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“Annacuccù”, il romanzo di esordio di Primo Di Nicola

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Avezzano – Chi salva una vita salva il mondo intero, questa frase del Talmud, il libro sacro dell’ebraismo è iniziata a risuonarmi in testa alla fine della lettura del libro di Primo Di Nicola, Annacuccù, un romanzo edito da Castelvecchi Editore.

Primo Di Nicola è un giornalista prestato alla politica. Già cronista de l’Espresso, ha lavorato al Fatto Quotidiano, è stato direttore del Centro. Dopo aver scritto saggi come, Orgoglio e vitalizio del 2017, Mario Segni, l’uomo che vuol cambiare le regole del gioco, del 1992, ha deciso di cimentarsi nel romanzo.

Il risultato è un affresco quasi neorealista di un’Italia minore, mai entrata nella grande storia. Nel libro si raccontano le vicende di Riosogno, un villaggio immaginario, come la Macondo di Cent’anni di Solitudine. Le montagne, i boschi, il fiume, le mammane con i loro riti pagani del malocchio, oracoli vaticinanti di un mondo quasi magico, diviso fra il sacro e il profano.

Un posto dove le donne si raccontano fatti e pettegolezzi bisbigliando fra loro, durante i rosari. Un posto dove le statue dei santi, incutono rispetto e timore, come fossero loro stesse i santi.

Gli uomini sono consumati dalla dura vita nel bosco, dal taglio della legna da vendere alla segheria. Le domeniche la passano in osteria, fra canti e bevute, e serrate sfide al gioco della Morra.

I ragazzi di Riosogno crescono in un ambiente duro, dove i grandi hanno modi spicci, ruvidi, dove non c’è spazio per le mammolette come Cosmo che invece perde tempo a scrivere i suoi pensieri sulla carta paglia, e intanto si chiede quale sia il suo posto nel mondo.

Annacuccù è un diario, il diario di Cosmo, un ragazzino che vive le sue giornate spensierate alle prese con le prime pulsioni della carne e con l’ingenuo coinvolgimento nel sentimento dell’amore che nutre per Luce, sua coetanea che lo asseconda e lo ricambia.

Insieme alla sua compagnia di amici, Ardo, Maggio, Domenico con le sue vicende che sono una storia nella storia, Cosmo vive gli anni dell’innocenza in un periodo che può essere collocato nel dopoguerra, forse all’inizio degli anni ’50.

L’autore definisce Riosogno, il paradiso in terra, fra boschi e limpide acque, un posto che evoca la dimensione quasi onirica di un tempo ormai passato che lascia nella mente il senso profondo delle radici del nostro malfermo presente.

La stessa voce narrante, Cosmo, che annota ogni cosa sul suo diario, ha un nome vasto come l’universo, un’idea senza confini, dove la fantasia può creare nuovi mondi e esplorare realtà parallele che prendono forma sulla carta paglia. Un lapis colorato e un pezzo di carta aprono alle infinite possibilità della fantasia.

Poi c’è Luce, l’amata. Ha un nome che tradisce un’idea alta e pura dei sentimenti, come solo a quell’età può accadere. Ben presto però, l’innocenza dei ragazzi si trova a fare i conti con la realtà degli adulti. Una realtà che li sfiora per poi travolgerli completamente, nell’eterna battaglia fra il bene e il male.

La comunità di Riosogno è costituita per lo più da taglialegna, pastori e contadini, gente semianalfabeta. È uno di quei borghi italiani dell’Appennino Centrale che, nel dopoguerra, continua a soffrire lo spopolamento, già iniziato ai primi del ‘900.

Cosmo è il figlio di un boscaiolo, ha imparato a leggere e scrivere. La sua generazione ha conseguito la licenza elementare e la mamma spera non segua le orme paterne.

Il sindaco di Riosogno si chiama Isso, nello slang dialettale “Lui”, una sorta di innominato, un piccolo ducetto che spadroneggia impunito con i suoi bravi che tengono sotto scacco tutto il paese.

Sarà proprio lui a decidere di deviare il corso del fiume per fornire energia all’industria. Così facendo però, tutte le attività che ruotavano attorno al fiume iniziano a fermarsi. Si ferma la cartiera, si ferma la segheria, diminuisce il lavoro dei taglialegna che approvvigionano la segheria del paese e si asciugano gli orti, senza più acqua.

La catena si spezza e una piccola economia dalla tradizione millenaria è sacrificata sull’altare di un presunto progresso che trasforma pastori e contadini in minatori, impiegati nella costruzione della galleria che trasformerà la corrente del fiume in corrente elettrica.

Molti padri di famiglia si ritrovano senza lavoro. Iniziano a pensare sia arrivato il momento di contrastare Isso alle prossime elezioni comunali. Per farlo però, occorre presentare una lista alternativa.

Lampa è il candidato che dovrà sfidare Isso, ma si rivela ben presto l’uomo della speranza tradita. I ragazzini, sebbene spettatori silenziosi, sono osservatori attenti, e iniziano a farsi domande e a dubitare dei grandi, così rassegnati e indolenti.

Intanto la compagnia degli amici si assottiglia sempre di più, qualcuno finisce al brefotrofio, qualcun altro emigra all’estero con tutta la famiglia, altri vanno in collegio dai frati. Sono gli anni della miseria e della rassegnazione.

Cosmo vede il mondo cambiare attorno a sé, e percepisce il freddo di una solitudine che la sua sensibilità non gli risparmia. Solo nella sua amata Luce, ritrova il senso del futuro.

Di notte, il suo diario, diventa l’approdo certo delle sue insicurezze, è come se la scrittura lo proteggesse dalla disperazione per un destino già segnato. Ma la scrittura è anche la volontà di testimoniare per non dimenticare nulla di ciò che vive.

La sua sfida di provare a fermare il tempo è inesorabilmente destinata a fallire, man mano che la consapevolezza delle cose del mondo si fa strada nel suo cuore e nella sua mente.

Ma non tutto è perduto. Se è vero come è vero, che chi salva una vita salva il mondo intero, Cosmo avrà vinto la sua sfida. Basterà solo avere il coraggio di osare, perché accadano le cose più incredibili e inaspettate.

Il grandioso finale del libro, non è solo un atto di ribellione scaturito da un ideale di giustizia, ma è anche un inno all’amicizia. È il riscatto di chi, rimasto per troppo tempo intrappolato in un disperato mutismo, riesce finalmente a liberare il proprio grido di libertà.

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Alfio Di Battista

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