L’Aquila – I dolorosi fatti di cronaca di questi ultimi periodi che spesso hanno riguardato i professionisti e gli operatori sanitari non possono che accendere ulteriormente delle riflessioni in chi si occupa di managerialità sia nelle strutture sanitarie aziendali sia nelle strutture socio sanitarie territoriali sul tema del benessere psico fisico delle professioni di cura.
Sono stati infatti i professionisti di questo settore, con i loro diversi ruoli e mansioni, i primi ad essere chiamati ad affrontare un’emergenza di enorme portata come quella del Covid e in un recente passato quella del terremoto, che incidono e hanno inciso non solo sui carichi di lavoro e sulla stanchezza fisica, ma anche sulla loro salute psicologica.
Mai come oggi appare chiara l’importanza di pianificare e mettere in atto politiche e strategie di prevenzione della salute mentale di coloro ai quali è affidata l’erogazione dell’assistenza.
Riconoscere le fonti di ansia consente ai leader e alle organizzazioni sanitarie di sviluppare approcci mirati per affrontare queste preoccupazioni e fornire supporto specifico soprattutto nei momenti in cui è necessaria la loro capacità di mantenere la calma e rassicurare i cittadini.
Molti sono gli articoli che sono stati scritti su riviste scientifiche e non a cui si sono state affiancate iniziative più marcatamente operative a supporto dei sanitari coinvolti in prima linea attuate dalle Aziende sanitarie e dagli Ordini professionali tra cui servizi di supporto psicologico telefonico o su piattaforma digitale o veri e propri ambulatori specialistici di salute mentale dedicati al sostegno dei professionisti sanitari coinvolti nell’emergenza.
Da tenere in considerazione inoltre che i lunghi tempi della crisi segnalati anche dall’OMS, inducono a pensare che le conseguenze dell’emergenza sanitaria sul benessere dei professionisti della salute non possono essere sottovalutati.
Solo per fare dei numeri, gli infermieri sono la categoria professionale che conta il maggior numero in assoluto di contagi. Secondo il dato INAIL a dicembre 2020 gli infermieri contagiati erano l’84,4% di tutti gli operatori sanitari che hanno contratto il virus: circa 71mila tra i dipendenti (ma il dato ufficiale è al 31 dicembre e quindi sottostimato: la percentuale indicata da INAIL e applicata all’ultimo conteggio dell’ISS supera i 100mila contagi) a cui si aggiunge un’ulteriore percentuale di liberi professionisti non censita dall’INAIL che porta il totale dei contagiati a quasi 80mila nel 2020 a cui si aggiungono poi quelli del 2021. A questi si aggiungono 81 morti di cui 6 suicidi.
I numeri dei morti fra medici e infermieri in Italia supera di gran lunga il numero dei morti negli altri Paesi Europei. È chiaro che tutto questo si rifletterà sullo stato di benessere di chi opera nell’ambito della salute.
Ci hanno chiamati EROI, un termine che vuole dare onore a questa categoria ma che di certo NESSUN vuole sentirsi ripetere. Troppe volte siamo stati fatti oggetto di violenze, fisiche e verbali durante il servizio prestato, troppe volte abbiamo avuto la necessità di continuare ad essere resilienti e troppe volte abbiamo dovuto mettere in secondo piano le nostre vite e le nostre famiglie.
Se mai ce ne fosse bisogno è utile ricordare che, prendersi cura dell’altro in stato di bisogno richiede già di per sé forza ed equilibrio, richiede quel tanto sottolineato spirito di abnegazione e senso del dovere che fanno del professionista sanitario Infermiere o medico o altro operatore un individuo da cui non ci si aspetta debolezze o mancanze.
La realtà è un’altra perché essi sono persone come tutte le altre, con i loro punti di forza e con le loro debolezze, con le loro difficoltà e con le loro fragilità che lottano ogni giorno e non per ‘vocazione’ ma per amore della professione e del mandato affidatogli e che hanno fatto proprio con senso di responsabilità oltre che di dovere.
E, se questo è vero, tale prospettiva rende urgente una politica di tutela nei confronti dei sanitari. Come gli esperti fanno notare, il rischio di non considerare prioritari interventi di prevenzione psicologica sistematizzati e di lunga durata sul benessere della classe sanitaria, è quello di cronicizzare una condizione già complessa che, ora il terremoto, ora una pandemia peggioreranno.
Nell’ottica della valorizzazione delle risorse umane e della sicurezza delle cure è dunque diventato inderogabile agire con interventi obbligatori di monitoraggio sistematici con somministrazione di test psico-metrici di autovalutazione, atti a mappare il livello di benessere/malessere organizzativo, formazione di gruppi multidisciplinari con lo scopo di rilevare e monitorare il di-stress lavorativo e porre in essere misure di contenimento/gestione del disagio lavorativo già di suo acuito dalle carenze organizzative, di personale, di cambiamenti continui ecc. sin dalle prime manifestazioni evitando al contempo lo stigma, garantendo l’anonimato e cercando modelli organizzativi nuovi che siano in grado di potenziare il dialogo condiviso rimuovendo le cause del malessere quando possibile, favorendo il ricorso a risorse e strategie personalizzate di gestione dei propri vissuti allo scopo di prevenire l’eccessivo stress e il burnout.
Una maggior “cura” del personale inteso come risorsa preziosa e insostituibile sin dal primo ingresso nelle strutture porterebbe a importanti vantaggi: maggiore soddisfazione, possibilità di contribuire allo sviluppo dell’organizzazione, maggiore senso di appartenenza e di utilità, maggior resilienza, riduzione del rischio burnout, minore eventuale ricorso alla malattia oltre a contribuire ad evitare l’evitabile finché si è in tempo.
Lettera di Maria Luisa Ianni, Presidente Ordine delle Professioni Infermieristiche Provincia dell’Aquila
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