In corso di stampa per i tipi delle Edizioni One Group, e’ imminente l’uscita del volume “Grand Tour a volo d’Aquila” di Goffredo Palmerini. L’ottavo libro dello scrittore aquilano, bella copertina e una pregiata veste grafica, apre le sue 352 pagine con la di Presentazione dell’insigne scrittore e poeta Hafez Haidar, gia’ candidato al Premio Nobel per la Pace ed attualmente al Nobel per la Letteratura, docente presso l’Universita’ di Pavia. La Prefazione e’ di Tiziana Grassi, studiosa di migrazioni, scrittrice e per molti anni autrice per la Rai. Pagine davvero intense la prefatrice dedica al giornalismo di servizio e ai temi che affliggono il tempo che viviamo, riconosciuti fortemente presenti e di significato rilevante sia nel volume che nel quotidiano impegno di Goffredo Palmerini. Qui di seguito, con il consenso dell’editore, si riporta la Prefazione di Tiziana Grassi.
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PREFAZIONE
«La solidarietà del genere umano non è solo un segno bello e nobile,
ma una necessità pressante, un “essere o non essere”,
una questione di vita o di morte ».
Immanuel Kant
Nel caos scomposto di questo nostro tempo drammaticamente spaesato e spaesante, sentiamo la necessità e l’urgenza di legami e punti di riferimento. L’urgenza di alte e giuste idealità che possano contrapporsi all’involuzione del mondo contemporaneo che ha smarrito la prospettiva lunga e profonda della Storia e accantonato il patrimonio di molte coordinate valoriali. Non si arresta la strage di esseri umani nel Mediterraneo, in questa estate del 2018. E mentre l’annuario di Goffredo Palmerini sta per andare in stampa, fa il giro del mondo l’immagine dello sguardo nel vuoto di Josefa che, aggrappata a un pezzo di legno in mare per 48 ore, è stata l’unica persona sopravvissuta all’ennesimo naufragio a cui assistiamo attoniti e sgomenti. Quello sguardo è il naufragio dei nostri valori, dell’umanità che stiamo perdendo, della incapacità di compartecipazione e indignazione. In quegli occhi che hanno visto l’orrore c’è il nostro vuoto e il nostro progressivo allontanamento dai fondamenti umanitari. Quegli occhi ci riguardano. La profondità di quei mari somiglia così tanto alla profondità universale dell’Humanitas che abbiamo perduto. E ne troviamo l’eco anche nelle acutissime parole del Presidente Mattarella alla Comunità italiana d’Argentina a Buenos Aires, nel maggio 2017, trascritte in questo volume-mondo Grand Tour a volo d’Aquila di Goffredo Palmerini: «[…] I mezzi di comunicazione portano alla nostra attenzione immani tragedie, in cui i temi della solidarietà e della dignità della persona si scontrano con intolleranza, discriminazioni e diffusa incapacità di comprendere ciò che è in atto, ciò che sta accadendo al mondo, di spostamenti e fenomeni epocali […]».
Rinunciando alla tentazione di considerare l’essere umano un problema o un’emergenza, va sempre ricordato invece che l’unica vera e inderogabile emergenza è salvare vite. Alla sub-cultura del rifiuto in cui stiamo naufragando, mentre tornano i reticolati, si chiudono i porti, si calpestano i diritti umani fondamentali e la sacralità di un’accoglienza che viene dal profondo dei secoli, un antidoto può essere ispirarsi a figure esemplari come Goffredo Palmerini, quelle che Papa Francesco ha definito gli “artigiani del bene comune”. Una figura esemplare per la sua disposizione interiore all’accoglienza dell’Altro, che apre varchi all’esperienza della catarsi insita nell’incontro stesso. Una tensione morale e civile, l’esercizio quotidiano di un impulso che diviene illuminante per tutti noi. Figura-guida nel “comprendere ciò che è in atto” e accompagnarci nell’essenziale, estensivo e universale racconto di storie di vita, nel “piacere di un colloquio, un racconto ad amici”.
