I Poeti Marciano Per La Pace: riflessioni della scrittrice Maria Assunta Oddi

Il 15 giugno la marcia dei Poeti per la Pace ha attraversato la città di Reggio Calabria guidata dal Poeta Gianni Suraci, da Padre Giuseppe Sinopoli e dal sindaco Francesco Malara.

Tra cultura, informazione e impegno civile la manifestazione, tramite gesti concreti, ha fatto dei poeti in marcia “Sentinelle sociali” nella consapevolezza che la poesia, quando risuona lungo le strade delle nostre città, è già un inizio di pace.

I versi declamati nelle piazze e nei cortili si fanno parola vivente nella costruzione dell’amicizia universale:” Amico mio, accanto a te non ho nulla di cui scusarmi, nulla da cui difendermi, nulla da dimostrare: trovo la pace…al di là delle mie parole maldestre tu riesci a vedere in me semplicemente l’uomo” (Antoine de Saint-Expèry). L’espressione autentica delle emozioni commuove gli animi e desta le coscienze assopite nel frastuono incestuoso del presente facendosi strumento  di formazione dell’identità collettiva :” Ogni morte d’uomo mi diminuisce,/ perché io partecipo all’Umanità”(John Donne). Sorprende che un poeta inglese del XVI secolo abbia potuto enunciare un principio  così attuale e moderno: nessun uomo può considerarsi staccato dagli altri, poiché ognuno di noi è in relazione con tutti. Tale considerazione è ancora più vera oggi, in un mondo unito dai nuovi mezzi di comunicazione di massa dove le guerre in Paesi lontani  hanno effetti anche su tutti gli altri Stati.

La marcia dei Poeti  ricorda che ognuno è responsabile del destino di tutti, non ci si può isolare chiudendosi in torri d’avorio o disinteressarsi della sorte degli altri: la perdita di qualcuno, sminuisce il valore di tutti.

Oggi, a cento anni dalla prima pubblicazione della raccolta “Ossi di seppia”, avvenuta il 15 giugno 1925, Eugenio Montale ci aiuta a capire che i conflitti, la povertà, la violenza ancora interrogano l’uomo contemporaneo sul senso esistenziale dell’essere nel mondo. Per Montale, infatti, la parola poetica implica il bisogno di rompere l’isolamento dell’individuo tramite, come lui stesso spiegò, la presenza di un “Tu” al quale l’ Io lirico si rivolge presupponendo  un interlocutore muto, assente, ignaro dell’altro eppure desideroso di parlare con qualcuno. I poeti, tutti i poeti, pur dialogando con le inquietudini, i disagi e le incomprensioni di una realtà individuale e collettiva spesso dissonante e tragicamente segnata dalla solitudine, si prendono cura delle virtù empatiche del cuore per riscoprire il rapporto tra pace e fratellanza. La poesia, come saggiamente osserva Kahil Gibran, sia che nasca da una ferita sanguinante o da  labbra sorridenti si fa canto solidale per aprirsi agli altri. I poeti  mettono a nudo il loro universo emozionale con un alfabeto di luce per accendere la torcia della speranza nel ritorno della pace. 

La marcia dei poeti è pertanto uno dei gesti più rivoluzionari per invitare a porsi le grandi domande che tutti gli uomini, soprattutto i signori della guerra, devono porsi prima poi guardando dentro l’abisso insondabile di una nuova umanità.

Che bello sarebbe pensare alla poesia come ad un testamento da lasciare ai giovani: “Un uomo deve…amare molto, anche errare, molto soffrire, e non odiare mai” (G. Ungaretti).

Foto di Orsola Toscano – www.giornalistitalia.it – Marcia dei Poeti per la Pace in Piazza Italia a Reggio Calabria

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