Villavallelonga – Era il Luglio del 1977, quindi parliamo di circa 48 anni fa. L’Italia era nel pieno dei bui “Anni di Piombo“, ma un angolo incontaminato d’Abruzzo divenne il teatro di un evento memorabile: “L’orso, nel sacco a pelo, con la chitarra“.
Un festival che, per cinque giorni di fine luglio, trasformò i prati d’Angro di Villavallelonga nella Woodstock d’Italia, l’ultimo, grande raduno di un sogno che stava per tramontare.
“Era quasi questa la nostra data tanto attesa. Primi di Luglio 77“, ricorda Massimo Di Ponzio, le cui parole cariche di nostalgia ci catapultano in quell’atmosfera elettrica. “Partimmo a piedi, in bici, in autostop… con i mitici minibus T1… Tutto il movimento giovanile italiano ed anche molti stranieri, arrivarono“.
Un pellegrinaggio laico, disorganizzato e spontaneo, che portò circa cinquemila giovani nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, un’invasione pacifica all’insegna della musica, della natura e della condivisione.
L’idea, quasi una scommessa in un’epoca di tensioni sociali, nacque dalla visione di Pasquale Lippa, allora presidente della Pro Loco, e Paolo Aceto, esponente dei Radicali.
Ottenuto il benestare dell’allora direttore del Parco, Franco Tassi, il festival prese forma come una celebrazione della fine di un’era.
L’ondata hippie, con i suoi ideali di pace e amore, si era trasformata, increspata dalle proteste e presto travolta dalla violenza del terrorismo. Anche la scena musicale era in piena transizione: il rock progressivo lasciava il passo all’urgenza del punk.
In questo clima di cambiamento, Villavallelonga fu un’ultima, consapevole fiammata di utopia.
Il manifesto prometteva un parterre di artisti di tutto rispetto. Spiccava il nome di Fabrizio De André, che però non si palesò mai tra le montagne abruzzesi.
Non mancarono, tuttavia, esibizioni di grande livello con nomi come Albergo Intergalattico Spaziale, l’avanguardia del Living Theatre e il sound meticcio dei Napoli Centrale.
Ma la musica era solo uno degli elementi di quella che Di Ponzio descrive come una “grande miscela alchemica“. Il programma prevedeva dibattiti, proiezioni cinematografiche, escursioni e mostre d’arte, un’immersione totale in un’ideale di vita comunitaria.
Le fotografie d’epoca, in particolare quelle del bravissimo Enrico Scuro, immortalano scene che sembrano prese di peso dai grandi raduni americani.
L’accoglienza della comunità locale fu un elemento chiave di questa alchimia. “Gli abitanti furono stupendi“, sottolinea Di Ponzio. “Le signore anziane le nonne, tutti, accolsero questo fiume di gente, offrendo anche cose da bere e mangiare!“.
I residenti si mischiarono ai “capelloni“, vendendo panini e fraternizzando, in uno scambio che superò la semplice ospitalità per diventare vera e propria partecipazione.
Tuttavia, come ogni sogno, anche quello di Villavallelonga dovette fare i conti con la realtà. La cronaca successiva all’evento riporta la fuga di uno degli organizzatori con l’incasso di circa 25 milioni di lire, un epilogo amaro che segnò il brusco risveglio.
Ma al di là di questa nota stonata, ciò che resta è il ricordo di un “attimo fuggente“, come lo definisce Di Ponzio, una pausa di bellezza e ingenuità prima che il fragore degli anni seguenti si facesse assordante.