Questo volume parla di sentimenti ed emozioni osservati, vissuti e condivisi a cui l’autore partecipa sempre intimamente, restituendo all’essere umano la sua centralità. La testimonianza peculiare di Goffredo Palmerini consiste nel protendersi verso l’Altro, in amicizia e in dialogo; nell’attitudine morale a farsene carico ponendosi al servizio del bene comune. Una virtù del ‘giusto agire e agire giusto’ cui ha conformato le molteplici forme del vivere, come accorto amministratore civico di lungo corso, negli attuali impegni di rappresentanza istituzionale – Ambasciatore dell’Abruzzo e dell’Italia nel mondo –, nella sua estesa produzione letteraria e giornalistica di impegno civile. Così, nella temperie, ci lasciamo condurre dalla sua visione acuta e prospettica. La salda tenuta della sua attitudine mentale e ideale ci introduce a uno dei fondamentali dell’esistenza: la fraternità, uno spirito di fratellanza peraltro richiamato nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Il suo nuovo volume, come i precedenti, costituisce luogo privilegiato di riflessione su un’idea comune della natura dell’uomo, e su un sentimento di comunità, di condivisione che abbatte distanze e confini. Questo suo imperativo morale “vigile e saldo”, sustanziale a uno dei motti dei “fratelli” Alpini cui Goffredo Palmerini fieramente appartiene, lo rende custode e presidio di coscienza. In lui è forte il sentimento di appartenenza alla grande ecumene umana che vive e condivide in pienezza, nella duplice dimensione del sentirsi intimamente parte dell’Altro, e del sentire l’Altro parte costitutiva di sé. Nei suoi numerosi volumi e articoli, Palmerini esprime un potente senso etico nel racconto-logos delle sue antologie che attraversano le grandi questioni del nostro tempo e dell’Umano. Per questo, in un tempo così smarrito, la sua missione è centrale e necessaria. Sa cogliere perfettamente lo spirito del tempo rinnovando la forza, la semplicità e la bellezza dello stare insieme. Lo fa con i suoi volumi, la cui pubblicazione noi tutti attendiamo come appuntamento irrinunciabile; ma lo fa anche punteggiando i momenti inquieti del nostro tempo con il suo rassicurante “Cari Amici nel mondo”, quel messaggio che periodicamente invia alla grande rete dei suoi contatti di posta elettronica e che ci fa sentire solidamente parte di questa ideale assemblea sparsa in ogni latitudine. E grazie a questo “artigiano del bene comune” ci
sentiamo meno soli, più garantiti dai valori di sempre, sottratti all’immanenza senza visione che incatena a un eterno presente. Nella corsa al ribasso degli individualismi e localismi del momento, Palmerini indica la strada che ci porta a interrogarci su noi stessi e sulla nostra capacità di fare spazio al mondo che viene da fuori. Quel mondo che “costringiamo a partire per non morire”, per citare a stralcio Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo, che nel suo recente discorso alla Città (il 15 luglio 2018, nel Festino di Santa Rosalia) analizza i ‘segni dei tempi’ e le feroci iniquità dell’homo oeconomicus meglio di ogni compendio di geopolitica.
«[…] Se fermiamo le navi dei poveri, se chiudiamo i porti, siamo dei disperati. Disperiamo della nostra umanità, disperiamo della nostra voglia di vivere, del nostro desiderio di comunione. Purtroppo l’informazione che ci giunge attraverso i mass media è spesso monca e distorta. Voglio essere chiaro con voi. Tutti dobbiamo sapere che lungo i decenni e soprattutto in questi ultimi trent’anni l’Africa – che è il continente più ricco del mondo – è stata sfruttata dall’Occidente, depredata delle sue materie prime. Ce le siamo portate via, anzi le multinazionali l’hanno fatto per noi, senza pagare un soldo. E abbiamo tenuto in vita governi fantoccio, che non fossero in grado di difendere i diritti della gente […]. Siamo noi i predoni dell’Africa! Siamo noi i ladri che, affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire: bambini senza genitori, padri e madri senza figli. Un esodo epocale si abbatte sull’Europa, che ha deciso di non rilasciare più permessi per entrare regolarmente nel nostro continente. E allora questo esercito di poveri, che non può arrivare da noi in aereo, in nave, in treno, prova ad arrivarci sui barconi dei trafficanti di uomini […]».
