Avezzano – La recensione del libro di Cormac McCarthy, LA STRADA, un romanzo da leggere davanti al crepitio di un camino acceso, in quest’epoca di pandemia che costringe tutti ad isolarsi. La Strada è un viaggio interiore che porta al cuore della forza inespressa che ognuno ha dentro sé, senza saperlo.
Una strada conduce sempre in qualche posto ma la strada è anche un mondo a sé, una dimensione dello spazio in cui le certezze vacillano e dove tutto diventa precario. La strada è un “durante” che incatena il tempo a un eterno presente. Un “qui e ora” senza soluzione di continuità sospeso tra passato e futuro.
Attimi, come tante tessere di un domino, pronte a cadere una sull’altra al minimo alito di vento, rassegnate a un destino che non lascia spazio al sogno. Nell’opera di McCarthy il senso della fine del tempo trae ulteriore forza da un mondo al crepuscolo.
La Terra devastata, in cui i sopravvissuti vagano verso qualche direzione alla ricerca di cibo, perché anche in un mondo senza tempo e senza futuro l’istinto animale obbliga l’uomo a sopravvivere. Un romanzo distopico che narra di un padre e di un bambino, suo figlio, che percorrono chilometri e chilometri di strade deserte, attraverso lande desolate e città abbandonate, diretti verso il mare e forse verso una speranza.
Loro sono i buoni, portano il fuoco. Ogni riga del romanzo gronda di una specie di disperazione antica. L’uomo, spinto dall’esigenza di proteggere il figlio dai predoni nascosti tra le rovine delle città arse, non cede allo sconforto, ma in cuor suo sa che il mondo non tornerà mai più quello di prima.
Forse per questo, non risparmia nulla di quella tetra realtà al bambino. La lotta per la sopravvivenza non lascia spazio alle mediazioni in un mondo tornato ad una sorta di preistorica era postmoderna. Il grigiore e una pioggia quasi costante pervadono tutto. I colori del giorno sono pallidi e le notti lunghe e fredde, ma loro portano il fuoco.
A tratti sembra di leggervi dentro l’allegoria di questa nostra società digitale sempre più ripiegata su se stessa e sempre meno disponibile a condividere le emozioni. In un certo senso, i predatori descritti da McCarthy, somigliano molto ai predatori nascosti fra le pieghe dei social, pronti a sbranare i propri simili per lenire il dolore profondo di paure lontane nel tempo.
Che il mondo sia avviato verso un nuovo medioevo? Vedremo, intanto vale la pena leggerlo.