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L’accensione delle “Cuttore” dà il via alla festa di Sant’Antonio Abate

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Collelongo.  Si inizia giovedì 16 alle ore 16:00 con l’accensione delle “Cuttore” scandita dalla tradizionale orazione al Santo. Da questo momento e per tutta la notte in queste “Cuttore” si accolgono ed ospitano i pellegrini e le bande di suonatori che gireranno per il paese intonando i versi della classica canzone e ricevendo come forma di ringraziamento per la visita cibo e bevande. Con l’arrivo del buio, alle 19:00, è il momento dell’accensione dei “Torcioni”, grandi torce che illuminaranno e scalderanno i pellegrini per l’intera nottata.

Alle 21:00 dalla Chiesa Parrocchiale partirà la processione, aperta dalle tradizionali “tocette” portate dai bambini, per la benedizione delle “Cuttore”. Al rientro di questa la nottata sarà scandita delle bande e dalla canzone di S. Antonio Abate fino alle 5:30 quando in Piazza della Chiesa verranno distribuiti i “cicerocchi” (gran turco bollito nelle “Cuttore” e distribuito sin dalla sera del 16). Alle 06:00 è tempo della sfilata e della premiazione delle “conche rescagnate”, conche di rame addobbate portate dalle giovani del posto vestite con abiti tradizionali. A conclusione seguirà la Santa Messa. Ultimo appuntamento è alle ore 14:30 in Piazza Ara dei Santi dove ci sarà la benedizione degli animali e dei mezzi agricoli ed a seguire i giochi popolari.

Le prime attestazioni storiche relative al culto di Sant’Antonio Abate a Collelongo risalgono allo scorcio del 1600, periodo in cui verosimilmente venne eretto l’Altare dedicato al Santo nella chiesa di Santa Maria Nuova.

A partire dalla prima metà del XVII secolo iniziarono a comparire le registrazioni dei nati, dei morti e dei matrimoni dell’arcipretura di Santa Maria Nuova, Chiesa Parrocchiale del paese. Nel Liber Mortuorum, si fa esplicita menzione della prassi di seppellire nelle pile cimiteriali poste al di sotto del piano pavimentale della Chiesa. In un documento del 1640, l’arciprete si registrava una sepoltura sotto il pilastro di Sant’Antonio. Con molta probabilità il pilastro menzionato è relativo all’altare su cui è eretta la statua lapidea del Santo.

Sul piedistallo di questa si conserva ancora oggi l’incisione di un restauro avvenuto in occasione della visita del Vescovo Corradini nel 1692. 

La festa si svolge nelle CUTTORE. Il termine “cuttora” deriva dalla grossa pentola dove si mette a cuocere il granturco che, dopo sei/sette ore di bollitura diventa “i ceceròcche” (dal latino cicer crocus, cece rosso), identifica il focolare che, al rintocco delle campane dei vespri del giorno 16, con la recita delle litanie, classica orazione di carattere apotropaico volta ad ingraziarsi la benevolenza del Santo, viene acceso con legna di ginepro.

Ma la “cuttora” è più in generale il locale dove si svolge la festa per l’intera notte, si ospitano i pellegrini e le bande di suonatori che girano tutta la notte intonando i versi della classica canzone. La “cuttora” viene allestita all’interno di abitazioni private ubicate in diverse contrade del paese.

Alcune di queste sono residenze storiche delle famiglie più altolocate altre sono abitazioni caratteristiche del paese ricavate dal banco roccioso, molte sono invece modeste abitazioni che vengono riqualificate e spesso restaurate  per l’occasione.

La “cuttora” era prerogativa, un tempo, del patriarca di una famiglia che invitava a parteciparvi i parenti più prossimi, i quali contribuivano con “coppe” di granturco, vino, farina o salsicce. La festa dentro la “cuttora” proseguiva per tutta la notte ed era anche il momento in cui venivano pianificate la semina e le altre attività agresti della famiglia. Alla presenza del Santo erano vietate liti e, pertanto, il momento era propizio per arrivare ad accordi. Nella “cuttora” erano ben accetti i viandanti o i pellegrini ai quali veniva offerto ciò che la “cuttora” aveva, ovvero la “panetta”, qualche ciambella, un bicchiere di vino e, soprattutto i “cicerocche” conditi grossolanamente con un pò di lardo (chi se lo poteva permettere). I “cicerocche” la mattina venivano poi offerti fuori la chiesa come cibo sacrale per gli animali.

Nel giorno della sua festa liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici; S. Antonio venne rappresentato in varie opere d’arte con ai piedi un cinghiale o un maialino. 

Per millenni e ancora oggi, si usa nei paesi accendere il giorno 17 gennaio, “torcioni”, “farchie”, “focarazzi”, “ceppi” o “falò di S. Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera.

Il “torcione”, caratteristica unica di Collelongo, una volta era ricavato da un unico esemplare di quercia che abili maestri d’ascia provvedevano a lavorare fino a dargli la caratteristica forma. Questo successivamente veniva “inzeppato” con “stangoni” ed altra legna ed infine issato nelle piazze principali del paese. Particolarmente suggestivo era “I favòre”, falò che i pastori accendevano in località S. Antonio. Da questo punto è possibile vedere sia il paese che gli stazzi di Amplero e la tradizione vuole che al più vecchio ed al più giovane tra i pastori, che tornavano dagli stazzi a far festa, fosse dato l’onore di accendere il “favòre”.

Menzione meritano le “torcette”, le particolari torce che i bambini di Collelongo utilizzano nella processione del 16 sera. A differenza delle normali torce che si usano altrove quelle di Collelongo sono realizzate “torcendo” ovvero avvolgendo su se stesso (da qui il nome) un virgulto di roverella, cerro o carpine. Questa operazione sfibra il legno permettendo alle abili mani del torcettaro di ricavarne un prodotto unico per la gioia dei tanti bambini, i nuovi devoti alla festa di Sant’Antonio Abate.

 

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