E’ una storia che parte da lontano, da Sante Marie in provincia de L’Aquila, per proseguire per un breve periodo a Modena, per approdare a Stoccarda prima e a Karlsruhe poi nella regione di Baden Württemberg in Germania.
Paesi e città che rappresentano il perimetro entro il quale si svolge la nascita, l’infanzia, la scuola, le amicizie, il lavoro, l’amore, il matrimonio, della vita di Gianni detto dai suoi compaesani “Klèppero”, nato a Picinisco nel 1955 perché «mamma ha scelto di farmi nascere con intorno i suoi familiari più cari, nonna Rosaria e zio Alfredo, uno dei suoi tredici fratelli» e subito rientrato a Sante Marie (dove il padre, Sabatino, era nato) con la madre Genoveffa e in età adulta giunto a Stoccarda per lavorare, per maritarsi, per godersi la pensione. E da quella terra lontana pensare con nostalgia, con passione, con curiosità a Sante Marie, il paese dell’anima, collegandosi via facebook spesso con i compagni di scuola e di merende.
Ha ancora dentro – come in uno scrigno – una miniera di ricordi, elenca con sorprendente sicurezza “scontranomi” (un nome identificativo della famiglia, tanto da far assumere un secondo cognome all’interessato) come se fosse ancora in paese, come se quel mondo contadino pieno di dignità e le atmosfere del paese non lo avessero mai abbandonato, anzi viene tirato fuori dagli anfratti della memoria nei momenti di gioia, di sconforto, di allegria.
I ripetuti interventi su “Conosci Sante Marie” ha riacceso la scintilla dell’esule, ha fatto riemergere come un fiume carsico l’interesse (mai sopito) verso Sante Marie, un universo cambiato profondamente in questi 40 anni dal suo trasferimento in Germania. Quarant’anni che hanno rivoluzionato il mondo e anche il nostro modo di vita in quest’ultimo anno con il Covid-19, che ha fatto cadere certezze e alimentato paura.
Oggi Gianni (Giovanni all’anagrafe) Di Giacomo, detto “Klèppero”, è un sereno pensionato italo-tedesco (più italo che tedesco) che interviene esprimendosi in dialetto per riappropriarsi di quel mondo di ieri che lo fa sentire ancor più santemariano.
Ha vissuto l’infanzia e l’età adulta a Sante Marie, un paese della Marsica «povero di storia civile, e di formazione quasi interamente cristiana e medievale. Non ha monumenti degni di nota che chiese…..La condizione dell’esistenza umana vi è sempre stata particolarmente penosa; il dolore vi è sempre stato considerato come la prima delle fatalità naturali; e la Croce, in tal senso, accolta e onorata» per dirla con Silone.
Come ho scritto in un articolo su “Terremarsicane”, Sante Marie nella seconda metà del XX secolo è uscito stremato ma non distrutto dalla seconda guerra mondiale, con una classe politica che aveva l’interesse del bene comune, della collettività.
Nel decennio 1945-1955, Sante Marie ha vissuto forse il periodo più intenso della sua storia contemporanea. Il tessuto economico era formato da numerose botteghe alimentari e del vino, macellerie, barbiere, stagnaro, lavoratori nell’edilizia, impiegati al Comune e alle Ferrovie dello Stato, insegnanti, e qualche laureato.
In quegli anni il paese aveva raggiunto il record della popolazione: nel censimento del 1951 c’erano 3.228 abitanti nel Comune. Numero mai più raggiunto! In quel periodo di pre-boom economico era cominciata la grande fuga, a Roma la maggior parte. Gianni, anzi Giannino come lo chiamava la mamma, non ancora “Klèppero”, vive la sua quotidianità come tanti ragazzi del paese tra lo studio e il divertimento che soltanto in quello stadio della vita uno sa darsi.
Frequenta l’asilo comunale retto dalle Suore nella parte alta del Paese, a “Casteglio”, con il ricordo ancora vivo del nome delle suore «La madre superiora Madre Rosaria, Suor Agnesina, Madre Pierina la cuoca e una terza, Suor Lorenza, che fu protagonista di uno scandalo, perché lasciò i voti e si sposò» spiega Gianni a distanza di 60 anni.
