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Agricoltori marsicani sotto la morsa di Torlonia durante il regime fascista (marzo-novembre 1928)

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Agricoltori a lavoro nel Fucino

Per comprendere gli avvenimenti del ventennio fascista, non sempre espliciti ma spesso contorti e contraddittori, continuiamo a seguire le indicazioni del grande storico Renzo De Felice che riuscì, nonostante le critiche dei contemporanei, a rendere evidente la complessità d’una vicenda politica, culturale, militare, di costume quale si venne delineando durante il periodo trattato. Come specificò Folco Quilici, in occasione di un’opera audiovisiva e multimediale composta da sessantadue documentari (La storia d’Italia del XX secolo) e durata ben dieci anni: «Il procedere del testo di De Felice di riga in riga, di nota in nota, di pagina in pagina rispecchiava il non-ordine della verità, e dal magma riusciva a trarre chiare conclusioni, giudizi, interrogativi, dubbi» (1). 

Tutta la politica mussoliniana andrà quindi compresa concretamente, collocando le «tessere del mosaico disposte in coerente disegno» per valutarne il suo effettivo significato. Tipici «sono i casi della politica agraria e di quella demografica», che da più pagine stiamo affrontando con la nostra indagine a «ventaglio» attraverso una documentazione inedita. 

Nel 1928: «Che l’agricoltura italiana fosse tutt’altro che prospera, che questa situazione incidesse sfavorevolmente sul complesso dell’economia nazionale e che i suoi problemi non potessero essere risolti che con un massiccio e costante intervento diretto ed indiretto dello Stato è fuori dubbio. Data questa realtà economica, la battaglia del grano e più in genere la politica agraria di Serpieri e soprattutto col 1928 la politica di bonifica, avevano indubbiamente una necessità e una loro logica oggettiva, alle quali si possono muovere delle critiche (in primo luogo quelle di aver avuto obiettivi esclusivamente produttivistici, di non essersi quasi preoccupati di realizzare un miglior assetto fondiario e soprattutto di non aver saputo dar vita a strumenti operativi capaci di coordinare le attività pubbliche e private e di agire efficacemente sui proprietari agricoli inadempienti». Il mondo contadino e vasti settori operai (piccolo e medio borghesi), di fronte ad una accelerazione rivoluzionaria della società si sentivano moralmente e materialmente a disagio, spesso incapaci di trattare le conseguenze di questa trasformazione che vide: «da un lato dalla difesa ad oltranza della ruralità, della terra e della famiglia e da un altro dalla parallela teorizzazione della necessità e della concreta possibilità per l’Italia di valorizzare il suo potenziale umano e di accrescerlo con un massiccio incremento demografico che avrebbe dimostrato la vitalità fisica e soprattutto morale del popolo italiano rispetto agli altri » (2).

Con una sua particolare attenzione agli studi del settore, lo storico aquilano Colapietra ben sottolinea che l’anno 1928 per la Marsica fu un periodo pesantissimo: «un anno dominato da cima a fondo dalle trattative per la revisione biennale delle corrisposte d’affitto», quando i principi Torlonia in maniera dispotica, imposero ulteriori aumenti (3).

A marzo dello stesso anno, il ministro delle Corporazioni, comunicò: «Dopo un chiarimento avvenuto in presenza del Capo del Governo, Ministro per le Corporazioni, si è raggiunto l’accordo per la vertenza del Fucino, tra la Casa Torlonia e gli affittuari. Fermi restando fino a raccolti ultimati gli attuali canoni, le parti tratteranno ex novo il contratto di affittanza, convertendo il canone da denaro in natura e commisurandolo all’effettivo valore dei fondi. Gli agricoltori Fucensi si devono quindi preparare ad aumentare l’attuale estaglio! Sarà interessante vedere in pratica come si attuerà la conversione del canone da danaro in natura e con quali criteri verrà stabilito l’effettivo valore dei fondi. Seguiremo la cosa attentamente» (4).

