Nel quadro severo delle sue montagne e nelle difficili condizioni di esistenza da esse determinate, il profilo spirituale dell’Abruzzo è stato, attraverso i secoli, prevalentemente una creazione di santi e di lavoratori». A questa affermazione di Ignazio Silone noi vorremmo aggiungere qualcosa: sí, è vero, il popolo abruzzese è sempre stato un popolo di santi e di lavoratori, ma anche, spesso, un popolo di… brontoloni e di litiganti incorreggibili! Tanto litigioso, questo popolo abruzzese, da non caratterizzare soltanto le lotte sociali e politiche, ma anche altre manifestazioni civili e persino religiose.
La sua religiositá, il suo «cristianesimo» rischiava (e rischia, molto spesso, anche oggi) di diventare meno profondo, se solo in un paese (ad esempio) viene a cambiare il parroco; oppure, se le feste patronali vengono organizzate in modo diverso da quello tradizionale; o, semplicemente, se qualcuno, in chiesa, intonando un canto religioso, alza la voce un po’ piú del solito, com’è accaduto nel corso del 1982 a Poggio Filippo, una piccola frazione di Tagliacozzo:
«Durante la Comunione se so’ trovate a intonare due canti diversi due donne […]. E, quando io ho visto che continuavano con due canti diversi — la gente un po’ non sapeva che cosa cantare — io ho detto: “Guarda, stiamoci zitti, intoniamo un canto e cantiamo tutti quanti ‘na canzone soltanto!”. Senonché, mentre dico cosí, questa seconda donna se sta zitta, con le ragazzine; invece quest’altra canta ancora piú forte! lo me sto zitto: faccio la Comunione; e, dopo la Comunione, prima della benedizione, me sento in dovere de richiamá, insomma: “Guardate, se sta in chiesa per stare insieme, e non per fare gli scontri! Cara Alonza, me dispiace per te, ma quando io ho detto: — Scegliamo un canto diverso, e l’altra si è stata zitta, tu hai voluto continuare a voce piú alta.
Per questo è un atto di…, diciamo di sfida, di presunzione, che in chiesa non sopporto. Anzi — ho detto io — se questa è la condizione con cui venite a messa, ho detto io, non me la sento nemmeno di da’ la benedizione. Buona domenica!”. Ecco, e siamo usciti fuori. “Ah, questa me la pagherai!”, il marito; “a mia moglie così, non hai parlato mai contro nessuno, adesso co’ mia moglie…!”. Ho detto: No, perché è tua moglie e perché è lei, perché non si è mai verificato in chiesa un fatto di questi con me […]». (Registraz. dal vivo, parroco di Poggio Filippo 1982).
Ma lasciamo, per il momento, gli episodi recenti (che pur ricorrono molto spesso nelle cronache dei giornali), e affidiamoci ad alcune testimonianze del passato.
Ad Aschi, per esempio — un paesino ai confini della Marsica — scoppió nel Capodanno del 1719 una gigantesca rissa proprio per motivi di carattere… canoro. Sentiamo le dichiarazioni rilasciate da un testimone del fatto, chiamato a Pescina per deporre davanti al Vicario Foraneo della diocesi dei Marsi:
«Mi ricordo solamente che, nel cantarsi il Pange Lingua dall’arciprete e dal chierico don Panfilo De Jorijs, perché non accordavano, don Giovanni Taglieri alzó la voce assai piú del solito. Popo dopo, finito il Vespro et altre funzioni della chiesa, uscissimo insieme dalla chiesa io, don Giovanni Taglieri e don Carlo de Jorijs, e io mi ritirai in mia casa. Poco dopo sentii la mia madre, la quale stava vicino la porta, che si udiva un gran livore e fracasso, al quale essa subito corse; e di lì a poco uscii fuore anch’io e trovai in detto luogo, dove si dice “rani di corte”, un gran tumulto di gente, che allora erano riusciti dal Rosario […]».