Terminato l’asilo, Gianni comincia la scuole elementare «aglio Ortiglio, nelle baracche anti-sisma, che ora non ci sono più, con una maestra di Avezzano, la quale per motivi suoi mi fece ripetere l’anno. Fu la mia fortuna, perché la maestra che ebbi dopo mi accompagnò per i seguenti cinque anni alle elementari: la maestra Beatrice Mazzucato in Fulgenzi, la moglie del nostro Farmacista Dr. Carmine Fulgenzi, che sono venuti da fuori e miei vicini, cioè dello stesso quartiere, Palatera» racconta con dovizia di particolari Gianni.
Nel 1966 sembra esserci una svolta nella sua vita. «Andai in Seminario a Roma e fu un’esperienza che prima non credevo fosse così poco avventurosa, di come pensava quel ragazzino di dodici anni, che appunto terminò dopo un anno e poco più, nel 1968, con il rammarico di una zia sorella di papà che era suora. Anche l’anno di scuola alle Medie andò perduto e lo dovetti ripetere alle scuole Medie a Sante Marie».
Sono anni spensierati di giochi, di frequentazioni soprattutto con i suoi vicini di casa, a Palatera. «Ultimamente sui contatti con altri santemariani abbiamo ricordato i soprannomi (scontranomi) di numerose persone che abbiamo conosciuto e tanti non sapevo chi fossero, proprio perché li conoscevo solo con “jo scontranome”. La mia memoria è ancora buona, le persone che più ricordo sono i miei vicini di casa, a Palatera.
Loreto Mari (“Pacchione”) con tutta la famiglia, che abitavano a Tivoli, ma tornavano spesso a Sante Marie. C’era Rosetta con la madre e i cinque figli che abitavano con la propria famiglia, ma tornavano spesso da Rosetta; solo Ughetto dei cinque abitava ancora con sua madre. C’era Antonio Rossi con la moglie Vanda (“Vanduccia”) che faceva la Postina, con il figlio Roberto mio compagno di giochi; Quirico Mari il Bastaio (Chirico jo ‘mmastaro) con Fernanda la moglie e le figlie Antonella e Cinzia e più tardi Bruno. Orvea con i figli Enzo e Ubaldino; Antonio Rossi (‘Ntonio Vittorio”) con Giggetta e le figlie Maria e Bruna sposata con Remo e i figli Antonello (più tardi con il soprannome “Pronchitto”) e Daniela. Torquato con Uliana e i gemelli Tarquinio e Maurizio; zio Pietro Ricci (“Palaro”) cugino di papà e zia Matilde (“Metirda”), i figli Paolino con la moglie Rosina, che avevano Mario e Donatella. Il dottore Carmine Fulgenzi (“jo Farmacista”) con la moglie Beatrice (mia Maestra alle Elementari) con i figli Luigi e Annarosa. Il Maestro Italo Ricci con la moglie Iolanda e i figli Oraldo e Antonella più tardi Marco; il Maestro Filippo Ricci (“jo Maestro Filippuccio”) con la moglie; Giovanni Ricci (“Steccone”), Guardia Campestre nonché cugino di papà».
Questo il mondo dell’infanzia di Gianni con ricordi molto nitidi e il cammino verso le scuole superiori. Terminati gli studi ci sono le difficoltà per trovare lavoro a Sante Marie e dintorni.
«Più che terminare gli studi ho interrotto la frequentazione della Scuola Professionale a Guidonia in provincia di Roma, ma anche volendo voler lavorare non c’era molta richiesta per persone come me che non avevano imparato nessun mestiere. L’unica soluzione era fare il manovale saltuario tra le varie ditte edili».
Quando matura la decisione di andare via da Sante Marie e dove andare? «Altri giovani santemariani avevano cercato lavoro fuori dal paese, in altre città tra le quali Modena. Così su informazione di quelli che erano andati a Modena anche io mi avvicinai a questa città e trovai lavoro nel 1977 nella fonderia Corni. Guadagnavo appena per pagarmi affitto e vitto, rimaneva poco o niente per le altre cose. Appena dopo un anno la decisione di ritornare a Sante Marie, e per l’occasione comprai un baule per metterci dentro tutti i miei averi e spedirli a Sante Marie. Ricordo quando dissi ai miei amici che dovevo ritirare il baule alla stazione di Tagliacozzo mi canzonarono per un bel po’ con: “Kleppero co jo bauglio”.
Era il 1978, mi cercai un lavoro come manovale nella ditta di Torquato e Renzo (“Naccio”).
