Raffaele Paolucci all’inaugurazione della Stazione di Avezzano: «Oggi è la patria nuova che cammina»

Siamo in grado di riportare, attraverso la consultazione del giornale Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise (12 aprile 1923), la cronaca dell’inaugurazione della stazione di Avezzano, momento in cui: «il corradinismo aveva esternato un’ultima vampata di orgoglio l’undici aprile, nella cerimonia di apertura della nuova stazione ferroviaria del capoluogo marsicano, ultimata con l’esborso di duemilioni di lire» (1).

Preziosissime sono le informazioni che ci offre il cronista: «L’aspetto della città era insolito, sin dall’alba erano incominciate a giungere le rappresentanze di tutti i paesi della Marsica, accorse anche perché era certo l’arrivo di S.E. Benito Mussolini». Il capo del governo si limitò, invece, a dare solo la sua adesione, senza poter partecipare per i numerosi impegni politici. Effettivamente: «con nobili telegrammi avevano aderito S.E. Mussolini, S.E. Acerbo e gli altri membri del governo» (2). Tuttavia, intervennero alla manifestazione circa trentamila persone: «giunte con i diversi treni speciali, gentilmente accolti ed ospitati da Avezzano, che non smentisce le antiche tradizioni di cordialità. Vivissima l’attesa del treno che doveva portare i vari Ministri da Roma». Alle dieci giunse l’onorevole Gabriello Carnazza (ministro dei Lavori Pubblici), Carlo Bonardi (sottosegretario alla Guerra), Alessandro Sardi (sottosegretario ai Lavori Pubblici), Edoardo Torre (alto commissario delle ferrovie), Pietro Lissia (sottosegretario alle Finanze) e gli onorevoli Raffaele Paolucci, Camillo Corradini, Mario Orso Corbino, Achille Starace (generale della milizia nazionale). Inoltre, era presente, il direttore generale delle ferrovie Alzona e il commissario Edoardo Torre. 

Il telegramma di Mussolini fu indirizzato direttamente all’onorevole Sardi con queste parole: «On.Sardi, Avezzano – Cure Governo mi impediscono di intervenire solennità cui Avezzano celebra sua rinascita dopo il colpo del destino che su di lei si abbatté alla vigilia dell’epoca della nuova Italia. Il forte centro marsicano allora non solo, non limitò il suo contributo di entusiasmo e di sangue alla grande causa, ma dalla sua incomparabile sventura seppe trarre il motivo per un maggior fervore di fede e di opere. Alla città del Fucino destinata centro di nuove prosperità nella Patria grande, a tutto il generoso popolo d’Abruzzo invio il mio cordiale saluto. – Firmato Mussolini» (3). 

Tutte le autorità della provincia accolsero gli illustri ospiti nei pressi della stazione di Avezzano; poi, in automobile, il lungo corteo partì da Piazza Castello: «attraversando le vie principali della città, tra due fitte ali di popolo plaudente ed acclamante ai membri del Governo, si recò alla Casa Comunale dove il Sindaco cav.uff. Nardelli fatto segno ad acclamazioni da parte della folla convenuta da tutti i paesi della Marsica, ha portato dal balcone il saluto ai membri del Governo e agli altri convenuti. Ha avuto quindi luogo un sontuoso ricevimento, al quale era presente anche il Vescovo dei Marsi Mons.Pio Bagnoli». Il codazzo raggiunse di nuovo la stazione fra gli applausi della folla, mentre «le musiche della banda intonavano Giovinezza e gli altri inni patriottici». Dopo la cerimonia d’inaugurazione, presero la parola il vescovo Pio Bagnoli, Luigi De Simone e Gabriello Carnazza, mentre una parte della popolazione, incitata dall’assessore comunale Giovanni Fontana, lanciò una lunga serie di evviva all’indirizzo di Camillo Corradini che era salito sul palco accanto a Lissia, Carnazza e al sottoprefetto De Feo. A dispetto dei capi fascisti marsicani, in polemica aperta con la vecchia classe dirigente liberaldemocratica, il parlamentare avezzanese era ancora molto stimato in zona e tutti sapevano che i lavori erano stati progettati e approvati quando egli era ancora sottosegretario di Stato agli Interni (governo Giolitti). In ogni caso, gli squadristi del posto, che lo consideravano un «democratico massone», scatenarono in seguito una lunga serie di rappresaglie contro i suoi accoliti.

