del suo tempo grazie al suo verseggiare raffinato. Veniva chiamata “la poetessa di Roma” e, nell’arco di alcuni anni, ebbe modo di entrare a far parte dell’Accademia degli Insensati a Perugia e dell’Accademia degli Infecondi. Fu anche membro della prestigiosa “Arcadia” di Roma in cui entrò col nome Fidalma Partenide, nome di ispirazione pastorale greca come l’Arcadia richiedeva. Scriveva in italiano e in latino mostrando di possedere una vasta cultura e un grande ingegno poetico.
Petronilla Paolini Massimi, vissuta tra il XVII e il XVIII secolo, incarna una figura di donna indipendente, autonoma, pienamente consapevole del proprio talento. Nei suoi componimenti ritroviamo la testimonianza delle avversità che fu costretta ad affrontare: la morte violenta del padre, l’essere stata una “sposa bambina”, la perdita dei figli ma anche il riscatto personale e umano conquistato attraverso la poesia. La sua infanzia marsicana è ricordata come fosse una favola lontana. Grazie alla scrittura è riuscita a ritrovare la donna che un matrimonio sbagliato e un pessimo marito rischiavano di schiacciare: “Io scrivo, scrivo sul serio. Imprimo me stessa sulla carta. Scrivo per liberarmi, per essere. E per scrivere sono disposta a tutto“.

Petronilla infarcisce i suoi versi di elementi autobiografici, dettaglio stilistico piuttosto moderno e anticonvenzionale per i suoi tempi. Spesso le sue parole diventano una denuncia delle disuguaglianze tra gli uomini e le donne, quindi delle ingiustizie che le mogli e le madri come lei sono costrette a subire in silenzio. Una paladina dei diritti femminili, potremmo dire. Una sorta di femminista della prima ora, la nostra Petronilla Paolini Massimi e a tal proposito, vale la pena ricordare un suo sonetto “femminista” intitolato “Sdegna Clorinda ai femminili uffici“. Dopo la morte del marito, la poetessa potrà tornare a vivere a Palazzo Massimi, nell’Ara Coeli, riuscendo a rivedere i suoi figli. Nel 1709 compie un nostalgico viaggio nella Marsica, presso Tagliacozzo e Magliano, i luoghi della sua infanzia. Petronilla muore il 3 marzo del 1726 per una “infiammazione di petto”. È sepolta presso la Chiesa di Sant’Egidio in Trastevere, a Roma.