Mi sia concesso celebrare la giornata internazionale della memoria, che ricorda la pagina più drammatica della storia umana nel sonno della ragione, tramite un atto di riverente omaggio a tutti quei bambini cui non è stato (e non è) consentito di crescere: ieri a Terezin, luogo di concentramento per i giovani ebrei destinati allo sterminio dalla ferocia nazista, oggi in Ucraina e nelle infinite guerre dimenticate che tormentano l’infanzia nel mondo.
Nella tragica realtà del ghetto, i bambini di Terezin, in attesa di essere trasferiti nei campi di sterminio, scrivevano poesie per cercare nelle pieghe dell’anima il coraggio di continuare a vivere con una tale dignità da essere d’esempio ai “grandi”. Nelle loro liriche,oggi patrimonio del Museo Ebraico di Praga, è presente la fuga nel sogno, la bellezza della natura, il rimpianto del passato, il senso della morte ma soprattutto la volontà di lottare nella speranza dell’avvento di un futuro di pace. Furono travolti in quella cittadella diventata fortezza, quindicimila detenuti bambini per lo più tra i 7 e i 13 anni. Nell’indifferenza di molti ci fu chi fece del loro dolore il proprio: “Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,(…) mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto” (ElieWiesel).
Ai bambini di Terezin e alla loro “fatica” ,nonostante tutto, di restare e diventare uomini e donne dedico questi versi.
Vento che soffi.
Vento che soffi violento
d’ingiuria e disprezzo
nel mio giardino segreto
ti prego,
non toccare i sogni
le speranze, le attese.
Prendi nel tuo vortice
i semi delle piante
le corolle delle rose
smuovi le catene d’edera
dal cancello e apri
le porte del cielo alla tempesta.
Strappa dallo stelo i carnosi e
scarlatti petali delle camelie
alza i mucchietti di terra
dai formicai e nascondi i
labirinti tra l’erba in delirio.
Ma ti prego,
non lasciare che la tua ira
renda cieco il cuore
mio fanciullo
oscurandolo di nubi.
Non posso morire prima
di aver conosciuto l’amore
nella dolcezza di un bacio!
Ti prego,
non è rimasto nessuno
in quel giardino:
né padre,né madre,
né fratelli.
Nessun gioco coi compagni
né scherzi lieti a rallegrar le ore.
Sull’altalena azzurra
del mandorlo in fiore
anche la farfalla non vola più.
Ha messo le ali in croce
sul filo spinato del ghetto.
Solo la mia anima cerca
la quiete di un chiaro arcobaleno
ad abbracciare in pace
tutti i bimbi del mondo
finalmente tornati felici.
Ti prego vento,
non soffiare sul mio giardino.