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Soldati spagnoli e commissario
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La fastosità della befana fascista e i gravi problemi del lodo Bottai (gennaio 1931)

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La fastosità della befana fascista e i gravi problemi del lodo Bottai (gennaio 1931)
La fastosità della befana fascista e i gravi problemi del lodo Bottai (gennaio 1931)

Per sostituire Augusto Turati alla segreteria del partito nazionale fascista, era stato chiamato da Mussolini Giovanni Giurati, già presidente della Camera dei deputati. Di fatto, alla vigilia del nuovo anno fascista e in previsione del decennale del regime, il duce lo incaricò di snidare i «rottami della cosiddetta borghesia liberale e professionistica», poiché molti erano riusciti a infiltrarsi nel partito o nelle istituzioni del governo negli anni precedenti, specialmente nelle province periferiche (1).

Occorre domandarsi se questi atteggiamenti riflettessero anche la situazione della Marsica, dove, in realtà, tra approvazioni o finti consensi, potevano ancora primeggiare simili «camaleonti», come afferma lo storico De Felice, non certo pericolosi per lo svolgimento del progetto politico fascista ma che, forse, con il tempo, potevano diventarlo. 

Per il momento ad Avezzano si pensò di organizzare dall’Unione Esercizi Elettrici la «Befana fascista nella sala del Teatro Eden», presieduta dall’ingegner Gino Iazzarelli.  I doni erano stati offerti da tutti i commercianti della città. Nel tardo pomeriggio, le migliori famiglie del comprensorio parteciparono alla «festa danzante al Circolo del Littorio» al suono dell’orchestra del maestro Golini. Tra gli ospiti più graditi, furono notati: La contessa Resta, i signori Passalacqua, Sardelli, Reggiani, Lanciani, Tarquini e Colacicchi, accompagnati dalle loro rispettive consorti con le quali aprirono il ballo. Nel «gruppo dei Gentiluomini» furono rilevati: Edoardo Corbi (presidente del Circolo) che fece con garbo ed eleganza «gli onori di casa»; il cavaliere Romeo, l’avvocato Spallone, il tenente Cianfarani, l’avvocato Amiconi, il commendatore De Andreis, il dottor Calzolari, l’avvocato Arrigo Spina, Sardelli, Boccato, Nanni, l’ingegner Cristofaro, l’ingegner Rossi, l’avvocato Mameli Tarquini, Pace, il colonnello Osvaldo Rinonapoli, il notaio Paolini, l’ingegner Amorosi, il segretario del partito fascista Umberto Iatosti, gli ingegneri Somma e Reggiani. 

Per non essere da meno, anche a Tagliacozzo il giorno 6 gennaio 1931, alle ore quindici «nel Salone del Dopolavoro», si distribuirono i doni della befana fascista ai ragazzi bisognosi della cittadina. L’esito della manifestazione andò alle insegnati Velia Gentile, segretaria del fascio femminile e ad Antonia Amicucci: «Le oblazioni più notevoli furono quelle della Signora Donna Antonia, del Podestà di Tagliacozzo e del Direttore della Banca Agricola e Commerciale del Mezzogiorno, Sig. Eroe» (2). 

Altri rilievi possono essere fatti, contemporaneamente all’aggravarsi della crisi economica nel paese, che continuava a suscitare anche nel Fucino maggiori disagi e malcontenti. Occorre ripetere che, i risultati conseguiti dal lodo Bottai, non furono certo fervidi. Gli attuali accordi avevano suscitato molte critiche e proteste da parte degli affittuari, dei proprietari e dei piccoli agricoltori. 