Il sodalizio lavorativo terminò nel 1979, quando su consiglio di mio cugino, Ivo Di Giacomo, risposi ad un annuncio sul giornale, in cui si cercavano lavoratori in Germania. Dopo qualche mese mi arrivò una lettera in tedesco, che allora naturalmente non conoscevo e attraverso l’allora moglie o amica di Giulio (“Papalino”), Ingrid tedesca, venni a sapere che ero stato invitato a presentarmi in Germania».
Quell’anno, il 1979, segna la vita di Gianni. Sante Marie registra un’emigrazione senza controllo cominciata alla fine degli anni Cinquanta, arrestatasi negli anni Ottanta del secolo scorso: la popolazione è scesa a 1.780 abitanti!
«Il 2 ottobre 1979, 24 anni, quel giorno avrei compiuto un passo importante che avrebbe coinvolto (e sconvolto) il resto della mia vita. Salii sul treno che mi avrebbe portato in Germania; ero arrivato qui per l’interesse di mio cugino Ivo Di Giacomo che aveva letto un annuncio sul giornale che si cercavano lavoratori nel campo dell’edilizia. Sì, ero in viaggio verso la Germania, mi sentivo agitato perché non sapevo a cosa andavo incontro, con chi avrei avuto a che fare».
Agitazione è il primo sintomo fra gli altri ad essere avvertito nel lasciare Sante Marie, l’universo di Gianni, la cui vita era incanalata verso l’emigrazione forzata.
«Il 3 ottobre 1979 scesi nella Hauptbahnhof, Stazione Centrale di Stoccarda, dove c’erano in attesa alcune persone con cartelli alzati dove era scritto il mio nome e quello di altre quattro persone. La persona con il cartello era un omone alto con cappello bavarese e una barba curata; c‘era anche una donna, Frau Hannappel, con capelli corti brizzolati e un foulard al collo. Bene o male siamo riusciti a intenderci, con un po’ di francese che sapevo insieme con l’omone che anche lo parlava. Eravamo in quattro e fummo fatti salire in macchina, una Audi 100 arancione. La corsa fu breve, ci portarono in una specie di bar, dove si poteva mangiare piccoli snack, con del pane che prima di allora non avevo mai mangiato: pane integrale con chicchi di grano interi e una specie di mortadella a striscioline, fatta insalata con dei cetriolini sottaceto. Poi a piedi in un palazzo di diversi piani e salimmo con l’ascensore sino ad arrivare ad un appartamento ben arredato, che poi venni a sapere appartenere a Frau Hannappel, la titolare dell’impresa edile. Nel salotto di questo appartamento c’erano dei materassi con cuscini e coperte».
E’ l’impatto con una realtà completamente diversa, piena di incognite, senza l’affetto e il conforto dei genitori e dei fratelli.
Dopo l’arrivo a Stoccarda, dove ti hanno portato per lavorare?
«Il giorno seguente, dopo aver bevuto un caffè alla tedesca molto allungato, salimmo di nuovo in macchina e fummo portati dopo un’ora di viaggio sul cantiere, dove erano posteggiate due roulotte e sempre in francese e l’intesa dei gesti, ci venne detto a me e agli altri tre che avremmo dovuto abitare là. Dopo un momento di disappunto accettai e accettarono la situazione e ci aggiustammo due per ogni roulotte. La città era Unterbruden, 60 chilometri a nord-est di Stoccarda, dove rimanemmo per circa due mesi.
Si avvicinava il Natale, la nostalgia era sempre più forte e mi ero prefissato che sarei tornato per le vacanze di Natale a Sante Marie. Intanto avevo fatto il punto della situazione: il lavoro che facevo era a nero senza contributi, i soldi non erano quelli pattuiti nella conversazione che si era fatta a Roma, ma comunque avevo accettato questo stato di cose.
Tornai quindi a Sante Marie per le vacanze di Natale, con l’intesa che prima di ritornare in Germania avrei scritto una lettera per prendere accordi. Sapevo che durante l’inverno i cantieri rimanevano fermi e così presi tempo. Nel frattempo a Sante Marie avevo incontrato i ragazzi della radio da poco aperta (Radio Cauntry International) Loreto, Maurizio, Giuliana e naturalmente Italo (Italuccio) e Roberto, i due iniziatori del tutto. Reciprocamente venne accordata la mia partecipazione per presidiare qualche trasmissione, il che successe con grande entusiasmo da parte mia, dove passavo delle ore a divulgare musica, canzoni, aneddoti nelle circostanti terre santemariane. Successivamente ci trasferimmo nell’ex domicilio di Ottavio Vitale, papà di Roberto, nel più centrale locale di Pietro Di Vitto, dove mesceva bevande ai clienti. Fatto sta che rimasi per qualche mese a Sante Marie. Nel mese di aprile del 1980 scrissi la lettera in Germania e dopo una settimana arrivò la risposta: Giovanni komm zurück (testualmente “Giovanni torna qui”). Dopo qualche giorno mi rimisi sul treno, anche se già sentivo nostalgia per quello che lasciavo.
