La Marsica sotto la morsa fascista dopo il delitto Matteotti (giugno-dicembre 1924)

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NECROLOGI MARSICA

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Una squadra punitiva in azione nel territorio marsicano, al comando di Panfili e Resta

Con l’aiuto di rilievi zonali di carattere cronachistico, si può delineare un quadro d’insieme, considerando, come ben specifica lo storico De Felice che: «Il fascismo era diventato una sorgente di continuo turbamento della situazione interna, che rendeva precaria anche quella economica e che annullava gran parte dei benefici che in un primo tempo esso aveva prodotto: le forze economiche, specie quelle industriali e finanziarie, se ne sarebbero volentieri liberate; ma non certo per esporsi al rischio di trovarsi poi a dover fare i conti con un governo rosso. Meglio, allora, puntare ancora sulla carta Mussolini, su una vera normalizzazione fascista» (1). 

Di fatto, però, una situazione di estrema tensione come quella determinata dopo il delitto Matteotti (rapito e ucciso da una banda di sicari fascisti il 10 giugno 1924), non poteva essere accettata da un paese iperteso da anni, assillato da problemi quotidiani (vedi la lenta ricostruzione nella Marsica e i contrasti nel Fucino), impaurito dalle violenze e reso incredulo da una lunga serie di promesse non ancora realizzate. In quei frangenti, con acuto realismo, l’onorevole Camillo Corradini, auspicando una prossima caduta del regime, aveva scritto a Giolitti: «nelle masse questa caduta era voluta in modo opaco; a parte alcune minoranze consapevoli, lo spirito pubblico non era ravvivato da nessuna di quelle passioni che conferiscono nobiltà alle agitazioni, ma, piuttosto, il popolo era oppresso da un incubo che opprime e paralizza ogni sentimento che aspira alla liberazione come in un cattivo sogno» (2), in quanto le popolazioni marsicane «tendevano a ricadere in uno stato di fatalistico quietismo», dovuto alle necessità impellenti della vita quotidiana; oltretutto, le preoccupazioni per la grave congiuntura economica, prendevano spesso il sopravvento (3). 

Questo insieme di problematiche (locali e nazionali), fecero comodo ancora una volta agli squadristi di Enrico Panfili, capitanati dal conte Filippo Resta, Pasquale Santilli ed Evaristo Marinucci che, in un clima di incertezze, erano di nuovo pronti ad attuare rappresaglie per castigare tutti gli oppositori. Presto, sotto la morsa fascista, cadranno alcuni socialisti marsicani: l’episodio più grave fu quello avvenuto a Trasacco quando, durante la festa patronale di San Cesidio, il sindaco Tito Favoriti, Guido Marcellitti e il maresciallo dei carabinieri, tentarono di sedare un pericoloso tumulto aizzato dai socialisti pronti ad impedire che la banda suonasse l’inno «Giovinezza». Nel bel mezzo della zuffa, Carmine Cambise, al comando di un gruppo di rivoltosi armati di forconi e bastoni, respinse i fascisti e poi fuggì per difendere la sua abitazione, minacciata d’incendio da Filippo Resta. Nello scontro, i carabinieri tentarono di disarmare gli squadristi che, imbestialiti, cominciarono a sparare all’impazzata uccidendo Vincenzo Cardarelli e Giovanni D’Andrea, mentre Domenico Colella rimase a terra ferito gravemente. Seppur furono operati alcuni arresti, l’inchiesta, in seguito affidata a Luigi De Simone, risultò inefficace. Anche l’intervento di un ispettore del ministero si risolse con un nulla di fatto con un processo farsa svoltosi nel dicembre 1924, che assolse tutti gli imputati (4).

Altri violenti avvenimenti che si erano verificati sul piano politico-nazionale, furono puntualmente registrati dal giornale «L’Epoca», stampato a Roma il giorno 6 settembre 1924. Oltre alla «Ricostruzione della scena del rapimento dell’on. Matteotti», avvenuta nella zona di «Lungotevere Arnaldo da Brescia» e all’aggressione dell’onorevole Amendola, la cronaca «Dagli Abruzzi», riportò nuove insofferenze fasciste manifestate ai danni di una «Riunione di Combattenti ad Avezzano». In realtà, queste sezioni di ex reduci della «Prima Guerra Mondiale» erano destinate a scomparire definitivamente, per essere sostituite dalle prorompenti sezioni del fascio. Nell’articolo si legge: «Avezzano, 5 Settembre. In seguito allo scioglimento della Sezione dei Combattenti di Avezzano e alla denunzia del delegato Marsicano alla Federazione Provinciale Rag. Tarquini Francesco da parte della Federazione stessa per iniziativa del delegato provinciale On. Oreste Cimoroni, si sono riuniti in Avezzano i rappresentanti di 27 Comuni della Marsica. Dopo ampia discussione sull’operato del Cimoroni è stato votato alla quasi unanimità (due soli rappresentanti contrari) il seguente ordine del giorno: i rappresentanti dei combattenti della Marsica riuniti in Avezzano, protestano contro l’operato del delegato provinciale, On. Oreste Cimoroni, il quale sciogliendo la Sezione di Avezzano ha tentato di coartare i sentimenti, liberamente espressi, dei combattenti marsicani; si rendono solidali con la Sezione stessa che da sola ha subito la rappresaglia di detto delegato e fanno voti affinché il Comitato centrale dell’Associazione Nazionale Combattenti riveda il deliberato della Federazione provinciale Aquilana, riconoscendo cosa a tutti i combattenti, anche ai non tesserati per l’incuria dei dirigenti all’uopo pagati, il diritto di esprimere la propria opinione e nei Congressi e sui problemi nazionali che riflettono gli interessi generali di quell’Italia per cui tutti hanno combattuto e sofferto». 