La trebbiatura nel Fucino

Lo studioso Costantino Felice coglie in pieno la specificità della questione, affermando: «Nel Fucino vigeva invece [rispetto all’Italia settentrionale] come abbiamo visto, il contratto a prezzo fisso, per effetto del quale si determinava a priori, all’atto delle semine, il prezzo da pagare […] Per tutto il periodo fascista, ed anche nell’immediato dopoguerra, continuò ad esserci questa differenza: mentre i contratti nazionali facevano riferimento al titolo zuccherino, nel Fucino valeva il pagamento a peso, sempre inferiore alla media, oltre che soggetto a tutti quei soprusi connessi alle modalità di consegna e pesatura che già conosciamo. I maggiori guadagni insomma, tanto sugli estagli che sui normali conferimenti, li facevano comunque i Torlonia […] Tramite lo zuccherificio e tramite la terra veniva a configurarsi, entro il nuovo ordine costruito dal regime, un duplice rapporto di sfruttamento tra Torlonia e i contadini: quello del proprietario col fittavolo e quello dell’industriale col bieticoltore. Per mezzo della banca del Fucino, poi, l’Eccellentissima Casa controllava anche buona parte dei movimenti di credito e del risparmio, con tutto ciò che ne conseguiva non solo per la fornitura dei mezzi di produzione (macchinari, sementi, concimi), ma anche più in generale per le condizioni di vita della zona» (3). A suo tempo, anche Pizzuti denunciò i gravi disagi: «Pertanto nel biennio 1931-1932, sia le associazioni della zona che le autorità comunali, e anche qualche esponente politico, continuarono ad agitare le varie questioni dell’alveo, raccogliendo dati, accertando statistiche, promuovendo incontri e riunioni e inviando ogni tanto memorie con proposte e programmi, oppure richieste d’istruzioni, sia agli organi centrali, sia all’Unione provinciale de L’Aquila della Confederazione degli agricoltori, sia alla stessa amministrazione della proprietà privata» (4).

Di fronte a questo complesso e preoccupante groviglio di allarmi e attese, presso il ministero delle Corporazioni di Roma, ebbe luogo, verso la metà di gennaio 1931, una importante riunione imperniata proprio sulla questione del Fucino. Alla presenza di Bottai, parteciparono anche gli onorevoli Razza e Ascone per la Confederazione dell’Unione dell’Agricoltura: «l’on. Giordani del Direttorio Nazionale del Partito, il rappresentante del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, il comm. Anselmi, il conte Zappi – Recordati in rappresentanza delle confederazioni degli Agricoltori, dei delegati dell’Ecc.ma Casa Torlonia, nonché il Prefetto della Provincia di Aquila S.E. Sacchetti, il Segretario Federale cav.uff.avv. Gustavo Marinucci, il prof. Pezzi della federazione degli Agricoltori e il sig. Adragna dell’Unione dell’Agricoltura». La cronaca giornalistica riferisce che, dopo un’ampia e serena discussione, dietro proposta del segretario federale Gustavo Marinucci (responsabile dell’epurazione del fascio di Avezzano), si trattò «efficacemente, dal punto di vista politico e sindacale la complessa questione, stabilendo di conferire a S.E. Bottai, che si degnò di accettare, i pieni poteri per prorogare il suo lodo per un anno, apportandovi le modificazioni opportune che si rendessero necessarie» (5). 

Vedremo, purtroppo, come l’onorevole, per una certa spregiudicatezza di comportamento ma anche per una forte autarchia di giudizio, sarà sostituito da Mussolini, dopo che spesso aveva avuto duri contrasti con altri ministeri di programmazione economica, riguardanti proprio le autonomie corporative (6).

NOTE

  1. R.De Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso, 1929-1936, Giulio Einaudi editore, Torino 2019, p.210. 
  2. Il Messaggero, Anno 53° – N.8, Venerdì, 9 Gennaio 1931, Cronaca degli Abruzzi, Marche e Molise. Da Avezzano. La Befana Fascista; Da Tagliacozzo. La Befana Fascista.
  3. C.Felice, cit., p.660.
  4. A.Pizzuti, cit., p.58.
  5. Il Giornale d’Abruzzo e Molise, Anno IX – Roma, 18 gennaio 1931, p.2. Pieni poteri a S.E. Bottai per la questione del Fucino
  6. R.De Felice, cit., pp.290-291.
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Fulvio D'Amore ricercatore e saggista

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