Scavando i fossi d’irrigazione

Nonostante ciò, gli interessi e le preoccupazioni di tutto il settore agricolo fucense, furono rimandati a novembre dello stesso anno, laddove si riproposero nuove inquietanti domande per: «L’eterna questione del Fucino». Infatti, tra tutti gli agricoltori si era sparsa «la voce che sia intendimento del proprietario della vasta tenuta Fucense, del proprietario, cioè, della quasi totalità della terra lavorativa esistente della Regione, di richiedere un ulteriore gravoso aumento nella corrisposta di affitto». L’ipotesi di nuovi aumenti della somma fissata a composizione della controversia, suscitò altre preoccupazioni, in quanto da qualche tempo l’amministrazione non perdeva occasione di «decantare la grande bontà di quei terreni, la cui fertilità viene ad arte esagerata quasi si trattasse di un lembo della Terra promessa, dimenticando per contro i molti e gravi inconvenienti ai quali quei terreni, specialmente a cagione del clima, sono esposti». In preda a dubbi ogni giorno più crescenti, gli agricoltori sostenevano che se in passato gli affitti del Fucino potevano sembrare modesti: «tali non possono oggi essere ritenuti, poiché è risaputo che la corrisposta d’affitto al Fucino ha subito aumenti molto notevoli, raggiungendo il sestuplo dell’ante guerra». Secondo il parere di molti, prima del conflitto mondiale, Torlonia ricavava dagli affitti, un milione di lire; mentre, al momento, ne percepiva ben sei milioni. Per questi dati assai attendibili: «La gravosità di tale carico è risentita in modo preoccupante dalle popolazioni, le quali non riescono, nonostante gli sforzi ed i sacrifici che effettivamente compiono, a pagare il canone attuale; non sono infatti vane opinioni in questa plaga la disoccupazione, la cessata emigrazione, la scarsità dei raccolti dell’annata 1926-27, alla quale è succeduta un’annata 1927-28 non certo migliore». Di conseguenza, la richiesta di aumentare gli affitti, sembrò a molti irragionevole. Di contro, invece, occorreva ridurre temporaneamente il costo del calcolo fatto all’ingrosso e, proprio su questo punto, gli agricoltori fucensi rivolsero ennesima istanza alle superiori gerarchie fasciste: «poiché il disagio che nella classe agricola fucense si va determinando è veramente tale da interessare gli enti responsabili, non potendosi neppure per un momento pensare che l’interesse di un privato possa determinare un crisi grave in tutta una popolazione che sul Fucino vive, in quella popolazione che, con costante fatica, ha bonificato prima e poi reso fertile il latifondo». Per questo gli interessati segnalarono il disagio alle autorità competenti con obiettività, dichiarando: «sicuri che la nostra voce, per quanto modesta, sarà ascoltata da persone e da enti e servirà ad evitare errori ed a frenar cupidigie, da qualunque parte esse vengano, sempre nell’interesse della Regione e della collettività» (5).

NOTE

  1. F.Quilici, Al lavoro con Renzo De Felice, Breve storia del fascismo, Il Giornale, Biblioteca Storica, A.Mondadori Editore, Milano 2000, p.XXIII.
  2. R.De Felice, Mussolini il fascista, II. L’organizzazione dello Stato fascista, 1925-1929, Giulio Einaudi Editore, Torino 2019, pp.377-378.
  3. R.Colapietra, Fucino Ieri, 1878-1951, Ente Fucino, Stabilimento roto-litografico «Abruzzo-Press», L’Aquila, ottobre 1998, p.160.
  4. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno X – Num.782 – Roma, 29 Marzo 1928, p.2, La vertenza del Fucino risolta alla presenza del Duce.
  5. Ivi, Anno X – Num.873 – Roma, 8 Novembre 1928, L’eterna questione del Fucino. Ulteriori aumenti degli affitti?
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Fulvio D'Amore ricercatore e saggista

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