E risuona nelle coscienze il grido di don Corrado:
«Devo gridare questa verità: quelli che vengono chiamati centri di smistamento, di detenzione, quei centri che i nostri governi sollecitano e finanziano per ‘bloccare’ il flusso migratorio, spesso richiamano i campi di concentramento. E se settant’anni fa si poté invocare una mancanza di informazione, oggi no. Non lo possiamo fare, perché ci sono le prove, nella carne martoriata di questa gente, nei filmati, nei reportage di giornalisti coraggiosi. Noi sappiamo, e siamo responsabili. E dobbiamo levarci! […]. Noi che sappiamo che cosa vuol dire essere migranti. Noi che abbiamo visto i nostri padri e i nostri nonni costretti a lasciare la loro casa, rifiutati, umiliati, buttati fuori da case e locali perché italiani. Noi sappiamo e non tacciamo! Cosa abbiamo fatto e cosa faremmo al posto di queste donne, di questi uomini, di questi bambini, in fuga dal nulla e dalla morte? Se fossero i nostri figli, i nostri parenti ad essere in pericolo di vita, senza cibo e assistenza, se fossero torturati e stuprati, che cosa faremmo? Una nuova epocale trasmigrazione dei popoli sta accadendo davanti ai nostri occhi, e abbiamo bisogno di chiarezza e di umiltà per capire quale società vogliamo costruire, quale risposta intendiamo dare ai segni dei tempi. […]».
Sotto l’influenza di una ‘cultura del nemico’, ci stiamo abituando a pensare che non tutti gli uomini sono uguali, che alcune vite valgono più di altre, che la dignità di ogni singola esistenza non costituisce vincolo morale imperativo. E rischiamo di perdere una coscienza morale collettiva se assistiamo incuranti alla divisione degli esseri umani tra cittadini di serie A e (non) cittadini di serie B. Nel “bisogno di chiarezza e umiltà” verso una società più giusta, che superi matrigne frammentazioni e spinte divisive, figure come Palmerini incarnano dunque la Speranza nella relazione umana come unica strada. I suoi vasti orizzonti ideali ci confermano nell’urgenza di dover superare le arroganze etnocentriche dell’antitesi Noi/Loro, predisponendoci a un senso di responsabilità degli uni verso gli altri nell’insieme-mondo. Un ethos della reciprocità a cui la Storia ci chiama. L’Altro tra noi, l’Altro parte di noi. Una prossimità inedita, non solo fisica, senza precedenti e perciò ‘presenza’ scomoda. Affacciandosi tra noi, difatti, ci interroga sul riconoscimento dell’alterità e dei suoi bisogni, costringendo la coscienza individuale e collettiva a riflessioni serie sull’essere e dover essere. Nell’impasse del mondo contemporaneo, la dimensione della prossimità – che permea la biografia e tutte le attività di Goffredo – ci ricorda che l’Altro siamo noi, che lo siamo stati. Ed è quasi superfluo ricordare che, nella natura strutturale e circolare dei flussi migratori, non c’è famiglia italiana che fra i propri antenati non abbia un nonno, un bisnonno o un trisavolo migrante nell’altrove che non abbia avuto esperienza delle stridenti e dolorose asimmetrie tra le confortevoli posizioni dei nativi e lo straniamento dell’essere in cammino. È venuto il momento, dunque, di cominciare a pensare, parlare e agire a lungo termine.
