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La chiesa di Santa Vittoria in Carsoli: dal culto agli ampliamenti nei secoli

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Carsoli – Il culto di S. Vittoria martire è raro in Abruzzo, presente a Carsoli (AQ) che ricade nel territorio marsicano in cui tale venerazione è assente. S. Vittoria (1) è una martire del III secolo d. (Roma, 230 circa – Trebula Mutuesca, 18 dicembre 253), Trebula Mutuesca è l’attuale Monteleone Sabino (RI). La prima fonte documentale sulla chiesa per Carsoli (Celle in antico nome) è nella bolla papale di Pasquale II (25 febbraio 1114) come riconferma del bene al vescovo dei marsi Berardo (2), la ritroviamo anche nel 1189 menzionata nella bolla di papa Clemente III. Come arrivò il culto a Carsoli di questa santa martire?  

La traccia più remota nella marsica è relativa alla Selva di S. Vittoria, attuale S. Vittoria di Casal d’Aschi presso Gioia dei Marsi, che prendeva il nome da una chiesa nel territorio, il documento è del 1007. La citazione proviene da un placito tenuto nella casa casauriense di S. Clemente in Calluco (ad est del paese marsicano Ortucchio) per il possesso della selva e dei benefici della stessa località da parte del monastero benedettino di Montecassino, in passato posseduti da monastero benedettino di S. Angelo in Bareggio, presso Villetta Barrea (AQ). Nel placet erano presenti il conte dei Marsi Oderisio I, il vicecomes Berardo, futuro conte de Marsi Berardo II e l’abate cassinese Teobaldo (3). La presenza di conti nel placito permette di avanzare la tesi sul culto devozionale nella casata che fu feudataria anche del carseolano dal X agli inizi del XII secolo, con la verosimile costruzione del un tempio sacro a Carsoli. Il motivo della costruzione potrebbe essere lo scioglimento di un voto fatto prima di una battaglia vittoriosa sui saraceni svoltasi presso Colli di Montebove nell’XI secolo.

Di questo scontro, parla lo storico Degli Abbati, riprendendo il Corsignani (Reggia Marsicana, edita nel 1738). Il conte dei marsi artefice della vittoria fu Rinaldo (4). Del resto molte altre chiese di Carsoli erano nel patrocinio della casata quali: S. Maria in Cellis o S. Vincenzo donate successivamente ai monasteri di Farfa e Montecassino, a differenza della chiesa in esame che non risulta elencata nei benefici monastici. Il patrocinio comitale è rafforzato dall’assenza dell’edificio nelle fonti del monastero di Farfa che, per vicinanza al sacello della martire, fu il propulsore del culto, e deteneva vari possedimenti nel Carseolano. Tutto ciò premesso, la tradizione locale indica in Carlo I D’Angiò l’autore della costruzione, che può intendersi come un intervento del sovrano angioino nell’ ampliamento dell’edificio dopo la vittoria il 23 agosto 1268 su Corradino di Svevia presso Scurcola Marsicana (5), da qui la commemorazione locale al 23 agosto della santa vocata a patrona del paese. Giova ricordare che Santa Vittoria venne martirizzata il 18 dicembre del 253 d.C. presso Monteleone Sabino (RI), e celebrata il giorno 23 dello stesso mese (6). Sino al XIV secolo, nonostante gli ampliamenti di Carlo I D’Angiò dopo il 1268, la chiesa appare di modeste dimensioni rispetto alla sua attuale dimensione.

L’informazione sulla sua modesta struttura la deduciamo dal rationem decimarum del 1324 (7), dove si evince una tassazione alla diocesi dei marsi in egual misura a quella di altre piccole chiese rurali del territorio, la bassa rendita era in parte dovuta alla mancanza di un abitato intorno al tempio, distante qualche chilometro dal borgo che era arroccato intorno al castello. La esigenza di ampliamento del tempio sacro nasce da un evento che modifica l’assetto del paese chiamato in passato Celle. Il 4 dicembre 1456 un violento sisma colpisce il borgo di Celle le cronache del tempo riportano Celle tutta caduta eccetto 11 case (8). Il sisma, poi ridimensionato dagli storici, provocò comunque una discesa a valle degli abitanti intorno alla chiesa di S. Vittoria da qui l’esigenza di un suo ampliamento.

