C’è stato un tempo lontano in cui la vita scorreva lenta, cadenzata dal passaggio delle stagioni. In cui le persone si rispettavano e si aiutavano, perché tutti avevano poco, e nessuno era meglio dell’altro. Un tempo dove l’odore del pane riempiva le case, e nelle stalle non c’erano automobili ma carretti trainati dai cavalli o dagli asini. Ed i bambini giocavano in strada, ridevano, correvano, si confrontavano tra loro. Era un tempo povero, senza televisione, radio, internet e si faticava per vivere, ma era anche molto ricco, pieno di semplicità, di fratellanza, di condivisione. Allora si guardava al futuro, convinti che tutto sarebbe migliorato ma non cambiato, che il progresso avrebbe portato tutto quello che mancava per essere felici.
Ma nel lungo cammino percorso abbiamo lasciato indietro parecchie cose importanti, non con coscienza o volontà, solo per negligenza, perduti nel tempo. Adesso che la tecnologia ci domina, ci voltiamo indietro e lontano, tra le pieghe del tempo, scorgiamo quelle cose che adesso ci mancano e che inconsciamente ricerchiamo, e ce ne accorgiamo ogni qualvolta posiamo gli occhi sulle persone che ci circondano, chiuse nei loro mondi fatti di chat e indifferenza, troppo presi dalla frenesia dell’arrivare, chissà poi dove. La nostra vita si è modificata, più comoda, più sicura.
Ci riuniamo ancora intorno ad un tavolo per cenare ma la televisione ci cattura e non parliamo, non ascoltiamo. Ignoriamo chi ci abita accanto e se qualcuno chiede, noi non diamo. Abbiamo tutto eppure siamo diventati più poveri di quanto lo potevamo essere in passato. I vecchi stanno morendo, ed il ricordo di quei tempi lontani sta svanendo con loro ma se chiudiamo gli occhi per un momento potremmo tornare lì, nell’autunno di una Marsica antica, e vedere i grappoli maturi brillare al sole, ancora penduli. Le vendemmiatrici non si fanno attendere troppo, e vengono con le ceste, con le bigonce, con le forbici e con i loro canti gioiosi, che sempre le accompagna. Anche i bambini partecipano alla festa e piluccano l’uva con le labbra e con i denti .
Poi, a poco a poco, i canti della vendemmia si spengono, il sole impallidisce, l’aria si fa fredda. Le ultime rondini circolano ancora una volta nel cielo, si raccolgono, si riconoscono e spiccano il volo verso lidi più miti. Le mandrie scendono dai monti e lentamente si avviano verso il Tavoliere delle Puglie o verso l’Agro romano. Anche le foglie si separano dagli alberi, abbandonate al loro destino. Giù, tra le nebbie della valle, fischia il cacciatore, ed il contadino, con gesto ampio e sicuro, getta nella terra arata i nuovi semi. Una grande tristezza invade l’anima, e una voce senza suono parla dolcemente al cuore. È il ricordo di tutte le persone care che troppo facilmente abbiamo dimenticato durante l’anno, e che attendono da noi il tributo d’amore per la loro ricorrenza. L’aroma della legna bruciata si espande nell’aria, segno che i camini scaldano le case, e nelle pentole cuociono le prime castagne.
Le famiglie si riuniscono nelle cucine, e le chiacchiere riempiono le lunghe sere d’autunno. Presto arriverà l’inverno ed il calore delle persone care avvolgerà le abitazioni come una coltre di spessa lana, mentre fuori la neve stenderà il suo manto candido sulla natura addormentata. Dai soffitti delle cantine penderanno i prosciutti, i salami, le salsicce e le dispense si riempiranno dei frutti del lavoro estivo: grano, mais, patate, mele. . . Saranno la ricchezza delle mense durante l’inverno. L’autunno è arrivato con le sue mille sfumature di oro, bronzo, verde e marrone e l’uomo sa che è quasi tempo di riposarsi. Ottobre passerà, poi novembre e tornerà dicembre.
Oggi come allora i mesi arriveranno, uno dopo l’altro, ma ciò che non tornerà più sarà quel senso di genuinità, di convivenza, di condivisione per una sorte comune, di appartenenza, di fratellanza, di solidarietà che solo chi non ha nulla conosce. Abbiamo pagato a caro prezzo il progresso, perché le cose perdute erano ,forse, quelle che facevano di noi esseri umani degni di questo nome.