Nell’urgenza di riconsiderare i rapporti tra gli esseri umani e il pianeta che ci ospita tutti, la via maestra per superare la tendenza al dissolvimento dei legami sociali è la conoscenza dell’Altro e l’apertura al mondo. Nella stessa direzione vanno la scrittura come patrimonio testimoniale/documentale e il giornalismo di impegno civile di Goffredo per incontrarsi al crocevia degli ideali universali da sostenere, promuovere e condividere sempre e ad ogni costo poiché sono i soli a poter restituire a noi stessi la consapevolezza dell’essere al mondo in uno spirito autenticamente comunitario. Unico ‘luogo’ dove poter sopravvivere, forse, allo sguardo di Josefa. È nella dimensione della condivisione di universi migratori dei singoli e delle comunità che ci conduce Palmerini attraverso le pagine di questa antologia, nel racconto dell’immenso mosaico del nostro Paese, in una straordinaria patria più grande dei confini nazionali. E nell’intreccio di antico e nuovo, il valore attivo della memoria gli è requisito indispensabile per tessere e rinsaldare relazioni nella prospettiva di un futuro verso cui orientarsi, un futuro di tutti. Il valore storico, culturale e sociale dei suoi scritti rende manifesto che ogni vissuto migratorio, ieri come oggi, è portatore di storie e universi valoriali, di dolore, sradicamento e coraggio; di talenti e imprese singolari nella straordinaria quotidianità. Palmerini coglie nitidamente il portato della mobilità umana e il lungo viaggio interiore nell’altrove fatto di paesaggi, partenze, nostalgie e ritorni. Nella prospettiva lunga, sa indagare anche nelle istanze e nelle dinamiche transgenerazionali che affiorano costantemente e in vivida risonanza.
«Alcune migrazioni familiari hanno la capacità di trasmettersi come un’eco, segnando in modo indelebile il percorso di vite individuali e, prima o poi, c’è qualcuno che paga il prezzo del distacco iniziale – annota Elena Liotta, psicoterapeuta e studiosa di migrazioni, lei stessa non estranea al tema dell’esperienza migratoria di cui ha conosciuto la ‘ferita dello strappo’ –. Ho seguito tanti pazienti che tornavano in Italia a volte come terza o quarta generazione con brandelli di memoria collettiva, senza più conoscenza della lingua, già persa alla seconda generazione, a cercare radici, a innamorarsi di un italiano, a studiare l’arte italiana, a tentare di riacchiappare qualcosa di perduto e al tempo stesso percepito come indispensabile per andare avanti nella loro vita». È materia complessa quella migratoria, dove solo un ascolto autentico come quello di Goffredo può arrivare a cogliere gli universali umani come mostrano i suoi meta-racconti. La sua adesione partecipe e riflessiva alle storie di vita, la sua spiccata sensibilità anche nelle pieghe dell’inespresso fondano la sua personalissima “cartografia dell’anima” che costituisce la guida “alla scoperta delle meraviglie del Belpaese”. Le varie parti di questo volume ci conducono verso autentici scrigni di esperienze e vita vissuta, ricchezza di relazioni e luoghi che trascendono il tempo e lo spazio di un’Italia e di una Terra senza confini. Dall’Abruzzo al mondo. Goffredo Palmerini è uno dei figli più affermati e prestigiosi di questa regione coraggiosa e indomita verso cui riversa tutto il suo amore a partire dall’Aquila, fulcro affettivo da cui distende il suo sguardo. L’Aquila, perno di una disposizione morale dell’agire nell’urgenza della sua rinascita dopo le ferite ancora aperte prodotte dalla violenza del sisma del 2009. E in quel momento così terribile per la sua terra, Goffredo non esitò ad attivare immediatamente la sua fitta rete di collegamenti in tutti i continenti, dando il via a un’imponente gara di concreta solidarietà e generosità tra tutti gli Abruzzesi nel mondo e delle loro Associazioni in favore della popolazione aquilana e dei borghi colpiti dal terremoto. Riconduce come di consueto ai fondamentali, Palmerini, che sulle ferite del sisma annota nelle pagine che seguono:
«[…] oltre la gratitudine per la continua calorosa vicinanza che abbiamo avvertito, vogliamo essere aperti alla speranza di futuro per la nostra comunità, per una sollecita ricostruzione materiale. Ma sopra tutto con la speranza operosa di una forte ricostruzione sociale e morale della nostra comunità, che deve ritrovare il senso profondo del vivere insieme con i valori antichi del Bene comune, quegli stessi valori che nei secoli ha fatto e mantenuto grande L’Aquila. Fraternità sociale, reciproca solidarietà, rispetto, impegno civico, etica delle responsabilità, cultura, creatività, attaccamento alla propria terra, amore per la propria storia e gratuita dedizione al bene comune: sono gli ingredienti che disegnano il nostro futuro, il futuro dell’Aquila nuova, non solo più bella di prima, ma anche migliore di prima. Chiudo questo ricordo, nonostante amarezze e problemi, con questo forte senso di speranza e di futuro. A ciascuno di noi aquilani è assegnato una parte d’impegno nella ricostruzione morale ed etica della nostra città, perché la qualità delle relazioni umane presieda a riedificare il connettivo d’una comunità più forte, perché più unita nei suoi valori
fondanti. È il modo migliore per ricordare ed onorare degnamente le 309 vittime del terremoto dell’Aquila».
