“L’unione fa la forza“: questo noto proverbio racchiude il segreto del successo dell’Istituto comprensivo di Luco dei Marsi, dove un giovanissimo studente affetto da una forma abbastanza severa di autismo grazie alla sinergia del team scolastico ha fatto dei notevoli miglioramenti inaspettati. Un bellissimo quadro che la madre del ragazzo vuole condividere a testimonianza dell’eccelso lavoro svolto. Gli attori coinvolti in questa bella storia di inclusione la famiglia, la docente Luisa Finucci, i collaboratori Renato Venditti e Giulia Terenzi, la vicepreside Lina Marchi, la dirigente scolastica Claudia Scipioni e tutti i bambini della classe del ragazzo con le loro famiglie. Tutte le persone nominate sono protagoniste ed il loro intervento si è rivelato fondamentale al risultato maturato.
LA SCUOLA INCLUSIVA
L’intento primario, come ribadito dalla dirigente scolastica, è quello di “promuovere il successo per tutti”, estendendo questa finalità a ciascun alunno, indipendentemente dalla presenza di diagnosi specifiche o bisogni educativi speciali. Si mira a garantire che ogni studente possa compiere un percorso scolastico positivo, coltivando l’interesse per l’apprendimento e conservando un ricordo costruttivo dell’esperienza scolastica. Questo approccio universalistico si basa sul presupposto che “ciascuno di noi è disabile” in un certo senso, e che ogni individuo possiede una sua unicita. Sebbene l’inclusione sia un “dicta” comune a tutte le scuole, la sua reale implementazione dipende in maniera significativa dalle persone coinvolte e dalla loro capacità empatica. La scuola si configura quindi come un luogo dove si lavora attivamente per creare un clima favorevole, riconoscendo che il benessere e il successo formativo degli studenti sono strettamente legati alla qualità delle interazioni e al supporto emotivo fornito.
IL PERCORSO
Il percorso del ragazzo all’interno dell’istituto è stato caratterizzato da diverse fasi, con sfide significative prima di giungere all’attuale assetto, definito positivo. Una delle insegnanti ricorda di averlo conosciuto insieme alla famiglia già durante la prima elementare e parte della seconda. Quel periodo, tuttavia, è stato segnato dall’emergenza Covid. Già allora, l’insegnante aveva percepito una complessità nell’approccio attorno al bambino, descrivendo una “rosa di personaggi” – tra cui collaboratori ABA – che a suo parere erano “troppi”. Ogni terapista tendeva ad aggiungere “nuove nozioni, nuovi schemi che lui doveva seguire”. Dopo questa fase il ragazzo ha avuto altri insegnanti. L’arrivo della docente Luisa è avvenuto in un momento in cui lui era arrivato a un punto di saturazione. Si sottolinea come l’intervento di Luisa sia stato tempestivo, cogliendo la difficoltà del momento. Si è compreso che, nonostante l’inclusione sia un obiettivo dichiarato per ogni scuola, la sua efficacia dipende intrinsecamente dalle persone e dalla loro capacità empatica. La Dirigente Scolastica conferma di conoscere Massimo da tre anni e ricorda che prima dell’arrivo della maestra Finucci le modalità di frequenza e i comportamenti problema del ragazzo erano differenti. Questo testimonia che “è la persona che fa la differenza, non è il titolo di studio”. In particolare si è compreso che le modalità fino a quel momento seguite non erano corrette per lui. Era emerso, infatti, che lui svolgeva le attività proposte principalmente per “gratificare” la persona di riferimento, piuttosto che per un reale coinvolgimento o interesse personale. Questo approccio è stato poi superato, portando al cambiamento positivo attuale, in cui il ragazzo agisce in base a ciò che piace a lui e che gratifica se stesso.
STRATEGIA DIDATTICA
L’approccio didattico adottato con il ragazzo si è distinto per una profonda personalizzazione. L’insegnante Luisa Finucci riferisce che, al suo arrivo, ha osservato come la somministrazione al ragazzo di “quei compiti della didattica classica: il leggere e le operazioni matematiche classiche” producesse segni di stress. Al contrario, attività differenti, modellate sul suo stile di apprendimento favorivano il progresso. Comprendere questa specificità è stato il punto di partenza per una “sovrapposizione dei compiti”: si è partiti dalla base didattica che il ragazzo aveva già acquisito negli anni, integrandola con una serie di “lavori nuovi e sconosciuti”, ovvero attività non note in cui ha potuto iniziare a sperimentare il successo. Questo successo ha avuto un impatto significativo sull’entusiasmo del ragazzo, che manifesta la sua gioia maggiore quando sente “l’approvazione dell’altro”. Di conseguenza, l’approvazione sociale e la percezione di sé sono “notevolmente aumentate”. Un elemento distintivo di questo processo è l’incoraggiamento attivo da parte dell’insegnante e dei compagni. La Dirigente Scolastica evidenzia come il lavoro non si basi soltanto sull’affetto o sull’empatia, pur fondamentali, ma su una “didattica scientifica, specifica, personalizzata”. Tuttavia, il clima empatico creatosi attorno al ragazzo è considerato fondamentale. L’insegnante Luisa sottolinea come il rapporto con un alunno con quelle caratteristiche si crei “con una pazienza infinita, con un occhio sempre clinico, cioè sempre oggettivo”. È cruciale non perdere mai di vista che si tratta di “un bambino con autismo di livello 3 con determinate caratteristiche e che ragiona in certi range”. Il contesto in cui opera va “manipolato insieme a lui”. Il ragazzo attraverso il percorso, è diventato “cosciente delle sue capacità” e ha maturato una significativa crescita, frutto di “tanta fatica da parte sua”. Ora prova gratificazione da ciò che fa, si “autogratifica”, e il lavoro stesso è diventato per lui fonte di motivazione, portandolo a chiedere implicitamente “cos’altro adesso posso fare di più?”. Un obiettivo più recente è stato quello di introdurre “piccoli problem solving”. La collega docente di sostegno, Giulia Terenzi, pur essendo alla sua prima esperienza con l’autismo, ha cercato da subito di “entrare in empatia con il ragazzo, capire e cercare di comunicare con lui, quindi instaurare una comunicazione, cercando di avere uno scambio di emozioni reciproco”. Il modo di lavorare non è mai standard ed è caratterizzato da una flessibilità “vincente”. La metodologia si adegua “a tutte le varie circostanze, anche all’istante specifico”: se un’attività programmata non è adatta a una “giornata no”, l’insegnante “rimodula l’attività”. Questo perché “nessuno è da trattare a livello manuale, bisogna capire con chi si ha davanti”.