Dallo Zazza apprendiamo che almeno sino a metà del 1500 la chiesa era a croce greca, più larga che lunga ed eretta a parrocchiale del paese aggregandovi i benefici dell’antica chiesa parrocchiale del borgo antico S. Angelo tra l’altro in stato rovinoso (9). Colui che permise l’aggregazione e l’ampliamento del tempio fu il principe Marcantonio Colonna, unendo altri benefici di jus patronato del principe. Il documento attestante di quanto asserito viene citato dallo Zazza a fine 800 con la data Palermo XIX maggio 1580, questo determinò lo sviluppo definitivo della chiesa sino al suo completamento a tre navate, con lavori iniziati per volere del principe Colonna sul finire del 1500. I lavori subirono vari rallentamenti a seguito di pestilenze che colpirono l’intero territorio, tra cui quella del 1656 la cui virulenza ridusse il borgo da 1620 a 300 anime, con logica ricaduta anche sulle maestranze del cantiere (10).

Quando vennero terminati i lavori? Lo storico marsicano Muzio Febonio Muzio Febonio (1597†1663), nell’opera terminata intorno al 1662, Historia Marsorum, fornisce un dato fondamentale: “la chiesa parrocchiale eretta nella piazza principale e dedicata alla santa Vergine Vittoria, non è tanto ampia ma di moderna struttura, da due anni è stata restaurata” (11). L’Historia Marsorum è una composizione in tre libri iniziata nel 1630, ripresa nel 1652 e ultimata nel 1662, ma non pubblicata. Solo anni dopo la morte dello storico, il fratello Asdrubale affidò gli appunti al vescovo dei marsi Diego Petra che li riordinò per la stampa nel 1678, non senza fraintendimenti e sviste, accogliendo anche materiale scartato dall’autore. Quando il Febonio informa che il restauro è avvenuto da due anni, allude a due anni dalla fine del III volume dell’Historia nel 1662, quindi al 1660. Molti storici, forviati dall’anno di pubblicazione dell’opera, hanno trascritto che la chiesa venne ultimata a ridosso della pubblicazione del libro nel 1678, tra cui, nel 1738, anche Pietro Antonio Corsignani, preso poi a riferimento negli anni a venire da molti studiosi. Il completamento è con tre navate ed abside sul retro, cui era affiancato il campanile atterrato nel II conflitto.

La facciata con profilo a capanna è in laterizi con fronte triangolare a coronamento, al cui centro in una nicchia è posta la statua di S. Vittoria. La descrizione della statua fatta dalla dottoressa Gabrielli, sovrintendente d’arte, nel 1935 è la seguente “La statua è situata in una nicchia alla sommità della facciata della chiesa. La santa è in piedi, in posa frontale, con tunica e manto e tiene in mano la palma del martirio. È una scultura abruzzese della prima metà del secolo XVI, si deve supporre che fosse già nella facciata precedente prima dell’ampliamento. Attualmente è acefala perché mancante di testa” (12). Il prospetto frontale è suddiviso da due semplici cornici orizzontali in laterizi in cui alloggiano sei lesene con capitelli dello stesso materiale; tra i due ordini si apre un finestrone con vetrata a mosaico ritraente la santa a cui è dedicato il tempio, inquadrato da una cornice lapidea con scultorei elementi floreali al cui centro campeggia il volto alato di un puttino. Il secondo ordine di lesene poggia nella quota inferiore su una cornice lapidea che la riveste con un’altezza di circa quindici centimetri dal piano di calpestio. Prima dell’ampliamento con prospetto in laterizi, non escludiamo che in precedenza la facciata fosse in lapidei, se il Pieralice dice, nel 1888: “ricostruite la facciata della chiesa, quale Carlo D’Angiò custroivola, poiché venne abbattuta, per surrogarvi quell’impiastro di calce e mattoni” (13).

