CHIESA DI SAN SALVATORE

Testi tratti dal libro Oricolae Contrada Carseolana nella storia di Nostra Gente
(Testi a cura di Achille Laurenti )

La Chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore, che è un gioiello di arte, a stile barocco, si dice fosse edificata dal celebre architetto Domenico Fontana. Questi ebbe la residenza in Roma, ove tra i molti lavori eseguiti, per incarico di Sisto V, trasporto l’obelisco di S. Pietro e costruì il palazzo reale: poi nel 1602, si trasferì a Napoli, ove morì nel 1607. L’iscrizione sull’architrave della porta d’ingresso alla Chiesa, non si riferisce alla sua originaria edificazione, ma al suo ingrandimento e restauro, avvenuto nel 1773.

Infatti, come poteva essere stata edificata nel 1773, se il presunto artefice scompariva nel 1607 ? Ma dato e non concesso, che si voglia mettere in dubbio l’autenticità dell’autore, ben altri elementi si hanno a conferma del mio asserto. Il Vescovo di questa Diocesi, recatosi nel 1743, in sacra visita riscontrò che la nostra parrocchia, non era sufficiente a contenere i devoti del paese e, dietro suo incitamento, il parlamento dell’università di Oricola, fin dal 15 giugno di quell’anno, ne deliberava il suo ingrandimento.

Successivamente, in data 27 aprile 1757, lo stesso corpo deliberante, adottava il seguente provvedimento: “Si risolve da tutti a viva voce che per fare simil spesa per la chiesa si per il Culto del Sig.re Iddio come per nostro onore si debbano levare le panarde della festa di S. Antonio e della SS. Assunta, ma in detta festa debba farsi l’officiatura, con darli l’elemosina doppia p. il sacrificio che faranno, e la mezza coppa di grano che deve pagare ogni cittadino focale di S. Antonio, come la coppa focale della SS. Assunta per formarne un monte,e cresciuto che sarà d[etto] monte si potrà fare d. fabbrica con eligere due deputati con darli ricognizione congrua per le loro fatiche p. riscuotere il grano come per dispensarlo in credito, come vanno simili monti e p. Deputati di simil ufficio si eligono il Magnifico Francesco Nitoglia e Francesco di Pietro Santo a’ quali se li dà autorità di potere invigilare su simile ufficio”.

Finalmente nel 1763, nominato arciprete don Gaetano Laurenti, precedentemente canonico coadiutore della nostra parrocchia, questi poté dopo un decennio, raggiungere lo scopo anelato del prolungamento della Chiesa, nonchè della edificazione dell’attuale sacrestia e della casa parrocchiale. La spesa fu sostenuta dalle economie, come sopra racimolate, dall’intervento del popolo, con opere in natura e con il contributo dell’Arciprete per il pagamento del muratori e degli artisti in genere. Questo mi raccontavano i vecchi Laurenti, da non molto scomparsi, per averlo udito dire dai loro ascendenti. Del resto anche all’occhio profano, apparisce che tanto l’attuale sacrestia, che la canonica e parte della Chiesa, non sieno state costruite con il rimanente edificio.

Infatti chi passa in via del Campanile, può constatare che alla base del pilastro, dal quale in alto si riscontra un agnello pasquale, su di una pietra scolpita a basso rilievo, può convincersi che precisamente là aveva termine la Chiesa, poiché vi si scorgono le pietre scalpellate, che ne formavano l’angolo precedente. Come pure tale dimostrazione, si ha all’altro antico angolo, che in corrispondenza si osserva dietro il monumentino del caduti nella guerra mondiale. Ad oriente poi, e precisamente poco discosto da una finestra chiusa in muratura, si riscontra dall’esistente addentellamento di muri che la nuova sacrestia, con la casa parrocchiale, furono aggiunte posteriormente.
Giusta ebbi a dire altre volte, i nomi attribuiti a delle località spiegano la storia, così il nome di sacrestia vecchia, a quel locale trasformato dall’arciprete don Domenico De Angelis, per altri usi, stava a indicare che l’attuale sacrestia non esisteva e che la sacrestia vecchia immetteva nella Chiesa, dalla parte del Campanile.

La deliberazione del parlamento dell’università di Oricola, del 27 agosto 1702, che per brevità non trascrivo, con la quale il medico Simone Nitoglia, dietro permesso di S. E. il contestabile Colonna, domandava e otteneva la facoltà di aprire un portone nel suo fabbricato, situato in piazza S. Salvatore, e precisamente vicino al preesistente ingresso del castello, sta a stabilire che l’entrata di essa rocca, fosse nella piazza, attigua al palazzo Nitoglia.
Ma se cosi è, non era possibile che l’ingresso fastoso di un castello, rispondesse a un vicolo angusto e strettissimo, come quello del Campanile, che non permette il passaggio che a persone isolate.
Quindi perché tale entrata rispondesse alla piazza, l’attuale Chiesa doveva essere più corta.

