TRADIZIONI E FOLCLORE NELLA MARSICA (Santi e feste marsicane)

Nel precedente sezione abbiamo parlato di alcuni riti popolari, che una volta erano in uso nella Marsica ed oggi risultano del tutto scomparsi o, tutt’al piú, profondamente modificati. In questo vorremmo presentare, invece, quelle feste e quei riti di carattere religioso che, attualmente, resistono alle pressioni della civiltá moderna ed urbana e che si conservano, piú o meno integri, con le stesse caratteristiche di ieri.

Ma, innanzi tutto, vediamo quale significato queste feste hanno avuto, ed hanno, nell’ambito della societá civile in cui esse si manifestano.
Secondo uno studioso di problemi sociali del secolo scorso, il positivista Carmine Letta, il giudizio da dare sulle feste contadine sarebbe completamente negativo:
«Quanto alle feste, oltre a non esservene alcuna soppressa nel calendario, il contadino marsicano vi aggiunge tutte le altre dei protettori e di altri santi, che innumerevoli si succedono incessanti dal mese di maggio fino a tutto settembre, celebrandole con bande musicali, spari di mortaletti, fuochi pirotecnici, parature di chiesa, panegiristi, luminarie, ecc. ecc.: tutte cose che importano ai Comuni del Circondario centinaia di migliaia di lire all’anno, senza calcolare il tempo che si perde a detrimento dei lavori campestri e a danno della pubblica moralitá […], perché è appunto in quei giorni che il contadino marsicano si abbandona ai sollazzi e all’orgia sfrenata […]». (C.LETTA, Inchiesta agraria, Aquila 1878).
A distanza di oltre un secolo, uno studioso di ben altro calibro e di diversa formazione culturale, il prof. Alfonso Di Nola, cosí interpreta invece le manifestazioni religiose popolari del nostro Abruzzo:

«[…] Ora, è aumentata o è diminuita questa religiositá? lo, dalle mie esperienze dirette di lavoro, che nascono da una concretezza di dati rilevati con somma pazienza in due tipi di pellegrinaggio; quello di S.Domenico di Cocullo e quello della SS.Trinitá di Vallepietra, posso affermare (e lo affermo ormai da anni) che vi è un incremento del pellegrinaggio. E che nell’incremento di questo pellegrinaggio vi è un incremento, sicuramente, della religiositá popolare: della religiositá popolare come veicolo di una reidentificazione all’interno di culture come le nostre, che soggiacciono al grave spettro, ormai devastante, della industrializzazione, cioè un processo di devastazione delle identitá culturali […]».

In molte parti della Marsica la gente continua ad onorare i suoi santi, con riti e manifestazioni, i cui elementi (pur comuni ad altre localitá del nostro Abruzzo) si presentano in alcune varianti tipicamente marsicane. Ad esempio, gli Avezzanesi, la sera del 26 aprile di ogni an-no, alla vigilia della festa della Madonna di Pietraquaria, accendono in alcuni quartieri della cittá (soprattutto in quello di S.Nicola) i cosiddetti «focaracci», provocati con fascíne raccolte dai ragazzi con un particolare gesto rituale: quello dello «strascíne»: «Voglio dire che deve continuare, fin quando esistiamo noi tutti. Che te posso dì? È ‘na cosa bellissima, che viene rispettata da noi Avezzanesi […]. Penso che sia una nota di colore in piú, una nota viva, una nota che, in mezzo a tante scelleratezze, in mezzo a tante sciagure, insomma, ci fa rivivere qualche cosa che, speriamo, non muoia mai! ».

Erano registrazioni dal vivo, raccolte durante la festa di Pietraquaria del 26-27 aprile del 1980. Qualcosa, certamente, è cambiato anche in questa festa, così come possiamo ascoltare dalla viva voce di un autentico avezzanese:
«Eh, prima era piú…, cosa, come se dice…, prima ce steva piú religiositá, capito? Prima, la gente se sarría fatta accíte pe’ la Matonna, pe’ la festa della Matonna. Mo’, che vó? cusinda, se fanno le feste, ma non ce sta quella passione, capito?, non ce sta quell’amore. Che prima, me recorde, da vajuli, èmmo co’lle mmutíne, facèmmo… la matina presto alle cinque, alle quattro e mezzo, partèmmo, jèmmo pe’lle cose, pe’lla Viella, se diceva, no? O pioveva o fioccheva […]. Che mó imméce non ci sta questo amore. Anche ji fochi, la sera deji ventisei, no?, che si fanno ji fochi e si canta tutti in coro: “Matonna de Petracquale!”. Po’ non so se ji stengo a ‘nnojare, vero! “E laré laré larále…!”, se canteva prima, attorno aji fochi: fare mesanotte, l’una, le ddú. Mó métteno quattro copertuni, di quesse rote, di quessi cámiin, le rote vecchie: fanne tutte fume e gnente arroste, come voléme díce! Non ce sta piú quell’amore de’ na vota…, non ci sta, non ci sta proprie piú, non ci sta!».)(Ellegí, 1983).