La sua sentita adesione umana è avvolgente. Il valore del suo essere in relazione e il forte legame che affratella affiorano ovunque nelle pagine di questo volume in cui ci propone, all’interno di un più vasto corpus, la rappresentazione emblematica di una realtà migratoria antica e recente. Sono storie di donne e uomini che, nonostante lo scorrere dei decenni, hanno impresso indelebilmente dentro di sé le proprie origini e la propria italianità. Palmerini conosce come pochi, per la sua esperienza diretta e di prossimità, il portato di un vissuto diasporico fatto di strappi, nostalgie e resilienza. Insieme al senso di vuoto e sospensione del viaggio – psichico e materiale – dell’attraversamento nell’altrove. Per dirla con il sociologo Ferrarotti, Palmerini partecipa a quella «sorta di vago, ma reale, indolenzimento interiore, fra i migranti che, senza alcuna ragione, si affollano la domenica pomeriggio nelle sale d’aspetto della Bahnhof di Zurigo o di Francoforte, quasi ad anticipare una partenza la cui ora non è ancora venuta […]». Comprende anche, e partecipa del lavorìo interiore delle due forze simultanee di chi si sente sospeso ‘a mezza parete’, sospeso fra due culture, quella di origine e quella di adozione. Ieri come oggi.
Memoria, identità, appartenenza, genius loci, incontro tra persone, culture e professionalità,
ingegno, sacrificio, coraggio, conquiste. Tutto concorre in lui a generare erafforzare il senso di comunità-appartenenza nella pluralità delle identità, di cui qui ritroviamo un distillato anche nel rapporto affettivo e significante con i luoghi. Quelli di un’Italia poco raccontata e conosciuta, quelli da dove si è partiti e in cui si sono scritte nuove pagine esistenziali, e quelli gemellati, permeati dagli orizzonti dei continui scambi tra atenei, docenti e migliaia di giovani da e verso l’Italia. Distillato che troviamo pure nella commossa partecipazione alle celebrazioni per ricordare le vittime della tragedia di Marcinelle e nel riconoscimento dell’immenso contributo del lavoro italiano nel mondo; nell’orgoglio di parabole migratorie di eccellenza come quella dell’aquilano Mario Fratti, tra i più insigni drammaturghi al mondo. Andando “alla scoperta delle meraviglie del Belpaese” ad ogni latitudine, non sfugge certamente a Goffredo lo straordinario valore e il senso profondo dei momenti di ritrovo organizzati dalle comunità italiane, e di tutte le iniziative collettive legate all’italianità ovunque diffusa: tasselli di tradizioni, lingua e cultura costitutivi di un “mondo italiano”.