Osservando il prospetto frontale della chiesa, si nota che gli angolari dei perimetri laterali sono costituiti da vari lapidei squadrati di antica origine per i quali azzardiamo due ipotesi: l’una, che siano materiale di spoglio della chiesa cimiteriale, da cui provengono anche gli stipiti delle porte laterali riutilizzati per l’uguale impiego; l’altra, che costoro costituivano il prospetto della chiesa ampliata dal re angioino e ricomposti nell’avanzamento del nuovo. Quest’ ultima ipotesi troverebbe maggiore accoglienza, giustificando oltremodo l’affermazione del Pieralice. Come accennato, la chiesa ha oltre l’entrata centrale in pietra timpanata dal semplice disegno e altri due aditi laterali, in cui vennero reimpiegati gli stipiti della chiesa di S. Maria in Cellis, essendo la chiesa in stato rovinoso dalla seconda metà del 1600, Il De Vecchi Pieralice istruisce sullo spoglio delle porte della chiesa cimiteriale: “Queste porte vennero tolte alla chiesa di S. Maria in Cellis, quella chiesa del camposanto, ed erano a diritta ed a manca della porta centrale” (14).

Ignazio Gavini (1887†1936), sovrintendente ai monumenti d’Abruzzo, descrive gli stipiti che rimontano al XII secolo: “Gli stipiti di Santa Vittoria hanno come nascimento dei vasi trattati a forma di coppa, da cui sorgono tralci sottilissimi intrecciati attorno a fiori ed a grappoli; nel mezzo formelle quadrate includenti un leone o un drago o un gallo con coda di serpente e nella parte alta nuove volute che avvolgono rose, fiori, gigli, dell’identico tipo e della identica fattura di quelli già veduti nella chiesa del camposanto. Anche negli architravi lo stesso concetto è ripetuto con l’agnello crucigero, duro, stecchito, che in nulla trionfa sui simboli evangelici disposti lateralmente. Alle estremità vi si aggiungono due figurine: un San Michele infigge l’asta della croce nelle fauci di un rettile, un diavoletto danzante soffia allegramente in un corno. Le interessanti sculture, semplici e ruvide nella forma, sono trattate nelle due architravi con perfetta identità di metodo, cioè bassissimo rilievo, forme piatte non modellate e soltanto graffite con solchi in modo schematico. Le due porte di Santa Vittoria sono eguali anche nelle dimensioni, misurando ognuna nella luce metri 1,11 di larghezza e m. 2,21 di altezza. Gli stipiti e gli architravi hanno una eguale ampiezza di 24 cm. Una sola differenza sostanziale si è che, mentre in quella di destra l’interruzione degli ornati degli stipiti al di sopra dell’architrave dimostra che in origine era coronata di arco di scarico decorato, a somiglianza dell’altro di Santa Maria in Cellis, in quella di sinistra gli ornati hanno fine al piano di posa dell’architrave, il quale termina la decorazione in modo da escludere l’esistenza dell’archivolto. Questa differenza organica dimostra come i due portali pur essendo identici nelle dimensioni, non appartenevano forse ad uno stesso prospetto con ufficio di simmetria e come nel collocarli nella nuova destinazione si trovò la necessità di sopprimere un archivolto che riusciva d’impaccio. Questo archivolto non è però del tutto scomparso e la parte centrale di esso ho ritrovato nell’interno di Santa Maria in Cellis, dove rimase abbandonata quando i due portali furono trasportati nella chiesa parrocchiale” (15).

Il campanile, dopo l’atterramento, venne ricostruito non a fianco all’abside ma della navata destra, è alto 30 metri, ricostruito in laterizi ad imitazione della facciata, è diviso sui quattro lati da una cornice lapidea, nella zona inferiore presenta cinque archi cechi, al di sopra monofore seguite nella salita dall’orologio e da finestre trifore nel piano che accoglie le campane, le modanature delle aperture sono ad imitazione dello stile rinascimentale. L’ampliamento della chiesa si realizzò con due navate laterali, ciascuna composta da quattro arcate con colonne di tipo tuscanico, ma lo sviluppo longitudinale dei due transetti risultò asimmetrico, in quanto la navata sinistra venne spostata in avanti rispetto all’opposta, e per recuperare questo disavanzo fu necessario ridurre di oltre mezzo metro in lunghezza l’ultima arcata di destra verso l’uscita.