A maggior chiarimento di quanto ho detto, negli antichi registri parrocchialì, gentilmente fornitimi per visione dal reverendissimo don Luigi Filippi, che con semplicità non affettata, con zelo senza bigottismo e con disinvolta intelligenza, compie le sue delicate mansioni di parroco, risulta che i matrimoni si celebrassero nella chiesa del Santissimo Salvatore, fin dal 1630.
Quindi niun dubbio che la cennata inscrizione si riferisca al restauro e ingrandimento e non alla edificazione della ripetuta Chiesa.

Inoltre negli indicati registri parrocchiali, si constata che i defunti delle famiglie Laurenti, Nitoglia e Maialetti venivano tumulati in sepolture jus patronali nella Chiesa in parola, anche precedentemente al cennato suo ingrandimento.
Le deliberazioni del parlamento dell’università di Oricola, 29 gennaio e 28 febbraio 1757, indicano l’epoca in cui Mariano Laurenti vi fece costruire la indicata tomba di famiglia, a pochi metri dall’ingresso di essa Chiesa.
Seguivano poi la sepoltura del Nitoglia e quella del Maialetti. Nel rinnovo della pavimentazione della Parocchia, eseguita nel 1910, con poca avvedutezza, venivano tolte le iscrizioni e ogni traccia delle predette sacre tombe.

Come pure veniva, con il vandalico piccone, demolito il monumentale altare maggiore, anche in stile barocco, in parte in muratura e in parte in legno noce, che con armoniosa curva si associava magistralmente alla retrostante parete, dalla quale era discosto, in modo da formare un piccolo coro.
Questo meraviglioso altare, fu sostituito da altro a ridosso della indicata parete, che richiama la tipica critica che il divino Bernini scatenava, contro il Borromini, con una delle artistiche statue nella fontana del quattro fiumi di Piazza Navona, in Roma, eretta in atteggiamento di paventare la caduta della facciata prospiciente della Chiesa di S. Agnese.

Restringendo il presbiterio, fu spostata la balaustra, la quale invece di avere un semplice accesso, ne è venuto a conseguire tre, uno in mezzo, con i consueti sportelli e due senza chiusura, alle sue estremità perché queste non raggiungono più le opposte pareti. Fu anche distrutto il battistero, di noce intagliata, che circondava il fonte battesimale. Le due pareti laterali delle gelosie del coro nell’organo, furono sostituite da regoletti di legno incrociati, creando un’antitesi architettonica.

Insomma, con la pia intenzione di apportarvi un’innovazione di migliorie, hanno barbamente disurpata l’architettura della nostra Chiesa. Non vi sono attenuanti che reggano contro tali devastatori; non andava ritoccata un’opera d’arte di un insegne autore, da un mestierante qualsiasi e molto meno da un semplice muratore, sia questo anche provetto, nè era sufficiente l’incompetente assenso e direzione di un buon parroco, fosse stato questi anche papabile, o in concetto di santità.

Il muratore poteva pur proseguire a edificare muri diritti o contorti di edifici privati e stalle, senza o con direzione di ingegneri; il parroco poteva occuparsi, a suo talento, delle numerose mansioni del suo delicato ministero, spifferare ai quattro venti e stordire se voleva, i suoi devoti con panegerici, quaresimali, spiegazioni di vangeli, di dogmi, di misteri, di storia sacra e di sacra bibbia, eseguire via crucis, processioni, battesimi, confessioni, viatici e sgranare il numero di rosari che più gli piacesse, ma non poteva e non doveva, viva Dio, arrogarsi il diritto di disporre che il satanico piccone demolitore devastasse, distruggesse, modificasse, trasformasse l’opera compiuta da chi altro senno e altra arte possedeva.

Precedentemente al raccontato eccidio, avvenuto per nefanda opera degli Orsini nel 1528, Oricola aveva come cattedrale la Chiesa di S. Tommaso, in contrada Cascina, in quell’occasione distrutta. Aveva anche parecchie altre parrocchie, con la costituzione del locale Capitolo, alle cui spese si provvedeva con le rendite di numerosi fondi rustici, passati successivamente a questa Arcipretura. Anche l’attuale intestazione catastale a detto Capitolo, ne conferma la preesistenza.

Fu poi, e sino alla distruzione del 1557, da parte del duca di Albe, parrocchia S. Maria prope fontem, una volta annessa al castello. Di questo tempio, il cui nome di schietta lingua latina, dà un addentellato all’epoca del IV e V secolo, nulla più esiste: io ne rammento qualche pittura, i diruti muri e gli archi, che furono di recente completamente distrutti, in occasione dell’assestamento delle strade nel paese, perché pericolanti. Molti benefici ecclesiastici, siti in questo territorio, furono venduti, in un primo tempo, nel 1799, dal governo repubblicano francese e poi dal governo italiano, che incamerò anche i fabbricati e terreni, che usque ab antiquo davano vita al locale ospedale.

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