Il WWF parteciperà al tavolo per la protezione delle colture dalla fauna selvatica. “Importante il confronto, ma si ragioni su basi scientifiche”

Il WWF parteciperà, in quanto Associazione che gestisce una serie di riserve regionali, al “Tavolo tecnico regionale permanente per la protezione delle colture e degli allevamenti dalla fauna selvatica” convocato dall’Assessore Lorenzo Berardinetti per domani a L’Aquila: tema dell’incontro sarà un confronto sulle linee di indirizzo per la gestione del cinghiale nelle aree protette che la Regione vuole mettere a punto.

“Apprezziamo molto l’invito dell’Assessore e la volontà di confrontarsi su un tema importante, spesso purtroppo contraddistinto da semplificazioni che non facilitano la risoluzione del problema. È indispensabile, infatti, che la tematica sia affrontata su basi tecnico-scientifiche, mettendo da parte sia gli aspetti emotivi sia gli interessi rappresentati dal mondo venatorio.

L’esperienza maturata negli anni, in qualità di gestori di aree naturali protette, ci spinge a considerare un grave errore consentire di cacciare in parchi e riserve, scelta la cui concreta praticabilità giuridica è peraltro tutta da dimostrare. Appaiono molto più efficaci l’adozione di strumenti di dissuasione non cruenta (recinti elettrificati, dissuasori con luci e rumori, campi a perdere) e, qualora questi non funzionassero, la cattura attraverso chiusini, relegando solo in casi puntuali legati all’incolumità pubblica o a situazioni circoscritte, il ricorso ad abbattimenti veramente selettivi effettuati su capi determinati ma sempre e soltanto da parte di personale specializzato appartenente o ai parchi o alle Forze dell’ordine.

In ogni caso, come facciamo da anni, la prima cosa che chiederemo è che il confronto parta da dati reali e verificati. Se si vuole veramente affrontare una volta per tutte il problema e provare a trovare delle soluzioni concrete e percorribili, è indispensabile:

  • avere un quadro della presenza dei cinghiali nella regione e nei singoli territori compresi quelli nei quali sono comprese anche aree protette;
  • confrontarsi sui risultati delle politiche portate avanti in questi ultimi 10 anni in base alle quali oggi si è sostanzialmente arrivati a consentire la caccia al cinghiale in tutti i periodi dell’anno e in tutto il territorio regionale (a esclusione finora delle aree naturali protette);
  • sganciare totalmente l’aspetto della gestione dei danni dalla caccia. Dopo anni di politiche tutte basate sugli abbattimenti si continuano registrare danni alle colture, che in alcuni casi addirittura aumentano. Ci si deve quindi chiedere quale reale efficacia abbia affrontare il problema attraverso lo strumento dei cacciatori che, dopo essere stati l’origine del problema con l’introduzione in Abruzzo di cinghiali a scopo venatorio, vengono ora individuati come la soluzione nonostante non siano affatto interessati a risolverlo, essendo i primi beneficiari di questa situazione che ha consentito loro di andare a caccia anche in periodi in cui tale attività è vietata (traendone anche, alcuni di loro, introiti dalla vendita delle carni degli animali uccisi);
  • verificare che tipo di controlli vengono effettuati sulle attività di selecontrollo attualmente consentite, considerato che quelle che dovrebbero essere delle girate si trasformano sostanzialmente in vere e proprio braccate, deleterie, soprattutto in periodi di riproduzione come questo, non solo per i cinghiali, ma per tutta la fauna che viene inseguita e spaventata da cani e spari;
  • analizzare in quanti casi sono state adottate le misure dissuasive non cruente, che appunto si dovrebbero sperimentare prima di passare agli abbattimenti, e che tipo di risultati queste hanno comportato;
  • studiare le relazioni tra lupo e cinghiale considerato che, essendo il cinghiale alla base della dieta del lupo, l’eliminazione di un numero consistente di cinghiali spingerebbe i lupi a predare maggiormente pecore o altri animali da allevamento;
  • verificare i risultati delle catture che alcune realtà locali hanno portato avanti verificandone l’applicabilità su altri territori, non legandola a motivi economici di vendita delle carni, ma più opportunamente all’efficacia rispetto agli obiettivi della riduzione del danno e del superamento di eventuali squilibri ecologici per sovrannumero di capi.

Come WWF ci rendiamo conto che si tratta di un programma di attività estremamente complesso, ma la logica e l’esperienza ci spingono a lavorare in questa direzione al fine di dotare l’Abruzzo finalmente di un sistema di gestione della specie che miri a risolvere efficacemente il problema, percorrendo finalmente la strada della ricerca e del confronto tecnico e tralasciando le altre vie che fino a oggi non hanno evidentemente portato ai risultati sperati”.

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