Avezzano. Raccontare le storie e le esperienze di malattia in luoghi di cura attraverso l’arte. Questo è lo scopo del nuovo progetto in Medical Humanities e Medicina Narrativa “Fragmenta Curae”, portato avanti dalla Casa di Cura “Di Lorenzo”.
Il concorso, aperto alle candidature fino al 31 gennaio 2018, è rivolto a tutti gli artisti che con le loro opere pittoriche e fotografiche, ma anche narrative, vorranno rappresentare l’esperienza del dolore per aiutare i pazienti a rimettere insieme le parti di sé che la malattia spesso frammenta. «Quando si è malati – scriveva Virginia Woolf – le parole e le immagini sembrano possedere una qualità mistica >>.
Abbiamo parlato del progetto e delle sue finalità insieme al responsabile scientifico, il Dr. Alessandro Franceschini:
- Quando e come nasce questo progetto?
Da qualche anno la Casa di cura “Di Lorenzo” ha avviato un articolato percorso formativo e di aggiornamento del proprio personale sanitario finalizzato a migliorare la qualità del rapporto operatore-paziente e a ridurre il rischio clinico e i casi di contenzioso legale. Così, in tale ambito, nell’ultimo anno si è deciso di prendere in considerazione anche il contributo specifico che in tal senso perviene alla medicina da parte delle scienze umane (come la filosofia, la letteratura, l’arte) e che fa riferimento all’ambito di studio e ricerca rappresentato dalle cosiddette Medical Humanities e, più nello specifico, dalla Medicina Narrativa. Dunque è in questo quadro di riferimento che si colloca il concorso d’arte e medicina “Fragmenta Curae” volto a recuperare due fondamentali aspetti del rapporto con il paziente: l’affidamento e l’empatia.
- Che cosa intendete comunicare con “Fragmenta curae”?
Il concorso è finalizzato a promuovere la narrazione di vissuti di malattia e di cura attraverso l’arte figurativa (pittura e fotografia) e la scrittura (prosa e poesia), proprio per ristabilire, come già si accennava, quella fiducia tra paziente e operatore sanitario che è fondamentale anche ai fini dell’efficacia delle terapie. Riteniamo infatti che sia importante e particolarmente significativo dare voce a tutti i soggetti che entrano in gioco nella relazione di cura e che evidentemente hanno molto da dire, facendo emergere tutto il loro vissuto al di là del dato clinico riferito alla patologia con la quale hanno a che fare come ammalati oppure come curanti. L’atto della cura spesso risulta essere veloce e smarrito tra speranze e difficoltà e la possibilità di fermarsi a riflettere su di esso non può che rappresentare un potente strumento di miglioramento. Le testimonianze artistiche rappresenteranno dunque dei “frammenti” di quel fenomeno così complesso che è la cura e che oggi ha bisogno di riappropriarsi del suo volto più umano.
- In che relazione sono l’arte e la scienza della medicina?
L’arte, e più in generale le discipline umanistiche e la medicina, sono state da sempre a stretto contatto. Basti pensare a tal riguardo come fino all’avvento della scienza empirica la figura del medico coincideva con quella del filosofo e che nello studio dell’anatomia umana il contributo più significativo fino ad un certo punto è stato proprio quello degli artisti come Michelangelo o Leonardo che si dedicavano allo studio del corpo umano su cadaveri per poter rappresentare al meglio i soggetti delle loro opere pittoriche. Ma in realtà l’affinità tra arte e medicina è vera anche tenendo conto altri aspetti, come la capacità del cosiddetto “occhio clinico” proprio del medico, fondamentale per saper svolgere l’esame obiettivo osservando, descrivendo ed interpretando i sintomi e i segni clinici del corpo così come, in maniera correlata, farebbe un critico d’arte nei confronti di un’opera, fino ad arrivare all’uso dell’arte stessa come efficace supporto terapeutico e stimolo di guarigione.
- L’arte, nelle sue varie forme e nella storia ha avuto spesso un ruolo catartico, oltre che ermeneutico; pensA che, ad oggi, in un’era avanzata come questa che stiamo vivendo, possa assolvere ancora a questa funzione e anche nella medicina?
Oggi si riscontra un’evidente deriva della medicina verso una iperspecializzazione tecnicista che spesso fa perdere di vista il fatto di avere a che fare con dei soggetti che sono molto di più della loro parte ammalata. È importante infatti ribadire che il professionista della sanità ha la responsabilità di farsi carico della cura dell’uomo tutto intero, pena l’efficacia della sua azione terapeutica che piuttosto che curare ed in alcuni casi guarire, reifica e spersonalizza gli ammalati e di conseguenza mina alla base l’esercizio stesso della professione medica. Dunque, stando così le cose, forse più che in altri tempi oggi, la fruizione artistica può offrire una restituzione di senso e la contemplazione del bello può contribuire al processo di accettazione ed integrazione del vissuto di malattia, quasi ad intervenire in soccorso della pratica medica, in alcuni casi caratterizzata da una spoliazione di umanità.
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