E’ di queste ore la tragedia che si è consumata sulle coste calabresi dove in pochi minuti sono affogati più di sessanta migranti. Ma anche cento anni fai i nostri nonni morivano in mare per cercare fortuna nei Paesi più ricchi.
Dal 1860 al 1924, furono più di cinque milioni, gli emigranti italiani che partirono dai porti del Mediterraneo: molti di loro non arrivarono a destinazione, inghiottiti dalle tempeste o vittime delle epidemie, senza lasciare alcuna traccia.
Difficile, quindi, stabilire il numero delle sciagure e dei naufragi di imbarcazioni italiane ed europee fatte partire in condizioni precarie da armatori senza scrupoli, i quali si servivano per lo più di navi ormai in fase di disarmo, adattate alla navigazione transoceanica.
Il “PRINCIPESSA MAFALDA”, che nel 1927 era ancora la nave ammiraglia della nostra Marina commerciale, dopo avere scaricato in America del Sud migliaia e migliaia di poveretti in un ping-pong incessante sulla rotta per Buenos Aires era ormai ridotta in pessime condizioni. Le macchine non giravano più come una volta. Quell’ 11 ottobre del 1927, la nave partì ugualmente da Genova. Dopo tre giorni si inoltrò nell’ Atlantico nonostante i motori si fossero fermati otto volte mentre navigava nel Mediterraneo. Riuscì ad arrivare nelle acque brasiliane dove affondò il 25 ottobre. Morirono 385 emigranti italiani, molti di loro divorati dagli squali. Ancora più tragica, vent’anni prima, era stata la tragedia del “SIRIO“, un vapore partito da Genova verso il Sudamerica. Era il 4 agosto del 1906, il tempo era buono, il mare calmo, quando la nave si schiantò improvvisamente su uno scoglio. I danni erano gravissimi ma l’affondamento totale sarebbe avvenuto solo 16 giorni dopo. Avrebbero potuto salvarsi tutti. Ma l’evacuazione fu così caotica e disperata che alla fine il bilancio, stilato dalla Compagnia assicuratrice fu di 292 morti. In realtà, le vittime furono ancora di più: quasi 500 morti
Per il “SIRIO” e la “PRINCIPESSA MAFALDA”, ci fu una qualche attenzione da parte dell’opinione pubblica: quelle tragedie furono troppo grandi per essere ignorate. Ma tutta la nostra emigrazione, dei primi anni del 900, fu piena di naufragi. Come quello della “ORTIGIA”, che andò a speronare, il 24 novembre 1880 il mercantile “LONG JOSEPH” davanti alle coste argentine. Lasciò in fondo al mare 249 poveretti. Qualche mese dopo, Il vapore “SUDAMERICA”, si inabissò nelle stesse acque con un carico di 80 “dannati della terra”. Ma la sciagura più grave, consumata in mare, fu vissuta nel suo viaggio inaugurale, dal “TITANIC”. Dopo quattro giorni di navigazione, nella notte tra il 14 ed il 15 aprile del 1912, la nave più moderna del mondo andò ad infrangersi contro una montagna di ghiaccio. La tragedia ebbe un fortissimo impatto nel mondo di allora. Il New York Times nella sua edizione straordinaria del 16 Aprile titolerà così la sua prima pagina “ TITANIC SINKS FOUR HOUR AFTER HITTING ICEBERG”.
Si scoprì solo dopo che agli emigranti stipati in terza classe fu impedito, al momento dell’urto, di accedere ai ponti superiori. Il ricordo dei tragici episodi appena raccontati non può che riportarci ai nostri giorni. Sono gli stessi drammi che oggi si consumano nelle acque del Mediterraneo e che di rado finiscono sui giornali dei Paesi arabi, africani e asiatici. I morti dell’emigrazione, come avveniva in passato, non hanno neanche il diritto di cronaca. Nei fondali del Mediterraneo, tra le coste della Libia e quelle della Sicilia, giacciono più di ventiseimila morti. Un numero che purtroppo è destinato a crescere tragicamente. Partono dalle loro terre in preda alla disperazione, come i nostri nonni cento anni fa. A quei tempi gli africani eravamo noi, ma questo purtroppo, molti di noi, l’hanno dimenticato.