  

In ogni modo, i membri del governo e tutte le autorità provinciali parteciparono poi a un pranzo nell’ampio salone del «Campo di Concentramento» dei prigionieri: Corradini, di proposito, fu escluso dal banchetto dagli squadristi. Al momento del brindisi parlò per primo l’onorevole Torre che, dopo aver salutato la Marsica «così duramente provata dalla sventura», esaltò il futuro del fascismo intorno al quale si stringevano fiduciosi tutti i lavoratori. Poi, acclamato dai commensali, cominciò a parlate Alessandro Sardi: «Ringrazio il ministro Carnazza e gli altri amici tutti che sono voluti venire qua a presenziare questa cerimonia che è di ricordi e di proponimento, a questa cerimonia che è di dolore e di orgoglio, a questa cerimonia che è di passione e di pena». Tra l’altro, ribadì che all’indomani della tragedia, il popolo marsicano aveva combattuto coraggiosamente nei campi di battaglia del Carso e del Piave: «Marciò ancora una volta per quella strada che i Marsi già conobbero: andava verso Roma, a far nuova offerta della sua fede e della sua passione». Il vibrante discorso del giovane sottosegretario ai lavori pubblici (non privo della solita enfasi fascista), fu salutato da un interminabile scroscio di applausi, tanto è vero che il ministro e gli altri membri del governo si alzarono per congratularsi con lui. 

Con insistenza dei convitati, quindi, parlò l’onorevole Raffaele Paolucci, alto commissario del fascismo. Queste furono le sue parole riportate in un’autobiografia pubblicata dallo studioso Di Tizio: «Sapevo ormai che aprire la bocca poteva significare per me dire, senza accorgermene, cose non sempre ritenute ortodosse dal fascismo ufficiale. Ma furono tali e tante le pressioni e le acclamazioni che alla fine mi alzai, e tra l’altro inviai un pensiero e un saluto riconoscente a Camillo Corradini (non presente perché forse non invitato al banchetto) come ricostruttore della Marsica. Dalle acclamazioni interminabili e frenetiche delle molte centinaia di commensali, compresi che l’avevo fatta grossa. Ma, vivaddio, non era stato Camillo Corradini il capo della lista di concentrazione cui avevano con me partecipato anche Acerbo e Sardi? Non avevamo per lui goduto dell’appoggio del Governo nella nostra elezione? E non era Camillo Corradini un galantuomo? Che m’importava se era giolittiano? Giolitti mi aveva chiamato alla politica ed era stato il democratico Presidente De Nicola a dirmi, prima dell’avvento del fascismo, che io avrei dovuto essere il prossimo vice-presidente della Camera» (4). 

Tale comportamento del commissario Paolucci, fece infuriare i gerarchi fascisti marsicani presenti al banchetto. Infatti, qualche giorno dopo: «Furibondi si recarono a Roma coloro che credevano di essere i detentori delle supreme verità e delle sacre ortodossie» (5). Tuttavia, dopo il suo discorso concluso con le parole: «Oggi è la Patria nuova che cammina», una folla entusiasta si strinse intorno all’eroe di Pola. I membri del Circolo dell’Unione accolsero infine tutte le rappresentanze governative che, alle quindici e trenta, ripartirono alla volta di Roma «salutati da tutte le autorità e da un’immensa folla di popolo plaudente» (6). Com’era previsto, qualche giorno dopo si scatenò in tutta la Marsica, la violenza degli squadristi a caccia dei simpatizzanti dell’onorevole Camillo Corradini. Minacce, aggressioni e sparatorie coinvolsero ancora una volta l’avvocato Pietrantonio Palladini; mentre, l’assessore Fontana, il segretario comunale Colaneri e altri consiglieri di Avezzano subiranno le angherie del console Enrico Panfili e Vico Della Bitta; addirittura, Alessio Sebastiani (seppur iscritto al fascio), eviterà miracolosamente un colpo di pistola esploso dalle camice nere. Occorre porre l’accento, ancora una volta, sull’indignazione espressa dal sindaco Nardelli contro questi atti di violenza, denunciati al prefetto dell’Aquila (14 aprile 1923). Un suo telegramma comunicò al capo della provincia, la preoccupante situazione causata da pochi estremisti rispetto all’intera popolazione. In questa fase, appare impossibile sanare l’indisciplina e la violenza delle camice nere: si trattava di atteggiamenti estremi che dimostravano esaltazioni politiche, esternate dai maggiori capi provinciali (7).


NOTE

  1. G.Jetti, Camillo Corradini nella storia politica dei suoi tempi, Arti Grafiche Pellecchia, Atripalda (AV), settembre 2004, p. 176.
  2. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno V – Num.308 – Roma, 12 Aprile 1923, p.2.
  3. Ibidem.
  4. F.Di Tizio, Raffaele Paolucci, Marino Solfanelli Editore, Chieti 1992, p.126.
  5. Ibidem.
  6. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno V – Num.308 – Roma, 12 Aprile 1923, p.2.
  7. P.Pietrantonio, Cento metri di catene, Cartografital, Penne 1977, p.16; cfr., R.Colapietra, Fucino Ieri, 1878-1951, Ente Fucino, Stabilimento roto-litografico «Abruzzo-Press», L’Aquila, ottobre 1998, p.140.

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