All’interno la chiesa è a navata centrale, la quale risulta coperta in quattro campate con volta a crociera; l’altare e l’area presbiteriale sono rialzate dal calpestio tramite un gradino; le policrome capriate lignee appaiono a vista. Le belle capriate policrome con disegni geometrici e cristologici vennero restaurate nel 1988 dalla ditta RESTAURARTE S.n.c. DI R. & N. NICCOLI; il restauro presieduto dalla dottoressa Caterina Dalia della Soprintendenza Beni A.A.A.S. per l’Abruzzo – L’Aquila, ha stabilito per il soffitto policromo la datazione a fine XVI secolo, esempio unico nella marsica. Internamente presenta oltre l’altare major tre altari con pitture del Bompiani, Cupelloni e un arazzo del 1901 ritraente la sacra famiglia, la chiesa è arredata da notevoli opere d’arte tra cui alcune tele del 1600 con studio affisso ai lati da parte dell’associazione culturale Lumen. Tra gli autori anonimi delle tele del XVII֯ secolo vale la pena ricordare l’attribuzione ai pittori legati al veneto Paris Bordon, al marchigiano Simone Cantarini (detto il pesarese) ed ad un seguace di Bartolomeo Cavarozzi (detto il Crescenzi) di chiara corrente caravaggesca (16). Non trascuriamo il bel dipinto del XIX secolo di Ermilio Lazzaro. Il tempio custodisce statue che vanno dal XVIII al XX oltre al miliare del IV secolo e manufatti del XII e XIII secolo, non ultima un eccellente lavoro di oreficeria romana del ‘500 relativa ad una croce processionale.  Completano e arricchiscono le statue del XX secolo di Rosa & Zanazio, Moroder e Stuflesser. Insomma uno scrigno d’arte che arricchisce il patrimonio artistico – monumentale del territorio marsicano.

Nell’elenco degli Edifizi Monumentali d’Italia, la chiesa di S. Vittoria sita in piazza Corradino,  è tra le maggiori della diocesi ed è stata dichiarata monumento nazionale nel 1902. Nel settembre 2022 è stato predisposto un cantiere per il restauro conservativo del tetto e del prospetto frontale, nel gennaio 2023 i lavori sono stati terminati. Il parroco don Roberto Cristofaro informa che il progetto ha avuto un importo di € 278.000. La somma proviene per il 70% dall’ 8‰ della CEI, 20% da donazioni locali, 10% dalla diocesi dei Marsi. La pulitura e stilatura ha interessato anche gli stipiti dei portali. La ditta incaricata dei lavori è stata la “Archeores Conservazione Beni Culturali S.r.l.” di L’Aquila. La statua acefala in terracotta di S. Vittoria, allocata nella nicchia, è stata dapprima restaurata e successivamente sarà ubicata all’interno per proteggerla dalle intemperie: verrà sostituita con altra replicante la originale.

Luciano Del Giudice

 

Note

1) Per informazioni su S. Vittoria: E. Onori “Santa Vittoria. La martire, il culto e le identità territoriali”, edizioni il Formichiere Foligno (PG), maggio 2023

2)  Patrologia Latina,163, Parigi 1854, col. 139

3) R. Volpini, Placiti del Regnum Italiae (secoli IX-XII). Primi contributi per un nuovo censimento, a cura di P. Zerbi, Milano 1975, pp. 357-359

4) M. Eboli, Carsoli e il suo territorio nella storia medievale della marsica, Carsoli 1977, p.6

5) F. V. Colucci, La battaglia dei piani Palentini, Scurcola Marsicana 2017, p. 23

6) E. Onori, ibidem

7) P. Sella, Aprutium, Molisium: le decime dei secoli 13-14[…], Città del Vaticano 1936, p.40

8) L. Santoro, I castelli d’Abruzzo nell’ evoluzione dell’architettura difensiva, Pescara 1998, p. 134

9) A. Zazza(mons.), Notizie di Carsoli, a cura di M. Sciò, F. Amici, G. Alessandri, Pietrasecca di Carsoli 1998, p. 13

10) ibidem

11) M. Febonio, Storia dei Marsi. Libro terzo, a cura di G. Buttici e U. M. Palanza, Roma 1991, p. 201

12) Inventario, cit., p. 23

13) In l. degli Abbati, Da Roma a Sulmona. Guida Storico artistica delle regioni traversate dalla strada ferrata, Roma 1888, p. 79

14) In l. degli Abbati, cit., p. 80

15) I. Gavini, Storia dell’architettura in Abruzzo, vol. 1, Milano 1927, riproposto in Il foglio di Lumen n. 24, 2006, p. 2

16) M. Ramadori, I Quaderni di lumen, Arte e confraternite a Carsoli, chiesa di S. Vittoria, settembre 2014, pp. 23-36                

 

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