Carsoli. In primo grado era stato condannato a sei mesi di reclusione e al pagamento di una multa ora la Corte d’Appello, invece, accogliendo la tesi difensiva, lo ha assolto perché il fatto non sussiste.
Si tratta di Francesco Montanari, 27enne, arrestato a Carsoli il 9 settembre del 2011 dai carabinieri di Agosta per un possesso di circa 10 grammi di hashish già divisa in dosi, con rinvenimento di presunto materiale da taglio e confezionamento e sequestro di denaro.
Immediatamente scarcerato dall’allora gip del Tribunale di Avezzano, Stefano Venturini condannato in primo grado dal Giudice monocratico Anna Carla Mastelli a sei mesi di reclusione e 1.100 euro di multa, è stato assolto in grado di Appello perché il fatto non sussiste.
Questa è la vicenda conclusasi come meglio non si poteva di un giovane avezzanese, dipendente di una nota multinazionale, all’epoca dei fatti Francesco Montanari di 27 anni, che intercettato da parte dei carabinieri del comprensorio, fu trovato in possesso di 10 grammi di sostanza stupefacente del tipo hashish, nonché vario materiale da taglio e confezionamento all’interno della sua abitazione, relativo bilancino di precisione ed appunti manoscritti riconducibili ad acquirenti della sostanza stupefacente. Il Giudice, in sede di primo grado Anna Carla Mastelli, ritenne di dover accogliere la prospettazione rappresentata dalla pubblica accusa, limitando però la condanna nel minimo edittale ritenendolo responsabile del modesto quantitativo di hashish, condannandolo alla pena di 6 mesi di reclusione e 1.100 euro di multa.
Ma il giovane, ben sapendo di essere completamente innocente rispetto a quanto gli veniva contestato, attraverso il suo legale, l’avvocato Roberto Verdecchia del foro di Avezzano, formalizzava l’atto di appello che oggi è stato accolto dalla Corte d’Appello di L’Aquila presieduta dal dottor Aldo Manfredi, riconoscendo la sua completa estraneità rispetto alla cessione della sostanza stupefacenti a terze persone, dimostrando che gli appunti oggetto di sequestro non erano riferibili alla sostanza stupefacente, e che il quantitativo di hashish una volta analizzato non aveva quel grado di purezza presunto originariamente dagli inquirenti, tale da rendere penalmente perseguibile il fatto storico.