Quello che condividiamo con lui, è il vasto arco tematico di chi coglie, anche per i ruoli istituzionali e di rappresentanza che ha rivestito e riveste, la criticità e la complessità delle sfide poste dalla modernità al ruolo e alle forme dell’associazionismo nel rapporto con le giovani generazioni. A lui stanno a cuore i tanti “italiani col trattino” e la loro “voglia di Italia” tutta da cogliere e valorizzare, anche grazie al ruolo fondamentale della stampa, dei media e dell’informazione di ritorno nella possibilità di avvicinare, da sempre, le ‘due Italie’: «Tra gli innumerevoli aspetti dell’emigrazione italiana che ancora sfuggono ad una conoscenza non epidermica, ma seria e consapevole, c’è la questione della comunicazione – analizza infatti Palmerini nel pezzo sul magazine statunitense “i-Italy” come nell’ampliante intervista che segue a Philip Baglini, direttore di “LondonONEradio”, la radio italiana a Londra –. Esiste, infatti, un’insospettata e vasta rete di stampa italiana all’estero, costituita da giornali, periodici, testate on line, radio e televisioni. Davvero un efficiente sistema di mezzi di comunicazione che copre gran parte del pianeta, se si considerano i continenti e i paesi raggiunti in un secolo e mezzo dall’emigrazione italiana».
Attraverso il suo assiduo impegno, in ragione della sua capacità maieutica di mettere in comunione l’Italia tutta, e del suo dare voce agli italiani a ogni latitudine, Palmerini delinea affreschi corali che ci permettono di conoscere in profondità anche quell’altra Italia «che ovunque nel mondo ama e onora la Patria», molto spesso più amata e valorizzata da chi vive una lontananza soltanto geografica. Un ‘mondo italiano’ che attende segnali concreti di pieno riconoscimento e di cui Goffredo invita a cogliere il grandissimo potenziale che relazioni intensificate tra le comunità italiane potrebbero reciprocamente offrirsi. Di più. Riempiendo inaccettabili vuoti di attenzione, colpevoli miopie e ‘dimenticanze’ troppo a lungo stratificate, Goffredo, così come chi scrive, non manca di sottolineare severamente e in ogni occasione di confronto pubblico questo vulnus. Ne ritroviamo la sollecitazione anche nella sua lettera al Capo dello Stato (trascritta in apertura di questo volume) sul tema dell’Emigrazione «[…] la cui storia di sofferenze e riscatti purtroppo ancora non entra nella Storia d’Italia: un buco nero che occorre colmare, facendo entrare la storia dell’Emigrazione italiana nei programmi delle scuole di ogni ordine e grado. Un’autentica necessità, per riportare ad Unità gli Italiani dentro i confini con gli Italiani all’estero, l’Italia dentro i confini con l’altra Italia, persino più numerosa […]».
Palmerini ci offre il suo racconto del Noi. La forza di un noi inclusivo, non contrapposto al voi, un noi che ci avvolge come abbraccio capiente e rassicurante. Che è mappa di orientamento, costruzione e orizzonte di senso nelle turbolenze dell’oggi. In un percorso che ci accompagna, e che libera i nostri sentimenti più nobili e talvolta ripiegati. Ecco perché è bello pensare che questo volume che ora sfogliamo, possa rappresentare per ciascuno di noi il soffio vitale di un baricentro ontologico. Un soffio che ci può toccare in ogni angolo del mondo in cui la vita ci ha portato, in luoghi di arrivo, transito o destinazione, nelle nostre case, in un’aula di università, nelle sedi di rappresentanza o tra le istituzioni che abbisognano di punti cardinali sui temi migratori di ieri e di oggi. Perché con Goffredo facciamo esperienza del sorprendente valore dell’azione responsabile dell’individuo, dello straordinario «potenziale degli atti dei singoli che possono cambiare enormemente le condizioni dell’umanità» – nelle riflessioni del sociologo e filosofo Bauman sul nostro tempo –, di azioni balsamiche che possono travalicare un bulimico ‘qui ed ora’ e che possono avere conseguenze straordinariamente importanti e di vasta portata.
A questa rincuorante consapevolezza dell’azione responsabile dell’individuo, si collega un ulteriore nucleo di riflessioni circa l’enorme contributo di Palmerini nella sfera etica, e che rintracciamo nel suo peculiare modo di fare comunicazione, nel suo dare al valore di questa parola tutta la profondità del suo etimo, del condividere, del mettersi – ancora una volta – al servizio di un patrimonio comune di conoscenza, del suo averne cura come sentinella civile. Da qui la costante attenzione di Palmerini a una dimensione etica del mondo globalizzato che si può misurare da come una società mediatizzata tratta il tema dell’Altro. Ed è una questione nodale di non poco conto perché soprattutto nel passaggio epocale che stiamo vivendo, alla ricerca della sintesi tra visione universalista e pluralità diffuse, il modo in cui facciamo comunicazione comporta una responsabilità sociale di vitale importanza. In Goffredo Palmerini, la modalità di scrittura e di narrazione che si nutre dell’ascolto dell’Altro diventa parametro di conoscenza del suo profondo senso di responsabilità nel suo dare voce alle vicende umane, nella sua attenzione ad approfondire e contestualizzare, nella sobrietà della sua parola.
