Avezzano. In attesa del voto di domenica, don Antonio Salone fa una riflessione sull’etica, diffondendo una lettera aperta e firmata ai candidati.
Se ti trovi ad ammirare una cattedrale gotica, attratto dalla facciata proiettata verso l’Alto, dalle superbe guglie, dagli abbracci protettivi degli archi rampanti, ti viene spontaneo pensare alle tecniche raffinate e magari alle risorse economiche impiegate. E tale stupore – lo dico di passaggio – è sufficiente a sfatare la superficiale e ideologicamente prevenuta storiografia che declassa il Medioevo a “periodo di secoli bui” … Ma forse il pensiero deve spingersi oltre.
È mia convinzione che arte ed economia hanno bisogno di una spinta iniziale diversa da esse: è stato un moto del cuore ad attivare committenti, architetti, maestranze e l’intero popolo di Dio.
La prima pietra di una cattedrale gotica è stata la fede. Ed è stata ancora la fede che ne ha ispirato il disegno e il simbolismo delle forme nonché la ricerca delle risorse economiche. Sull’ humus della fede, prima ancora che sulle tecniche e sui materiali, ha avuto origine quella fioritura di chiese che ha ricoperto, “come un candido manto” (R. il Glabro), l’intera Europa.
Mi è tornato in mente quell’evento medievale mentre riflettevo sulla possibile gestione politica della “res publica”, cioè delle risorse umane ed economico-finanziarie di un Paese o di un territorio. La politica, al pari di una cattedrale, non è fondamento a sé stessa: alla base delle sue scelte progettuali e operative va posta l’etica, supportata ovviamente dalle varie competenze nel settore. Fondamentalmente sono due le possibili modalità amministrative della cosa pubblica: a. Ponendo al primo posto il Bene comune, vengono ridotte al massimo le spese di gestione per destinare la maggior somma alla realizzazione delle opere e delle iniziative di pubblica utilità, e cioè fruibili da tutti i cittadini; b. Proponendosi invece come obiettivo primario il bene personale di pochi, si attinge a piene mani nelle casse dello Stato o degli Enti locali per soddisfare gli interessi dei suddetti pochi… fortunati.
La prima modalità viene scelta da chi – infranto lo specchio tossico di Narciso e lasciandosi guidare da sentimenti di umanità e, se cristiano, di evangelico altruismo – svolge l’attività governativa o amministrativa come un servizio reso alla comunità, e si lascia ripagare, al termine del mandato, dalla sola soddisfazione di aver reso la nazione o il territorio più vivibile per tutti ed economicamente più sviluppato.
La seconda modalità viene invece adottata da chi considera il potere come una ghiotta opportunità per curare gli interessi propri, di parenti e di amici (per lo più, questi ultimi, ex liberi cittadini ridotti a sudditi) e per distribuire regalie o microrealizzazioni ad associazioni e a gruppi vari (gente comprata, specie in vista delle elezioni…) nonché a persone occupanti posti di potere, sempre utili all’occorrenza … Così per i servizi e le strutture comunitarie mancheranno sempre i soldi. È uno stile che, al netto di azioni violente, è praticamente sovrapponibile a quello mafioso.
I candidati psicologicamente incapaci di apprezzare e quindi di gustare la gioia di aver realizzato strutture, servizi ed iniziative fruibili indistintamente da tutti i cittadini (è questo in concreto il bene comune), mancano di una qualità fondamentale per affidargli le sorti di un popolo. Purtroppo io noto con amarezza che spesso anche il popolo antepone il bene del singolo a quello generale, e chiede con stucchevole insistenza interventi relativi al proprio familiare, al vicino marciapiede o al lampione dinanzi alla propria casa … disinteressandosi completamente e defilandosi quando sono in ballo opere di interesse comunitario.
Andiamoci piano con il “santificare” il popolo! “Il bene comunitario, che sia bene di tutti e di ciascuno, è il punto centrale di tutta la concezione politica cristianamente ispirata”.
Questa affermazione del Catechismo sociale cristiano – che riassume un tratto essenziale della Dottrina sociale della Chiesa – costituisce un preciso riferimento per chi voglia esprimere un voto eticamente motivato. I candidati infatti, secondo la morale cristiana, vanno eletti non per favori personali ricevuti o che si spera di ottenere, ma per la loro volontà di promuovere il bene comune: è questa la vera professionalità che viene richiesta agli amministratori, qualunque sia la loro appartenenza a partiti o a raggruppamenti elettorali.
La più grande risorsa politica ed economica non è la politica né l’economia, ma qualcosa di diverso: l’etica!
Al buon politico pertanto si deve chiedere di usare intelligenza e cuore per individuare le priorità di intervento, di esigere una ragionevole celerità nei vari adempimenti burocratici (quanti euro bruciati da ingiustificabili lentezze!), di mostrare intuito e di basarsi sulla meritocrazia nella scelta dei collaboratori e dei funzionari, di usare rigore nelle procedure delle assunzioni (pensiamo a quanti aspiranti capaci e bisognosi vengono superati da altri solo perché raccomandati o perché i concorsi sono stati furbescamente “confezionati” per i predestinati!), trasparenza e disinteresse nelle assegnazioni degli appalti. Al candidato che abbia tali requisiti i do volentieri il mio voto. E anche, se gradita, la mia benedizione.