In Germania ci spostammo a nord-ovest di Stoccarda, circa 70 chilometri, a Elmendingen. I compagni che erano venuti con me, due non tornarono dopo le vacanze di Natale, e l’altro, tale Cesare Augusto di Aprilia, tornò in Germania ma rimase due settimane e poi andò via. Nel frattempo avevo trovato alloggio in una locanda, dove mangiavo anche, ma sentivo il bisogno di avere una vita privata, anche se avessi dovuto rinunciare al vitto e alloggio gratis. Domandai in giro se ci fossero stanze da affittare e proprio l’oste mi propose una stanza nella casa dove abitava sua madre, lì rimasi fino al mese di settembre 1980».
Comincia l’avventura di un giovane santemariano emigrato in terra di Germania. Lavoro in un’altra ditta con contratto, assistenza medica e sociale.
«Nel mese di Settembre 1980, cambiai di nuovo alloggio e città – prosegue Gianni nella sua minuziosa ricostruzione -, e mi trasferii a Gruwettersbach paese di tremila abitanti, frazione della città di Karlsruhe. Imparai ad usare i mezzi pubblici, che mi consentivano di recarmi in città. Mi sono anche iscritto ad un corso per imparare il tedesco».
Sì, la lingua anzi il tedesco, il passaporto per vivere in una società nuova.
«Sono 42 anni che sono qui e ancora non sono soddisfatto dei miei progressi linguistici, anche se nessuno corregge più il mio dire. La gente è molto sociale, tollerante e accomodante».
Nel 1985, a 30 anni, la svolta.
«Era il 1985, un inverno rigido, con molta neve; nei cantieri edili non si poteva lavorare. In una serata, passata in un locale “Kneipe“, ho conosciuto una ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie. E con il nuovo anno la conoscenza con Waltraud era sfociata in amore e siamo andati ad abitare insieme. Decidemmo di sposarci a novembre, il 20 novembre 1986. Nonostante ci siano stati molti momenti di incomprensioni, come avviene in tutte le coppie, siamo ancora insieme. Purtroppo non abbiamo figli».
Il lavoro è durato sino a tutto 2014, quando lo stato di salute con consente più di lavorare. E nel 2015 arriva la sospirata pensione.
Il desiderio di far ritorno a Sante Marie è sempre più sentito? «Una domanda che se me l’avessi fatta 20/30 anni fa, ancora avrei risposto che, se avessi avuto occasione, avrei scelto volentieri di tornare, anche per star vicino a mamma e papà, divenuti troppo anziani; sentivo che avrebbero accettato volentieri un aiuto o una vicinanza di qualcuno di noi figli e io più di loro sentivo il bisogno della loro vicinanza e affetto. Oggi papà e mamma non ci sono più. Anche se la mia vita si è impiantata in Germania, dico ancora, che se ne avrò occasione ritornerei per sempre a Sante Marie».
I tuoi interventi sul sito “Conosci Sante Marie” sono diventati sempre più pressanti. Perché?
«Pur essendo lontano, la mia attenzione e partecipazione morale è rivolta a Sante Marie e ai santemariani; sono 42 anni che sono fisicamente assente da Sante Marie. Mi interessa qualsiasi argomento in cui sono coinvolti Sante Marie e santemariani. La mia partecipazione agli eventi è solo virtuale, ma le discussioni o i commenti sia essi pro o contro, sono per me come una partecipazione alla vita del paese. La nostalgia è scomparsa, ma il mio affetto per i santemariani e Sante Marie è ancora forte. L’attaccamento che si è creato in tutti questi anni, con la vita che ho fatto qui in Germania, ha la sua forza attrattiva. Ma il richiamo alle radici si sente e sempre con più insistenza; chi lo sa, un giorno, il piano verrà realizzato».
Queste le confessioni di Gianni “Kleppèro”, non paragonabili alle “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo, ma rappresentano pur sempre uno spaccato, una porzione della storia contemporanea di Sante Marie e dell’emigrazione.
Foto Gianni Di Giacomo