Giovanni Maria de Joriis (questo era il nome del testimone) tenta di dividere i contendenti, che se le stanno dando di santa ragione; e, poiché un suo nipote medico sta per avere la peggio, Giovanni grida: «Per l’amor di Dio, state quieti, che vi ha fatto? Lo volete uccidere?». Ma essi, in cambio di quietarsi, mi si avventorno addosso, e primieramente Pietro Ettorre mi diede due pugni, e immediatamente don Chicco de Jorijs mi piglió alla gola e mi buttó in terra, e mi diede pugni in testa e al naso, con farmi uscire il sangue, e me diede ancora nella schiena et in altre parti della vita […]».
Insomma, una vera e propria « guerra civile »; cosí come di guerra civile si puó parlare a proposito del conflitto secolare, che ha visto spesso i trasaccani accapigliarsi e darsele di santa ragione con i vicini luchesi. La battaglia per la conquista e il possesso della Madonna di Candelecchia, svoltasi tra Luco e Trasacco nel 1922 (un episodio degno di stare alla pari con la famosa «Secchia rapita» di Alessandro Tassoni), non è altro che uno dei tanti e curiosi episodi di questa variegata e simpatica storia locale: «Sí, insomma, la questione su Candelecchia tra Trasacco e Luco … c’è stata sempre una contestazione in antico; la discussione a chi spettava ‘sta montagna, se a Luco o a Trasacco, è vero, c’è stata sempre. Anche perché sta piú vicina a Luco che a Trasacco. E quindi i trasaccani dicevano: No, se ci sta la chiesa nostra, è nostra! E i luchesi: Ma sta vicina a noi, è nostra! Quindi, nel passato, è successo sempre! […]». (Testimonianza di Quirino Lucarelli, 1982).
I luchesi, forti del loro buon diritto, un giorno segnarono alcune piante della Candelecchia, con l’intento di tagliarle il giorno dopo. Ma qualcuno informó i trasaccani: «[…] e a Trasacco ci fu subito la ribellione, è vero! Addirittura si dice che fu un certo Favoriti che, con un cavallo bianco…, a cavallo di un cavallo bianco, giró tutto il paese per mettere in allarme il paese; e addirittura, andarono a suonare la campana di S.Cesidio, come quando si fa agli incendi […]. Quindi, che cosa successe? Si prepararono la sera e la notte, per andare al mattino (perché i luchesi ancora non avevano incominciato a tagliare: sarebbero andati la mattina appresso a tagliare!). I trasaccani arrivarono prima; e, quando arrivarono i luchesi per tagliare la legna, trovarono giá i trasaccani appostati, preparati, e ci furono le schioppettate […] ». (Quirino Lucarelli, 1982).
Se si trattasse di pochi episodi, isolati e casuali, non varrebbe nemmeno la pena parlarne. Ma i documenti ci forniscono un’abbondante letteratura in merito.
Nella Marsica (e, certamente, anche altrove), litigi piú o meno gravi, dovuti spesso a futili motivi d’interesse personale o di campanilismo o di gelosia, o anche per ragioni d’onore, scoppiavano quasi quotidianamente all’interno di un paese o tra paesi vicini: «Litigi scoppiavano, nel passato, tra molti paesi della Marsica: tra Castelnuovo e Massa d’Albe per questioni di tasse, tra Aschi e Bisegna, per ragioni di pascolo abusivo, tra Villa S.Sebastiano e Petrella Liri per motivi di donne, tra Collelongo e Villavallelonga a causa di un “ferro per fare le ostie”…, e si potrebbe continuare all’infinito!».
Un episodio degno di rilievo (almeno per l’originalitá delle frasi pronunciate dai protagonisti) fu la gigantesca rissa scoppiata nella piazza di Cese (una frazione di Avezzano) nel 1773, tra i fratelli Carlo e Giuseppe Tomei da una parte (appena tornati dalla caccia) e Nicola Rosati dall’altra: rissa che ben presto coinvolse tutta la popolazione del paese. E, per la piazza, volarono parole assai pesanti:
« — Vieni vieni, pelle negra, ché per me stai riposta!
— Cotesta pelle l’ho da fare io!
