L’Aquila – Al senso di impotenza prodotto dal virus si coniugano solitudine e paura dovute soprattutto alla percezione dell’incapacità del sistema sanitario di gestire l’emergenza. Sono passati quasi otto mesi dall’inizio della pandemia ed ancora ci chiediamo quali siano le azioni più efficaci da mettere in atto, non tanto e non solo in campo scientifico ma soprattutto organizzativo. La Asl Avezzano Sulmona L’Aquila ha sottovalutato la ripresa del dilagarsi del virus e lo ha fatto nonostante la gravità della situazione. Il personale sanitario tutto-dirigenti medici, infermieri, oss, tecnici ed amministativi-continua ad essere sottodimensionato.
L’unica azione che ha fatto la ASL in questi mesi è stata quella di prorogare mese per mese i contratti del personale precario. Questo dimostra una totale mancanza di capacità programmatoria, in un momento in cui la garanzia della continuità contrattuale, anche attraverso la stabilizzazione del personale precario, potrebbe contribuire ad una migliore gestione dei servizi sanitari. Ci vorrebbe uno sforzo straordinario per superare la crisi da covid, ma anche e soprattutto per recuperare le risorse perse negli anni e che ora sarebbe fondamentale avere.
Il virus è tornato a sconvolgere la quotidianità di tutti e tutte noi e questa volta è più vicino; è entrato nei nostri luoghi di lavoro, nelle nostre scuole e nelle università, nei luoghi della socialità generando panico e spingendoci all’auto isolamento sociale determinato dalla paura dell’altro/a. Se l’aspetto puramente emotivo può essere ricondotto ad una sana razionalità, la solitudine dei lavoratori e delle lavoratrici va invece ricondotta a precise e definite responsabilità non ammissibili e che hanno ricaduta su tutta la collettività.
Sono tante le segnalazioni di lavoratori e lavoratrici lasciati a casa in attesa di capire come comportarsi a seguito di contatti diretti o indiretti con persone positive al covid che sono, a loro volta, in attesa di comunicazioni da parte della ASL. Molto spesso costretti ad eseguire i tamponi privatamente per evitare i lunghi e inutili tempi delle strutture sanitarie pubbliche. Sono passati inutilmente quasi otto mesi dall’inizio dell’emergenza se ancora oggi sono migliaia le persone costrette a rivolgersi a pagamento a strutture private per poter eseguire il tampone. Sembra quasi che fare il tampone e tracciare il contagio sia un’esigenza di singoli individui e non di tutta la collettività.
Sappiamo anche che non tutti possono rivolgersi alle strutture private e, di nuovo, la disuguaglianza economico-sociale è il discrimine tra la cura e la sua mancanza per impossibilità. Eppure, ormai è noto a chiunque che individuare un caso positivo attraverso il tampone vuol dire ricostruirne prontamente la catena di rapporti, limitare il contagio e, di conseguenza, mettere a riparo la comunità.
Le scuole della nostra provincia sono al collasso; è davvero difficile stabilire quante classi o sezioni siano chiuse, lo siano state o lo saranno nelle prossime ore. Anche qui sono passati inutilmente quasi otto mesi a parlare di banchi con le rotelle senza accogliere il suggerimento di prevedere un presidio sanitario in ogni scuola e la possibilità di effettuare test rapidi. Sarebbero bastate queste due sole misure per impedire che il sistema di tracciamento si impallasse e per far lavorare il personale docente ed ATA con maggiore sicurezza. Raccogliamo quotidianamente e, spesso, senza aver la possibilità di essere utili, le testimonianze di personale spaventato che ha la sensazione di non essere tutelato.
I profili professionali dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola continuano ad avere quell’aura di missione che giustifica ogni sacrificio. E’ una narrazione che non ci appartiene. Chiediamo sicurezza per i lavoratori e le lavoratrici della scuola pubblica che sono in trincea. IL DPCM in vigore da oggi, 26 ottobre 2020, norma la Didattica a Distanza, seppur al 75%, per tutte le scuole secondarie di II grado, seguendo quanto già avveniva nella nostra provincia per delibera dei singoli sindaci che avevano nei giorni scorsi provveduto a sospendere la didattica in presenza nelle tre classi terminali delle stesse scuole.
Sappiamo bene che questa è la soluzione più immediata e quella meno concertata. Perché la scuola sta pagando l’altissimo costo della mancanza di progettualità della politica e della non volontà di modificare la condizione esistente di impoverimento dell’intero sistema scolastico. Comprendiamo che le scelte del DPCM siano dettate dal ritorno dell’emergenza dovuto all’aumento dei casi di contagio, ma dopo otto mesi, anche l’emergenza forse doveva essere prevista ed organizzata senza ricorrere a misure che danneggiano l’unico comparto produttivo del paese che nei mesi estivi si è preparato ad affrontare il rientro in sicurezza.
