San Benedetto dei Marsi – “Facciamo parte di una categoria che ha un nome nobile, ma una pensione indecorosa. Cari contabili dello stato, qui non siamo al mercato delle vacche. Abbassateci il titolo e aumentateci la pensione”. Questo l’accorato appello di Gianmarco De Vincentis, imprenditore agricolo di San Benedetto dei Marsi, che ieri, dopo 45 anni di lavoro, ha raggiunto la pensione: 530 euro al mese.
“Chi, come me, ha confezionato i prodotti agricoli non è che stia meglio degli altri che producevano e vendevano nei campi. Noi siamo tra l’incudine e il martello facciamo degli investimenti non garantiti e troppo spesso ci ritroviamo a giocare a nascondino con le banche. Tutto ruota attorno a noi, rischio investimenti e crisi di mercato. Paghiamo decine di migliaia di euro l’anno per versare i contributi agli operai che lavorano con noi, ma troppo spesso, per colpa di chi fa vive di truffe varie, ci trattano come loro, ci fanno sentire ladri. Ci sono annate in cui si raccoglie poco per via del clima ed altre in cui siamo invasi dai prodotti che vengono dall’estero. Giustamente ci controllano, ma nessuno va a caccia di merce che viene da fuori confine italiano. Io e mio fratello abbiamo lavorato per 45 anni almeno, ma alla fine siamo stati costretti a chiudere. Spesso non c’è chi può dare continuità al lavoro, come è successo a noi. Noi abbiamo avuto fortuna, o forse non abbiamo fatto il passo più lungo della gamba, e abbiamo chiuso, cancellando in un attimo un marchio che aveva conquistato mercati e buon intenditori.
La orto.be.mar. con www.radicchio.it e www.lacarotadelfucino.it hanno dato visibilità alla nostra terra che ha tutte le caratteristiche per produrre carote e patate IGP e tanti altri prodotti di qualità. I giovani non possono permettersi di investire su un lavoro in cui non hanno esperienze. Lo stato cerca di avvicinarli con l’inganno, con contributi che vanno a vantaggio più di chi costruisce attrezzi agricoli, macchinari per la lavorazione e capannoni oltre frontiera. Siamo dentro una morsa, i rischi sono solo i nostri. Ci pagano il prodotto a cifre irrisorie, poi, sui mercati il consumatore trova un prezzo inaccessibile. Ci sarebbe da scrivere per ore, ma mi fermo qui, non voglio andare oltre, almeno per adesso. Cari amici e lettori, cercate di non addossare la colpa a chi lavora la terra con le mani. Facciamo un lavoro onesto che dà da mangiare a tutti, diversamente dovremo tornare a coltivarci l’orticello, ad allevare galline per avere l’ovetto fresco la mattina e a riattivare qualche vigneto abbandonato se vogliamo un buon bicchiere di vino a tavola. Chissà se non sarebbe la soluzione migliore. Torniamo a vivere nei nostri paesi, nei borghi abbandonati. Lo stato è meglio che investa in quei luoghi in cui abbiamo vissuto con umiltà, non ci mancava niente”.