Tra i fattori chiave per la ripresa identificati nell’ambito del Recovery Plan la digitalizzazione ha assunto un ruolo centrale, insieme alla sostenibilità ambientale. In Italia si tratta però ancora di un punto dolente e il nostro Paese è in cronico ritardo rispetto al resto dell’Unione Europea. Non va meglio per la Regione Abruzzo, che rimane sotto alla media nazionale. Vediamo allora qual è la situazione e quali sono i problemi da affrontare per muoversi più rapidamente verso una società davvero digitale.
Il digitale arranca in Italia e in Abruzzo
Il rapporto DESI (Digital Economy and Society Index) relativo a dati del periodo pre-pandemia dipingeva un quadro fosco per l’Italia, che rimaneva tra i fanalini di coda per lo sviluppo digitale tra i Paesi della Ue. Durante l’emergenza sanitaria è emersa ancora più chiaramente l’importanza di connessioni adeguate e competenze digitali per una maggior resilienza del territorio in periodi di crisi. È quindi particolarmente preoccupante che il livello di digitalizzazione in Italia sia tra i più bassi nei Paesi Ocse, con l’Abruzzo che fa ancora peggio della media nazionale. Il DESI regionale mostra infatti l’Italia con un punteggio medio di 53,8 e l’Abruzzo fermo a 41,1, con particolari criticità per quanto riguarda integrazione delle tecnologie digitali e digitalizzazione della pubblica amministrazione.
Guardando alle competenze digitali dei cittadini e all’uso che fanno di internet, in Abruzzo solamente il 72% della popolazione usa internet quotidianamente. La media europea è invece dell’80%, con punte oltre il 90% nel Nord Europa. Tra gli utenti della rete si nota poi una preferenza per intrattenimento e social media, mentre i servizi più avanzati sono utilizzati meno frequentemente. La percentuale di abruzzesi che hanno fatto acquisti online si ferma al 40%, e soltanto il 31% ha utilizzato servizi di home banking.
Il ruolo fondamentale della formazione
Uno dei nodi cruciali del problema è la carenza di competenze digitali degli italiani: solamente il 42% ha competenze di base, mentre il 22% va oltre alle conoscenze basilari. Anche l’istruzione specifica nel settore è più bassa della media Ue: i laureati ICT sono in Italia l’1%, mentre in Europa arrivano al 3,6%.
Qualcosa si muove però sia nell’istruzione pubblica che nel settore privato. Da un lato, sono sempre di più i giovani che scelgono una scuola a indirizzo informatico, per orientarsi in futuro verso una professione in campo ICT. Dall’altro cresce il numero di ragazzi e adulti che decidono di completare un corso web developer come quello di Aulab, puntando sulla formazione professionale. Possono così imparare in pochi mesi a programmare, acquisire competenze digitali avanzate ed entrare con più facilità nel mercato del lavoro, con una professione tra le più richieste. Al momento c’è ancora un divario notevole tra la domanda di professionisti da parte delle aziende e le competenze dei candidati: formarsi per coprire quel gap è un modo sicuro per ottenere in futuro una buona carriera.
Prospettive future e il ruolo delle istituzioniLavoro in remoto, didattica a distanza e il passaggio a servizi pubblici online hanno messo in risalto il bisogno di colmare le disparità di competenze digitali degli italiani. Da un lato, la PA deve trovare il modo di adeguarsi ai tempi e offrire servizi in linea efficaci, accessibili e intuitivi. Al momento l’opinione dei cittadini sulla qualità dei servizi digitali pubblici è infatti bassa: il 29% ne valuta positivamente l’efficienza, il 35% è soddisfatto dalla facilità d’uso e il 36% li trova utili. Sta a regioni e istituzioni dunque assicurarsi che le piattaforme siano in linea con le aspettative degli utenti, rendendoli davvero uno strumento in grado di semplificare e velocizzare le interazioni con la PA. Al tempo stesso sarà cruciale promuovere l’acquisizione di competenze per tutti, senza lasciare indietro la fascia di popolazione che ancora non si muove con sicurezza nel mondo digitale.