Non possiamo sottendere sui rischi in termini di differenze formative che comportano scelte differenziate sui territori ed abbiamo appreso durante il lockdown che la didattica a distanza non raggiunge tutti e tutte allo stesso modo, anzi rimarca le differenze ed ottiene il risultato di fare parti uguali tra disuguali, che, come diceva Lorenzo Milani, è la più grande delle ingiustizie. Le risorse professionali, il cosiddetto organico covid, che doveva servire ad aumentare le possibilità di distanziamento, non sono arrivate in misura adeguata e sono state distribuite in maniera poco chiara e senza rispondere pienamente alle richieste delle scuole.
Anzi, da alcuni giorni alle scuole è stato chiesto di non procedere con i contratti covid nelle more di ‘rifare i conti’, poiché vi è incongruenza tra quanto le scuole stanno impegnando e quanto il ministero e gli uffici territoriali che ne discendono dispongono. Di nuovo si frena sull’essenziale, di nuovo la scuola è gestita dal MEF. Di nuovo si narra di una scuola sicura che non c’è. Più personale in edifici sicuri è una formula semplice di cui non smetteremo di chiedere l’applicazione. Ed è una formula che se fosse stata applicata non avrebbe portato a questa sconfitta dell’intero sistema educativo italiano. E non della Scuola, intesa come comunità educante di professioni ed utenza, che da anni è chiamata a resistere e fare anche da schermo.
Al mondo della scuola fa quasi da specchio quello della sanità, dove però è maggiore il rischio sanitario. Le lavoratrici e i lavoratori dall’inizio dell’emergenza sanitaria sono stati abbandonati a loro stessi; con una drammatica carenza di dispositivi di protezione individuale all’inizio e senza che venissero fatti i tamponi durante tutta la fase emergenziale.
Ancora oggi a molti operatori sanitari non viene eseguito alcun tampone! La gestione sanitaria è stata affrontata solo attraverso annunci e proclami, ma nel concreto non ha visto atti amministrativi volti all’assunzione immediata di personale. Lo dimostra che la Direzione della ASL, in questi giorni, proprio in carenza di azioni programmatiche, ha emesso disposizioni con le quali vengono sospese le ferie al personale o con le quali lavoratrici e lavoratori vengono trasferiti da un presidio all’altro dalla sera alla mattina. Quest’ultima è una misura assolutamente peggiorativa perché va a svuotare ancora di più quei servizi e quei reparti che, già a corto di personale, potrebbero essere costretti a limitare se non ad interrompere i servizi essenziali.
Ormai anche la gestione ordinaria è in emergenza, e quindi torniamo a ribadire con forza quanto affermiamo ormai da anni: è necessario un piano straordinario di investimenti sul personale e in tecnologie; ed è necessario che la Asl avvii una vera e propria programmazione delle attività che sfoci in quelle azioni risolutive che ad oggi non si sono viste. La mancanza di programmazione, anche qui, non solo costringe lavoratrici e lavoratori a prestare la propria attività in modo approssimativo, con conseguente aumento del rischio di errore e del rischio di contrazione del contagio, ma di fatto limita il diritto alle cure dei cittadini e delle cittadine.
Nulla è stato fatto nel periodo di “tregua” dell’emergenza per gestire al meglio una recrudescenza della pandemia che era ampiamente prevista e che, già in questa nuova fase iniziale, sta generando il collasso dell’intero sistema. Non escludiamo si possa arrivare non solo all’impossibilità di gestire l’emergenza, ma anche a non poter più garantire l’assistenza e la cura per patologie non covid. Non possiamo e non dobbiamo permettere che questo avvenga e chiediamo il potenziamento della medicina territoriale che mai come ora è necessaria per gestire, oltre all’emergenza, anche la normale attività di ospedali presi d’assalto da chi, in questa confusione, non trova più risposte.
La scuola e la sanità non possono prescindere da due fattori di cui la politica deve tener conto: la qualità del servizio che erogano e la ricaduta che questa ha sulla collettività tutta. Troppo spesso entrambi si affidano alle competenze, alla disponibilità e allo spirito di servizio dei lavoratori e delle lavoratrici. E’ una narrazione che non ci appartiene, per la scuola come per la sanità: la professionalità, spesso alta di chi lavora, necessita di un impiego di risorse che ora deve essere straordinario e di una programmazione territoriale che ora non può più attendere. E’ il momento di dire basta e di pretendere risposte concrete e immediate al momento drammatico che viviamo, ma con il senso del cambiamento della prospettiva.