— La testa tua l’ho da porre nel mio fazzoletto, pensaci!
— Una scenna del tuo fegato mi serve!
— Se ci venisse Cristo, io li ho da ammazzare tutt’e due!
— Chiama santo diavolo, non gli dare udienza a cotesta pinzóca falsa!».
Comunque, questa litigiositá che spesso (ripetiamo) veniva a coincidere e a confondersi persino con manifestazioni di carattere religioso, non era esclusiva del passato. Anche oggi, in molti paesi (apparentemente calmi e pacifici), scoppia all’improvviso il… temporale!
«Nell’aprile del 1960, la popolazione di Santa Jona scaccia dal paese il parroco, don Vincenzo, perché costui ha proibito ad alcuni uomini di portare in processione la statua di Santa Eugenia. Nell’ottobre del 1967, gli abitanti di Sorbo (che stanno festeggiando la Madonna della Vittoria) vengono assaliti dagli abitanti di Scurcola, i quali rivendicano per sé il monopolio della festa e… della Madonna. E chi ci rimette le penne e… gli strumenti musicali è la banda di Trasacco, che stava suonando pacificamente nella piazza del paesetto».
«Nel 1968 il parroco di Aielli (accusato di aver distrutto una venerata statua della SS.ma Trinitá) viene scacciato a furor di popolo e di donne inviperite, che mescolano insieme imprecazioni contro il prete e inni di lode alla SS.ma Trinitá».
Comunque, i due episodi piú eclatanti sono stati recentemente quello di Gallo (nel 1981) e quello di Roccavivi (nel 1980).
A Gallo, la popolazione diede inizio ad una sommossa contro il parroco, don Antonio, reo di non aver celebrato tutte le funzioni religiose previste dal calendario; «Ci hanno le terre in affitto e non pagano la corrisposta; poi, partono dalla chiesa colla processione, e a metá chiesa… qua fanno le aste, no? qua se pagano anche 400, 500 mila lire all’asta: a metá strada i preti del paese (i preti, i frati, non lo so mo’ che sono, o preti o frati) loro si rispogliano perché non vogliono fa’ le posate davanti la casa, se rispogliano e se ne so’ andati dentro la chiesa; e anzi, a di’ la veritá, mío fratello voléa cacciá l’asta, e dargliela in capo, l’asta della santa […] (voci confuse). Noi lo riteniamo giusto quello che ha detto, qui, il compare Alberto; peró, a un certo momento, non penso che sia effettivamente come ha detto lui, facendo un ragionamento globale, perché è disinteressato… (voci confuse). La prima cosa: com’è venuto quisto prete da Poggetello, io l’ho accompagnato al vescovo…, e gli ho fatto tutto da padre, da tutto… Adesso si è voltato…, sa come s’è voltato, eh? Perché, sai perché per dire a dire…, quando dice due messe, ha detto bene, come si deve, ha venuto bene e ha servito il popolo come si deve, non si puó dire di no! Ma dopo s’è voltato, come la girandola dell’arteficio… Adesso s’è tutto revotato! La messa, due messe… al popolo nessuna. Ci ha portato al cimitero, eh?, quaranta persone, l’ha detta a ‘nu morto la messa, no a cinquanta persone!». (Registraz. dal vivo).
E, infine, a Roccavivi (nella Valle Roveto) la popolazione s’è rivoltata contro il vescovo (nel 1980) per un motivo opposto a quello di Gallo: per impedire che il vice-parroco don Pasqualino venisse trasferito in altro luogo. Barricate, blocchi stradali, richiesta di parlare con il vescovo di Sora. Ma costui non vuole parlare con gli insorti. Qual è il motivo del rifiuto?
« — E che ne so io?
— Ha paura, ha paura! Perché ‘na volta gli abbiamo menato a un vescovo…! Perché, la stessa storia: perché noi dovremmo prendere tutti i preti che scartano gli altri paesi vicino. Lo vogliano mandare a noi, gli altri li scartano e a noi ce li vogliono mandare! […] ». (Registraz. dal vivo).