Comunque, nonostante il lamento del «vecchio» avezzanese, molte usanze vivono ancora oggi. Gli abitanti di Gioia dei Marsi, ad esempio, compiono ogni anno, nel mese di maggio, un particolare pellegrinaggio a piedi, superando torrenti e montagne, fino a Pratola Peligna, al santuario della Madonna della Libera. E l’uscita dal santuario si compie con il caratteristico «passo all’indietro»:
«I pellegrini della Marsica passano ancora una volta davanti alla Madonna per l’ultimo saluto; quindi, si dispongono in mezzo alla chiesa; e, tra qualche istante, inizieranno il canto “Evviva Maria”: — “Noi siamo di partenza / tu dácci la licenza / e la santa ben’dizion!”. Chiedono alla Madonna quasi il permesso di partire; e poi, cantando questo inno, escono di chiesa. Ma, per rispetto verso la Madonna, escono di chiesa indietreggiando, per non girare le spalle alla Madonna, fin fuori della chiesa. Giunti fuori della chiesa, ancora l’ultimo saluto, un ultimo “Viva Maria!”, e poi partono». (Registraz. dal vivo, 1980).

Gli uomini di Trasacco, seguendo un’antica tradizione, si riuniscono per tre giorni consecutivi, durante la seconda settimana di maggio, presso la chiesetta della Madonna di Candelecchia, dove partecipano, con profonda convinzione, ad un ritiro spirituale, legando la loro devozione verso la Madonna con quella, ugualmente antica, verso S.Michele Arcangelo, cui è dedicata anche la miracolosa grotta di Balsorano. E le tre giornate della Candelecchia trascorrono tutte tra preghiere e canti di profonda espressivitá popolare.

La processione del Venerdí Santo a Celano è considerata, ancor oggi, una delle piú originali dell’intera regione, sia per la presenza di ben sei Confraternite (alcune delle quali antichissime), sia per le particolari soste o «posate» che tale processione deve effettuare, seguendo una tradizione ormai secolare, sia per l’ordine di precedenza che le confraternite devono assolutamente rispettare:
«Sa comm’è: seccome che le Confraternite di Celano, la prima a fondarsi nei secoli è stata questa: S.Angelo, l’Addolorata, Sacro Monte di Pietá! Po’ la seconda è stata il Confalone della Madonna del Carmine; po’ appresso è stata… Carmine… la Madunnina… Insomma, l’una appresso all’altra… Quindi, questa è la ragione per la quale le Confraternite vengono… (voci). Eh sì quella è stata l’ultima: la Madonna delle Grazie è stata l’ultima, e va avanti a tutti. Anche se la chiesa è la piú vecchia di Celano! La chiesa è la piú vecchia, sí, dico io. Perché ji’ po’ so’ parecchi anni, aje settantasei anni, e mi ricordo quacche cosa…». (Registraz. dal vivo, 1979).

A Colli di Monte Bove, tra Avezzano e Carsoli, il culto per S.Berardo è ancor oggi vivamente sentito, soprattutto dagli anziani, i quali ogni sera si riuniscono in qualche abitazione privata per cantare «le lodi del santo». Ancor viva e frequentata da numerosi pellegrini è la festa della Madonna dell’Oriente di Tagliacozzo (le cui origini si fanno risalire al secolo VIII, all’epoca cioè di Leone III l’Isau- rico). E perdurano ancora, nella Marsica, perfino alcuni riti pastorali, come quello connesso al culto di S.Leucio di Brindisi, la cui reliquia sarebbe stata portata dai pastori a Villavallelonga piú di cento anni fa: «La venerazione di S.Leucio a Villavallelonga risale al 1015, essendo vescovo Zaccaria, il secondo vescovo dei Marsi. Peró la reliquia, qui a Villavallelonga, è stata portata dai pastori nel 1878, e precisamente nel dicembre del 1878. Essa risale al medioevo, perché i nostri pastori si recavano nelle Puglie a svernare; la popolazione di Villa era composta di pastori, no?, i quali, siccome qui è molto freddo d’inverno, andavano nelle Puglie per svernare, no?, quindi andavano a Foggia, andavano a Bari, andavano a Brindisi, e da qui andavano a Canosa, dove ultimamente è stato trovato, come si dice?, è stato…, è stata reperita, è stata ritrovata la chiesa di S.Leucio, proprio la vera chiesa di S.Leucio, la cattedrale dedicata a S.Leucio.

Dunque, la reliquia è stata trasportata nel 1878 dai nostri pastori; e…, e non passarono attraverso la Ceretta, ma peró attraverso Campo Mizzo, perché allora, a dicembre, la Ceretta…; passarono per Lecce, a Gioia, Menafurno, Gioia Vecchia, e quindi Ortucchio…, perché allora qui alla Ceretta c’era la neve […] ». (Registraz. dal vivo, 1979).

Testi del prof. Angelo Melchiorre

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