Anche la legittima protesta delle ultime frange socialiste e comuniste marsicane durò poco. Di fatto, come ben precisò l’anno dopo Ugo D’Andrea sullo stesso giornale romano (emulando un telegramma del primo giornalista d’Italia, onorevole Benito Mussolini, scritto a Milano durante il congresso del sindacato nazionale della stampa (La penna prepara la spada), tutto questo era necessario perché bisognava guardarsi: «dalla riabilitazione del folklorismo pittoresco e paesano, in odio alle importazioni degli istituti forestieri. Appunto perché il fascismo è l’unico erede del passato e costituisce da solo un momento della nostra vita politica e della nostra storia, esso deve porsi tutti i problemi, ancorchè ne affidi la soluzione ad ardite minoranze, come problemi di maggior numero, per la vita e la potenza della nazione italiana» (6). 

Da questa visione di fatti locali si inserisce la grave scomparsa di Giacomo Matteotti, all’indomani del suo discorso alla camera, che destò subito vivissime preoccupazioni dei gruppi d’opposizione (in seguito la vedova fu ospitata in casa dell’avvocato Pietrantonio Palladini). D’altronde, secondo gli insegnamenti tipicamente fascisti del tempo, chi non si piegava doveva essere costretto a farlo con la violenza.

Il 10 giugno 1924, quindi: «Matteotti veniva rapito e ucciso da una banda di sicari fascisti. In pochissimi giorni tutta la situazione politica italiana mutò radicalmente» (6). 

In questa inquietante prospettiva, l’avvocato Palladini scrisse nelle sue memorie: «È l’anno della uccisione di Giacomo Matteotti che seguì di poco a quella di don Minzoni e preparò i massacri di Pilati, Gobetti, Amendola, Consolo e di tanti altri eminenti esponenti della democrazia in Italia e di tanti altri operai e contadini. Eppure mentre la paura spingeva i più a rintanarsi ed accettare vergognosi compromessi al livello della viltà e del tradimento, resistevano ancora generosi combattenti della causa della libertà» (7). 

Tuttavia, dopo l’uccisione di Matteotti, in un ambiente di forti intimidazioni che trovò piena adesione in campo nazionale, alle prime avvisaglie di proteste nella Marsica, si soffocarono i tumulti fino alla fine del 1924 nei confronti di socialisti e comunisti che reagivano coraggiosamente cantando «Bandiera Rossa» per le strade dei paesi, tappezzando i muri dei municipi con manifesti inneggianti a Lenin. Insomma, per tutto il periodo descritto, non si contarono più gli scontri armati nella zona, sovrastati dalle squadracce fasciste. Le sedi più infuocate del territorio, registrate negli atti della Pubblica Sicurezza, risultarono: Celano, Luco dei Marsi, Aielli, Opi e Trasacco dove, l’avvocato Cesidio De Vincentiis si mise a capo dei sovversivi. Tuttavia, alla vigilia del processo Matteotti, che si svolse come una «farsa» a Chieti, nascerà il giornale L’Abruzzo Socialista, sostenuto da una sottoscrizione anonima e diretto dal fiduciario provinciale del partito Tullio Cataldi. 

D’altra parte, molti furono i personaggi coinvolti nello squadrismo terrorista attivato durante queste faide zonali, tra essi spiccavano i nomi di: Panfili, Resta, il prefetto dell’Aquila (Federico Chatelain) e il comandante la compagnia dei carabinieri di Avezzano (Francesco Mattu); anche se, alla fine, come abbiamo già detto, gli imputati degli episodi più gravi furono assolti dai magistrati ormai asserviti al potere (8).

 

NOTE

  1. R.De Felice, Mussolini il fascista. I. La conquista del potere, 1921-1925, Giulio Einaudi editore, Torino 2019, pp.639-640.
  2. G.De Rosa, Venti anni di politica nelle carte di Camillo Corradini, in appendice, a ID., Giolitti e il fascismo in alcune sue lettere inedite, Dalle carte di Giovanni Giolitti, in «Politica e Storia», Roma 1957, cit. III, p.418.
  3. R.De Felice, cit.,p.641.
  4. R.Colapietra, Fucino ieri, 1878-1951, Ente Fucino, Stabilimento roto-litografico «Abruzzo-Press», L’Aquila, ottobre 1998, pp.148-150. Lo storico aquilano, esaminando le carte del Ministero degli Interni (serie della Pubblica Sicurezza) e quelle della Prefettura, riesce a prospettare un quadro d’insieme delle violenze commesse nella Marsica.
  5. L’Epoca, Anno Ottavo – Num.213 – 6 Settembre 1924, Dagli Abruzzi, Riunione di Combattenti ad Avezzano, p.4; Id., Anno IX – Num.142 – Martedi 16 Giugno 1925, Roma, Il problema delle riforme, Mussolini per la Stampa Fascista.
  6. R.De Felice, cit.,p. 618.
  7. P.Palladini, Cento metri di catene, Cartografital, Penne 1977, p.68.
  8. Innumerevoli gli episodi tratti dal carteggio depositato nell’Archivio Centrale dello Stato, Ministero degli Interni, Gabinetto, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, serie 1914-1926, bb.71-87-88. Federico Chatelain fu prefetto di L’Aquila dal luglio 1923 all’ottobre 1925.
  9. Il libro più completo sul delitto Matteotti, che mette a disposizione degli specialisti e degli appassionati di storia uno studio di eccezionale ampiezza e documentazione è quello di: M.Canali, Il delitto Matteotti, Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Editore il Mulino, Bologna 1977.

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