Quel 22 novembre a Dallas, il sogno spezzato di JFK

Quel 22 novembre a Dallas, il sogno spezzato di JFK
Quel 22 novembre a Dallas, il sogno spezzato di JFK

di Maurizio Cichetti

Erano le due e mezzo del pomeriggio -ora americana- di quel 22 novembre 1963 quando, con voce grave, la radio trasmetteva l’annuncio definitivo e in fondo temuto: “Il Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy è morto”. Per circa due ore, da quando Kennedy era stato colpito da due proiettili mentre, su una macchina scoperta, percorreva (insieme alla moglie Jacqueline e al governatore del Texas con consorte) le strade di Dallas, l’America si era di fatto fermata, in preda all’angoscia e a una flebile speranza per quello che era diventato il più giovane presidente della storia americana, alimentando tante speranze. Ma le sue condizioni erano troppo gravi, uno dei colpi gli avevo aperto la calotta cranica, al Parkland Memorial Hospital di Dallas si tentarono disperate quanto inutili manovre, poi l’annuncio della fine. 

Il mondo, allora, forse ancora non lo sapeva, ma quella data, quell’evento avrebbero rappresentato uno spartiacque, un punto di svolta per la storia americana in primo luogo, ma con riflessi che avrebbero interessato tutto il contesto internazionale. Dirà Oliver Stone, regista del film del 1991 “JFK, un caso ancora aperto”, che “l’assassinio di Kennedy ha profondamente turbato la mia generazione e la nostra cultura. Penso che molti dei nostri problemi siano iniziati nel 1963”. 

Ma del resto in ogni dove, in quelle ore e in quei giorni, si restò come sbigottiti e increduli, a guardare una ininterrotta diretta televisiva durata giorni, che sarebbe stata superata, come lunghezza, solo dall’11 settembre 2001. 

Tante le immagini indelebili nella memoria, come quella, iconica, tenerissima e insieme crudele, del piccolo John Fitzgerald Kennedy Jr. -il figlio minore del presidente, meglio conosciuto come John-John– che saluta solennemente, con la mano sulla fronte, la bara del padre il giorno del funerale, il 25 novembre, proprio il giorno in cui lui compiva tre anni. 

C’è da dire che a distanza di ormai oltre 60 anni le fasi e la dinamica dell’uccisione di Kennedy, in quei drammatici momenti in cui la limousine presidenziale transitava in Dealey Plaza a Dallas, restano avvolte da una sorta di zona d’ombra, nonostante le innumerevoli indagini, ricostruzioni, approfondimenti, affidati da subito alla commissione Warren, che lavorò per quasi un anno arrivando alla conclusione che Lee Oswald, dal sesto piano di un palazzo adibito a magazzino di libri, sarebbe stato l’unico responsabile, sparando con un fucile modello Carcano tre colpi (il primo dei quali a vuoto) e colpendo poi il presidente col secondo e terzo colpo, quello mortale. A rendere ancor più complessa la ricostruzione, ci fu un altro colpo di arma da fuoco (il terzo nella successione temporale dei quattro colpi esplosi) proveniente da altra zona intorno alla piazza e intorno al quale il mistero non è mai stato sciolto.

Catturato poco dopo, a seguito dell’uccisione di un poliziotto che lo aveva fermato, Oswald fu accusato di essere l’autore dell’assassinio di Kennedy. Ma appena due giorni dopo, il 24 novembre, Oswald veniva ucciso, in diretta televisiva, da Jack Ruby -personaggio noto alla polizia locale e intrufolatosi nella calca tra gli agenti-, mentre veniva trasferito dalla centrale della polizia di Dallas alla prigione della contea. 

Le conclusioni della commissione Warren sono state, in realtà, più volte messe fortemente in dubbio, non solo in riferimento alla dinamica dei fatti, ma soprattutto perché si è ritenuto che l’assassinio di Kennedy potesse essere ricondotto ad una congiura di ben più vasta portata, da ricondurre, a seconda dei punti di vista, alle responsabilità sovietiche, a Cuba, alla CIA, alla stessa mafia. Tra le più decise contestazioni, quelle portate da Jim Garrison, procuratore distrettuale di New Orleans, che condusse una accurata inchiesta -perfettamente ricostruita nel film di Stone-, anch’essa però, alla fine, rivelatasi in qualche modo manchevole.  

La morte violenta di JFK ha poi rappresentato un altro momento di quella che è stata definita una sorta di “maledizione dei Kennedy”, una lunghissima serie di eventi luttuosi o drammatici che hanno interessato i membri di una famiglia protagonista, a più riprese, nella storia americana. Nel giugno 1968 sarebbe toccato a Robert Kennedy, senatore e fratello di John, cadere a 42 anni in un agguato a Los Angeles, mentre festeggiava la sua vittoria nelle elezioni primarie di California e Dakota del Sud, che lo proiettavano con grandi possibilità nella corsa per la Casa Bianca. 

Insieme ad altri tragici eventi, non si può non ricordare l’infausto destino di John-John Kennedy, il piccolo che a tre anni salutava la bara del padre. John-John, divenuto personaggio di grande glamour e popolarità, scompare nel luglio del 1999, a 39 anni, precipitando nell’Oceano Atlantico, insieme alla moglie e alla cognata, a bordo dell’aereo che stava pilotando.

Ma intanto quel 22 novembre 1963, a Dallas, con John Fitzgerald Kennedy e la sua visione di una “nuova frontiera” si spegnevano tante speranze…

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