Raccontare gesti, azioni, buone pratiche con la prospettiva della speranza, scegliere gli occhiali della ‘buona notizia’ che spesso non trova spazio nella ‘grande’ informazione, fanno da contrappunto a un’epoca segnata dall’urlo e dalla violenza verbale di un certo modo di fare giornalismo, una narrazione che dispensa violenza sociale, divisioni, muri, giudizi sommari, parole scagliate come pietre, ed è spesso vittima della potenza seduttiva del sensazionalismo e dell’allarmismo. Focolai di disinformazione alterano la percezione della realtà e, di conseguenza, la pacifica gestione delle relazioni con l’Altro. Una bolla mediatica deformante sin dai titoli, che fabbrica false ‘invasioni’, come da qualche tempo succede in determinati mass media. Relegando in questo modo in un cono d’ombra la vera realtà, quella fatta di relazioni positive e significanti. Altro merito di questo libro, il riuscito tentativo dell’autore di coprire la distanza tra mondo rappresentato e mondo reale facendoci ben capire che spesso le parole possono essere ponti o muri, possono unire o allontanare perché concorrono alla formazione di un senso comune, e quindi alla nostra percezione della realtà. E Goffredo, mettendo in luce elementi di umanità e solidarietà, segnalandoci ‘storie positive’, offrendoci spunti di riflessione che orientano sulle grandi questioni (rispetto a spinte divisive e disgregatrici), ci dona altre chiavi interpretative, annunciandoci che un sentiero e un impegno in altra direzione sono possibili, che un altro racconto è possibile. Perché abbiamo diritto a un’informazione adeguata come premessa per la costruzione di una società responsabile. Senza tuttavia ignorare che le buone notizie fatalmente, sia sulla carta stampata sia attraverso le radio, le televisioni e, soprattutto i social, vengono sacrificate alle notizie non buone, cronaca nera in testa; con l’inevitabile conseguenza di rappresentare un mondo falso, aggressivo, esagerato, troppe volte non vero, lontano dal comune sentire.
Creando reti positive, facendo informazione di qualità, l’effetto può essere a catena, e Palmerini ne è un esempio concreto, richiamando l’invito di Papa Francesco nel Messaggio per la 51ma Giornata mondiale per le comunicazioni sociali «a comunicare speranza, fiducia». Un invito che arriva dritto soprattutto a noi, spettatori di fatti non nuovi nella Storia, a noi italiani che abbiamo vissuto la diaspora migratoria tra Otto e Novecento. E conosciamo molto bene gli effetti di un alfabeto denigratorio e marginalizzante. Ecco perché soprattutto per noi risuona con un significato speciale il racconto al servizio del bene comune di Goffredo, che nel suo stile mite di giornalista di razza sa che guardare al bene, parlare bene del bene, può aprire gli occhi e smorzare un agire frettoloso, superficiale e deformante, può partecipare alla costruzione sociale della realtà, al suo sentire, e a tematizzare con sentimenti alti e costruttivi il discorso pubblico. In che modo? Attraverso un linguaggio semplice, una forma vitae da cui si vede il mondo: Goffredo, abitando il significato profondo di communio, del mettere in comune, valorizzando la rete quale strumento di connessione straordinario, nelle sue amplianti intersezioni che uniscono la dimensione globale (la sua rete di rapporti con le testate nel mondo) a quella locale (i focus che accende sul territorio), fa da sponda costruttiva al rumore e apre con stile nuovo e originale al “porto” dell’informazione.
Tiziana Grassi