Canistro. “Ho una figlia che va all’università e una che frequenta le superiori. Sono da tre mesi senza stipendio. Oggi ho ricevuto la lettera di licenziamento. E’ questo il mio Natale. Se penso di ritrovare un altro lavoro? Lo spero, cosa altro posso pensare”.
Cesare Fontana ha 50 anni, per 25 è stato un impiegato della Santa Croce di Canistro, era un tecnico di produzione. Insieme a pochi altri ha già ricevuto la lettera di licenziamento. Per gli impiegati il preavviso deve essere di più giorni e quindi è stato uno dei primi a ricevere l’amaro regalo di Natale.
Cristiano Iodice, rsu aziendale e anche consigliere comunale ha preso le chiavi del Comune e ha aperto le porte per accogliere i colleghi nel palazzo dei cittadini. “Abbiamo letto su un quotidiano alcune dichiarazioni di Colella che dice che così facendo la Regione ha penalizzato tutti e che uno dei suoi scopi era tutelare i lavoratori”, dice Iodice, “ci siamo sentiti offesi e per questo per la prima volta abbiamo deciso di parlare in prima persona per raccontare di noi a chi è abituato ormai a vedere i nostri volti sulla stampa”.
In Comune ci aspetta solo una piccola delegazione dei lavoratori, sono quasi tutti rappresentanti delle sigle sindacali. Ormai li conosciamo tutti per nome e cognome perché sono gli “instancabili” che da settimane presidiano lo stabilimento, quella “fabbrica dell’acqua” che per tanti anni è stato il lustro della Valle Roveto, che ha portato tanta ricchezza e che ora è diventata, invece, il calvario di tante famiglie.
Negli anni d’oro, erano talmente tanti i tir che passavano sulla strada per Canistro, che si pensava a fortificare le vie che entravano nel paese. Ora invece nel piccolo centro rovetano la Santa Croce non è più la ricchezza.
I primi giorni davanti ai cancelli c’era chi alzava la voce, chi protestava. Oggi invece i lavoratori sono calmi, quasi fossero rassegnati. Rimane il dato di fatto che hanno ancora quella luce negli occhi che accende la speranza di ottenere, un giorno, “giustizia”.
“Qualche tempo fa sui social ho scritto un messaggio”, commenta Enza Cesareo, che 25 anni fa iniziò a lavorare nella clinica di Faroni per poi arrivare allo stabilimento dell’acqua e quindi nel personale di Camillo Colella, “alla Santa Croce ci lavora gente di Capistrello, Avezzano, Morino, Balsorano, Civitella. Dove sono gli altri sindaci? A cosa serve la loro fascia? Qui non si è visto nessuno. A cosa serve la fascia, per fare bella figura alle processioni delle feste patronali?”.
“Quando abbiamo letto che Colella voleva tutelarci ci siamo indignati”, va avanti Francesco Sabatini, “ci sono lavoratori che si sono trovati in busta paga 19 euro. Per anni siamo stati in silenzio, sottomessi, siamo stati lo scudo e la protezione di un imprenditore a cui chiedevamo le ferie e invece ci metteva in cassa integrazione. Che ci tratteneva sulle buste paga i soldi che doveva versare per il nostro futuro ma che poi non lo faceva. Perché abbiamo continuato a tacere negli anni? Perché abbiamo i figli e le famiglie. Abbiamo forse sbagliato ma ora basta”.
“Ci sono persone che hanno 1.500 ore di ferie che non sono state pagate”, vanno avanti Enrico Di Giuseppe, Angelo Lori e Maurizio Bisegna, “e che si ritrovano buste paga con al massimo qualche centinaia di euro. All’Inps ci hanno spiegato che sono stati aperti due procedimenti diversi di mobilità e cassa integrazione che vanno in collusione tra di loro e quindi non possiamo usufruire al momento di nulla e che dovrebbe essere l’azienda a chiarire la posizione”.
“L’anno scorso venne un ispettore del lavoro della Provincia”, aggiunge Cesareo, “erano in due, una signora era di Tagliacozzo. Dichiarammo tutto quello che ci accadeva. Non abbiamo saputo più nulla. Che fine hanno fatto quelle pratiche?”.
“Abbiamo letto che la nostra era una protesta di poche persone”, vanno avanti in coro, “con noi, davanti ai cancelli, il giorno dello sciopero, c’erano anziani, bambini, tutto il paese ci ha espresso solidarietà. La lettera di licenziamento fa male ma è una liberazione. Non ce la facciamo più a stare sotto scacco di un imprenditore che se voleva tutelarci scendeva in campo con un serio piano industriale che avrebbe rilanciato l’azienda e non ci premiava con un licenziamento. Ci diceva che la nostra era un’azienda in crisi. L’anno scorso gli sono stati sequestrati 13 milioni di euro. Chi ha 13 milioni di euro è un imprenditore in crisi?”.