“Ci sono una disabile, un bonifico e Poste Italiane”, l’incredibile storia di Valeria, raccontata da suo fratello Luigi

Avezzano. Questa è la storia di una madre, Nanda, che deve aprire un conto corrente a sua figlia disabile Valeria, interdetta e di cui lei è tutrice legale nominata con sentenza definitiva da un Giudice. A raccontarla è Luigi, il fratello di Valeria.

Capita quando si ha a che fare con mia sorella di avere degli inconvenienti del tipo: metti un cartone in televisione e invece ne vuole vedere un altro. Di solito te lo fa notare con urla disumane, neanche le stessi cavando un dente senza anestesia, ma l’argomento è serio e la giustifico, in fondo quello non disabile credo di essere io e se non capisco queste cose basilari la colpa è mia.

Capita anche che la tutrice di Valeria, sua madre, debba aprire un conto corrente su cui accreditare dei soldi che spettano alla stessa, così con la semplicità con cui metti un cartone in televisione, ti rechi all’Ufficio Postale per aprirlo e il consulente ti rimandi a una sua collega perché troppo complicato. La consulente, già piccata per lo scaricabarile, ti dice che serve l’autorizzazione del Giudice Tutelare. Le facciamo notare che, precedentemente, il libretto postale era stato aperto senza autorizzazione del Giudice. Indemoniata come Valeria davanti al cartone brutto accusa i suoi scellerati colleghi, inoltre davanti le nostre rimostranze ci dice che i problemi non li abbiamo solo noi (torno tra poco su questo punto, ci tengo). Chi non è del campo non conosce i tempi che può avere un’autorizzazione di un Giudice e a noi il tempo scadeva inesorabilmente il 5 luglio, circa due settimane dopo. Poi avremmo perso i soldi. Smuovi mari e monti, maledici le complicazioni gratuite, odi, sentimento sconosciuto. Finché il Giudice scrive che, essendo ordinaria amministrazione, non serve la Sua autorizzazione. Ecco, torno al punto: aveva ragione la consulente: i problemi non li abbiamo solo noi, li hanno solo loro e li creano agli altri, perché noi, senza gli orpelli e gli ostacoli inventati a tavolino avremmo ben pochi problemi.

Presi dalla rabbia decidiamo di cambiare Ufficio Postale e pur trovando un approccio più umano ci scorniamo contro le stesse storture. Prima ci chiedono l’autorizzazione del Giudice (pure loro?), poi un numero di telefono di Valeria che non parla e non ha telefono. Qui il nuovo intoppo: se non ha il telefono non si può fare. Le intestiamo una SIM (qui siamo all’assurdo). La pratica si sblocca fino a quando (essendo un conto cointestato a lei e alla tutrice) escono fuori due bancomat ma Valeria non può firmare la sua carta. Nuovo blocco. Bisogna fare per forza un conto intestato solo a Valeria. Fate vobis. Viene allegata la sentenza di interdizione, fotocopiata dall’originale dal consulente e, colpo di scena: dal call center delle Poste gli dicono che serve l’attestazione di copia conforme all’originale rilasciata dal Comune. Faccio notare che io ho dato l’originale e quindi che la fotocopia l’hanno fatta loro, perciò si assumessero la responsabilità di dire, a loro stessi, che è conforme all’originale. Capendo di aver superato un limite soprassiede all’intoppo. La pratica volge al termine.

11 giorni, 3 consulenti coinvolti, 2 istituzioni coinvolte (Tribunale e Comune, anche se il secondo solo chiamato in causa) per aprire un conto corrente.

Pensare che per gestire Valeria, se non fosse per l’incompetenza che la circonda, basterebbe indovinare cartone animato.

Esiste un problema ben definito ed evidente: nessuno vuole assumersi responsabilità e le scarica: al collega, al Giudice, al Comune.

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