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Erano guerrieri. Ma anche sacerdoti, medici e incantatori: breve compendio del popolo marso e del suo leggendario re

Con il musicologo Gianluca Tarquinio a Tagliacozzo in un viaggio tra storia mito
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Bassorilievo tracio raffigurante un dio (forse Dioniso) con un serpente e suonatori di flauto

Tagliacozzo –  Quando Enea, esule da Troia, dopo mille peripezie sbarca nel Lazio, vuole sancire un’alleanza con il pacifico re Latino sposando sua figlia la principessa Lavinia e condividerne il regno, ma incontra la fiera resistenza di Turno, giovane sovrano rutulo, il quale, contro ogni responso divino, è deciso a muovergli guerra. Accorrono allora al suo fianco tutte le genti di stirpe italica per combattere lo straniero, come racconta Virgilio nel libro VII dell’Eneide: tra questi, mandato dal re marruvio Archippo, c’è anche il “fortissimus” Umbrone “dall’elmo coronato di foglie di fertile olivo, medico e mago che sa addormentare col canto e le carezze i serpenti, le vipere che soffiano veleno, e sa placarli, curandone i morsi con arte”. Sarà però destinato a morire per mano forse dello stesso Enea, in seguito a una ferita che non seppe curare neppure con “le nenie sacre che inducono al torpore, né con le erbe raccolte sui monti della Marsica”. E lo piansero la dea Angizia, dentro la sua foresta, “il Fucino dall’acqua vitrea e i limpidi laghi”…

I Marsi non erano solo un popolo di guerrieri, ricordato per la tempra forte e fiera della celebre frase attribuita allo storico Appiano di Alessandria “nec sine Marsis nec contra Marsos triumphari posse” (non si può vincere senza i Marsi né contro di loro). Di questa orgogliosa stirpe, ricordata per valore e amor di patria, faceva parte anche una classe sacerdotale nota per le sue conoscenze nel campo della medicina: sapevano infatti creare portentosi medicamenti mescolando veleno di serpente con erbe officinali, elisir molto richiesti anche a Roma poiché, nel segno dell’“ambigua natura della magia”, potevano sia guarire, sia uccidere. E per poter catturare i serpenti da cui estrarre il veleno, i sacerdoti marsi li “ipnotizzavano” con il canto e il suono del flauto, che Orazio descrive come “caputque marsa disillire naenia”, nenie capaci di sconvolgere la mente.

prof. Gianluca Tarquinio

Si trattava di una vera e propria classe sacerdotale dunque, depositaria di altissime conoscenze medico-scientifiche di cui fa menzione anche Galeno, non di sprovveduti men che meno di ciarlatani; e la loro specificità consisteva proprio nell’uso del flauto come strumento magico per attrarre e rendere innocui i rettili da cui trarre le pozioni.

A rendere ancora più ricca e intrigante la ricerca si inserisce la vicenda di Marsia re della lontana Lidia, che nel VI sec. d.C. il geografo Isidoro di Siviglia collega al popolo marso al quale avrebbe insegnato la coltivazione della vite. E, per tornare alla musica, questa figura si confonde con quella del figlio della maga Circe, abile suonatore di flauto che in queste terre regnò fino a diventare egli stesso un dio. O forse quel satiro che, secondo la leggenda, avrebbe gareggiato un bravura con Apollo in persona per essere poi gettato tra i mortali, dicono, a Marsia di Tagliacozzo che da lui prende il nome… Ma qui sono solo felici suggestioni, e la ricerca è ancora aperta.

Tra le evidenze archeologiche, oltre a una serie di raffigurazioni vascolari o bassorilievi nel centro-sud Italia che ritraggono suonatori di flauto accompagnati da serpenti, anche i cosiddetti “flauti marsicani”, gli unici ritrovati nella zona: in osso di capra, lunghi circa 8 cm e di forma cilindrica, sono molto simili a quelli etruschi, la ricostruzione dei quali ha permesso di riprodurne il suono dopo un silenzio di migliaia di anni.

L’appuntamento con il prof. Tarquinio, dell’Istituto abruzzese di Storia musicale, si inserisce nella Settimana del turismo promossa dall’Itet Argoli di Tagliacozzo in collaborazione con l’amministrazione, presenti la presidente del Consiglio comunale Anna Mastroddi e la dirigente scolastica Patrizia Marziale, che ha sottolineato l’importanza del mito «come strumento didattico» e della musica «come attività di laboratorio fin dalla scuola primaria».

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Anna Maria Baiamonte

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