Spese e introiti delle stanghe colonnesi poste sul lago di Fucino

Un disegno di Raffaele Fabretti (1683)
Un disegno di Raffaele Fabretti (1683)

Ricostruendo la storia del feudo dei Colonna, è bene focalizzare la nostra attenzione su un altro corposo volume esistente nell’Archivio di Stato di L’Aquila, intitolato: «Lago di Fucine. Scritture dall’anno 1682 al 1684. Introito della Stanga. Capitoli per la pesca da farsi alla Palude nel lago del Fucino, affitto della Stanga conto dei panni e stima della pesca. Allegata la piantina della palude più Bastardelli» (1).

Nelle prime pagine di questo prezioso rendiconto si legge in un italiano stentato tra lingua volgare e linguaggio locale: «Denari depositati nel Banco di S. Spirito da Lorenzo Corsi in conto della sua amministrazione della Stanga del Lago di Fucino». Molteplici libricini definiti «Bastardelli», attaccati all’interno di un voluminoso registro della contabilità, riportano gli elenchi di tutti i pescatori al servizio del Colonna. Nome dopo nome e, con una precisione di dati espressivi, sono citati numerosi crediti di ogni singolo pescatore, la quantità del pescato, vari pesi, le spese per la manutenzione delle barche, ecc.,: in poche parole, tutto il dovuto alla pesa di una sorta «bascula» baronale. In altro «Bastardello del mese di Agosto 1683», si riporta un lungo elenco dei pescatori appartenenti alle «Stanghe» di Luco, Trasacco, Paterno e Caruscino. L’affittuario «del detto Lago» era il conte Tommaso Resta del ducato di Tagliacozzo (anni dopo la famiglia del conte si trasferirà ad Avezzano). In base alle clausole del contratto (12 maggio 1683), si legge: «[…] Nell’inventario e stima degli Stigli, arnesi, del Gran Contestabile D. Lorenzo Onofrio Colonna per uso nella pesca del Lago di Fucino, consegnati al Signor Tommaso Resta, stimati da Pietro Di Berardino, e Gio: Antonio Di Berardino di Luco, periti Eletti comunemente dall’Abate Carlo Farina, ministro del detto Eccellentissimo Contestabile d’una parte, e dal detto Signor Tommaso Resta, Conduttore del detto Lago». 

In altri capitoli specifici sulla pesca, leggiamo chiaramente che il Colonna affittò una parte di essa a forestieri, come nel caso del veneziano Giovan Battista Parmegiano di Comacchio. Oltretutto, nelle clausole dell’accordo sono riportati anche espliciti avvertimenti rivolti ai pescatori locali: «Il pesce, che si pigliarà da Gio: Battista, e suoi huomini che dovrà ritenere detto Gio: Battista a spese proprie nella chiusa fatta al Palude con l’ordegno, et altri modi, si doverà spartire per metà, una parte alla Stanga per sua Eccellenza, e altra al suddetto Gio: Battista. Che nessuno possa pescare nella Chiusa della Palude, se non sono huomini di Gio: Battista ritenuti a sue spese proprie, con proibire ancora, che nessuno vi si accosti a detto ordigno, et incannucciata, onde sarà posto un segno, pena chi trasgredirà Ducati dieci da applicarsi 1/3 alla Stanga, 1/3 a Gio: Battista et 1/3 alla Corte secondo li Bandi […] Che sia data casa in Luco a Gio: Battista per tre anni in più». Inoltre, il feudatario raccomandava a tutti i pescatori di Luco di offrire: «i suoi soliti regali, farsi dare un poco di pesce ai pescatori, quando si pesa per regalo solito consueto, senza alcuna alterazione nella quantità». Il soprintendente Lorenzo Corsi anticipò, come da ordini del Colonna, tutto il materiale per costruire una chiusa fatta di rami e sterpi chiamati (ordigno), ricevendo in seguito anche il delicato compito di trattare cortesemente i pescatori veneziani. La somma totale ricavata dalle stanghe colonnesi per il diritto dello «jus piscandi», ammontava a ducati 4126, tarì 66 e grana 3 ogni anno, meno le spese che assommavano a ducati 306, tarì 78 e grana 1. Il ricavato netto annuale ascendeva a 3.500 ducati. Infine, una nota conclusiva intitolata: «Spese per far le strade in tempo di neve, acciò potessero camminare li Pesciaroli fino alla Terra di Rocca di Cerro», riporta con esattezza un sunto delle uscite pari a ducati 305, tarì 90 e grana 8, per un ricavato pulito delle vendite del pesce venduto a Roma di 579 ducati e tarì 9 (2).

Tuttavia, siamo in grado di conoscere altre importanti testimonianze sui metodi di pesca adottati dai pescatori del Colonna, da quelli dell’abazia di S.Maria della Vittoria di Scurcola Marsicana e dei conti di Celano, criteri ben evidenti nelle memorie processuali dell’avvocato Pietro Cambise, che riportò accuratamente elencati tutti i sistemi di pesca praticati sul lago. Occorre ancora notare che altre preziose notizie si possono ricavare nelle testimonianze di tipo fiscale e giudiziario esistenti nell’Archivio Barberini, nei processi civili della Regia Camera della Sommaria e nei rendiconti annuali al re di Napoli degli intendenti borbonici (3).

NOTE

  1. A.S.Aq., Inventario Archivio Colonna. Ducato di Tagliacozzo (da 1 a 40-dal 1625 al 1863), vol.9, 1628-1684. Il «bastardello» conteneva in genere le registrazioni di: bollette, ricevute e computi di spese.
  2. Nel fascicolo si trova una piantina dell’«ordigno», disegnata rozzamente su un foglio a parte. Somiglia a un grande recinto rettangolare costruito sull’acqua con tanto di pali d’ancoraggio e canne, alternati da barche. Tra i rami e gli sterpi galleggianti s’intravede una chiusa, rivolta in direzione di Luco, manovrata a discrezione dai pescatori quando il pesce entrava e restando intrappolato.
  3. A partire da Corsignani, Febonio, Botti, Lopez, Celani, Raimondo, Piccioni e altri autori, la tesi di laurea di Roberto Pasqualoni (1972-73), rimane ancora oggi una ricerca esaustiva valida per orientarsi nel vasto panorama di studi sull’argomento.

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