L’inaugurazione della distilleria di Avezzano spronata dal regime fascista (dicembre 1936)

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Dopo la vittoria etiopica, con la proclamazione dell’Impero e «il riconoscimento del fatto compiuto implicito nella revoca delle sanzioni», in Italia e nella Marsica si scatenarono ondate di entusiasmo caratterizzate da adunate oceaniche: «certo le più grandiose e spontanee di tutta la storia del fascismo». È fuori dubbio che il fascismo e il regime uscivano dalla guerra appena conclusa «oggettivamente rafforzati»; mentre, invece, l’antifascismo militante organizzato clandestinamente, andava sempre più perdendo consensi tra le masse popolari (1). 

Il parere dei comunisti dissidenti, espresso a chiare lettere sulla rassegna di politica proletaria «lo Stato Operaio», confermò che anche i sacerdoti: «con la loro propaganda dall’altare hanno aiutato validamente i fascisti. Inoltre i soliti argomenti della propaganda fascista, della Patria proletaria in lotta contro l’egoismo delle nazioni ricche, soprattutto l’Inghilterra, per procurare il benessere ai propri figli, che è stata accentuata in questi ultimi tempi, è riuscita ad illudere non pochi lavoratori». 

Lo sforzo di ripercorrere la storia dell’antifascismo, ci permette di cogliere molteplici affermazioni di senso contrario al regime, specialmente quando Emilio Sereni (studioso di economia e agricoltura) specificò dalla clandestinità di Parigi che: «la vittoria militare in Abissinia, pur avendo rafforzato le correnti scioviniste, in specie tra le nuove generazioni, e pur avendo allontanato la prospettiva immediata di una crisi politica aperta, non ha risolto nessuno dei problemi fondamentali del paese. Le condizioni delle larghe masse popolari hanno, anzi, continuato ad aggravarsi. Solo i gruppi più potenti del capitalismo [si fa riferimento anche ai Torlonia] hanno ottenuto dei benefici dalla guerra, aumentando i loro profitti e concentrando ancor più nelle loro mani la direzione di tutta la vita del paese» (2). Senza negare il valore di queste analisi contrarie alla politica fascista, occorre specificare che nel 1936, don Carlo Torlonia (presidente della Società Anonima Zuccherificio di Avezzano e vicepresidente della società per l’elettricità italiana, consigliere d’amministrazione delle distillerie di Avezzano e membro della commissione per l’agricoltura), già produceva quantità ragguardevoli di alcool etilico anidro di purezza superiore al 90%, cosiddetto assoluto, da miscelare con le benzine per autotrazione, poiché la tecnologia dei motori a scoppio si era nel frattempo orientata verso le miscele di alcool e benzina. Oltremodo, le novità tecnologiche e scientifiche del fascismo, proprio alla fine del mese di dicembre 1936, furono annunciate solennemente dalla stampa, subito dopo l’inaugurazione della distilleria: «l’importanza e le caratteristiche degli impianti e il ciclo di produzione dalla barbabietola all’alcool carburante». L’inviato speciale nel Fucino, Walter Merlini, ricostruì le varie fasi della storia del lago e del suo prosciugamento, scrivendo: «Così nel 1903, quando sorse lo Zuccherificio di Avezzano per la produzione della dolce polvere bianca di saccarosio […] Così nel 1936, ai nostri giorni, per meglio precisare: oggi, con la creazione di un grande stabilimento dell’alcool carburante dalle barbabietole che il fecondo alveo del Fucino produce, per la fabbricazione dei carburanti è entrato in linea lo stabilimento della Società Anonima Distillerie di Avezzano, che il Principe Gian Giacomo Borghese  [ingegnere, poi nominato da Mussolini governatore di Roma] presiede con ardente passione e profonda competenza. Presenti il Principe Torlonia, il Principe Borghese, il Prefetto di Aquila, il Segretario Federale di Aquila, numerose altre personalità. La distilleria è stata consacrata con la cerimonia ufficiale dell’inaugurazione in una vibrante atmosfera di fede, in una consapevole esaltazione del lavoro, in una doverosa ammirazione dei superbi magnifici impianti».

In realtà, il liquido della melassa, mescolato con la benzina avrebbe potenziato: «dei bolidi rombanti del Littorio con un duplice immenso significato: la soddisfazione di una capacità tecnica di produzione, il vaticinio di una certa e completa vittoria». Lo stabilimento marsicano, secondo il parere del giornalista, era considerato in quel momento il migliore in assoluto dell’Italia centro-meridionale. Alla fine dell’articolo, non mancarono ampollose considerazioni sui sacrifici di Torlonia e quelle degli operai che, in puro “credo” fascista, contribuirono a realizzare l’opera: «è un contributo di inestimabile valore pratico e morale, se si considerano i sacrifici degli industriali che hanno voluto mettersi in linea nella nobile iniziativa e gli sforzi diuturni degli operai, figli forti e taciturni dell’Abruzzo, che operano disciplinatamente, indefessamente con tutta la fede nel Duce e nei destini dell’Impero fascista» (3).

NOTE

  1. R.De Felice, cit., pp.758-768
  2. lo Stato Operaio, Rassegna di politica proletaria, Anno X – N.10-12, Ottobre-Dicembre 1936, Testimonianze sullo stato d’animo delle masse lavoratrici, p. 34. Inoltre, per avere un quadro completo delle numerose osservazioni contrarie al regime, si leggano i: «Documenti del P.C.I., Riconciliazione e unione del popolo italiano per la conquista del pane, della pace e della libertà (Risoluzione del C.C.del P.C.I.); I. La vittoria militare in Abissinia e il pericolo di una nuova guerra mondiale», p.729. Molto importante per capire «il disagio, la miseria e le gravissime limitazioni della libertà che stavano attraversando le popolazioni delle campagne e quelle urbane», è la relazione di Emilio Sereni alla Conferenza Internazionale Agraria tenutasi a Bruxelles nei giorni 3-6 settembre 1936, nel quadro del Congresso Mondiale per la Pace: «L’agricoltura e la politica di guerra», pp. 778-787.
  3. Il Messaggero, Cronaca dell’Abruzzo e del Molise, Anno 58° – N.304, Martedì 22 Dicembre 1936. A grandi passi verso l’indipendenza economica. Il nuovo stabilimento di Avezzano per la produzione dell’alcool carburante.

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